Ogni anno sul calar di agosto si riaccende il non-più-dibattito ma la s/considerazione inesausta su eventi musicali partiti con nobili e originali aspirazioni e via via pompati fino a diventare farsesche copie dei ben più televisivi Sanremo o dei Primi Maggio, anch’essi nel tempo serviti in salsa Festival della Canzone. In questo paesaggio di emulazioni con Notti della X, albe dell’Y, a suon di spritz e (pasoliniane) bancarelle, ci tengo a ricordare – lo dicono i saggi – che esiste un antidoto a tale fenomenologia. La medicina c’è: occorre ricominciare dal piccolo, dall’ombra, senza che ci vedano arrivare. Ci sono in Italia infiniti esempi di eventi/festival culturali che esprimono una visione del mondo radicata nel profondo. Un qualcosa che arriva da lontano. Dal buon funzionamento del circolo del tramandare e del tradire. Guardiamoli di più a dispetto della televisione di regime a economia unica che li snobba; delle testate giornalistiche che li ignorano; o dei social sui quali hanno al massimo qualche migliaio di like. Eppure esistono, respirano, hanno un pubblico sostenibile. Dovrebbero, la Critica musicale innanzitutto (e con essa gli operatori, le web review, i giornali di tendenza, gli addetti e tutti noi) ignorare quel versante muscolare, omologato e propinato dal sistema Musica/Politica/Mercato da manager d’assalto e assessori che anelano di offrire a Rete 4 o simili (sono tutte uguali) le proprie piazze per kermesse televisive.
È il dettaglio invece che può darci la linea immaginaria. Nella crisi, il piccolo
salva il grande. Tra gli esempi da coltivare ne cito qui uno, per sineddoche, come parte per il tutto, senza per questo far torto ai mille altri meritevoli di considerazione: Saturnia – perla della Maremma – e il suo Festival. Un esempio da raccontare a supporto di quanto sto dicendo. Conosco bene Saturnia. Eppure mi ci sono voluti anni per scoprire il valore aggiunto del suo Festival il cui programma è di sostanziale interesse e commisurato a un’ecologia creativa. La scoperta è stata che Saturnia è un paese di Musica. Sono quasi tutti musicisti/strumentisti, in percentuali davvero eclatanti: il barista, il panettiere, il fabbro, la erborista, gli addetti alle terme, le studentesse e gli studenti dalle medie fino al liceo, e così via. Sono tutti fattivamente ed emotivamente implicati nel Festival. C’è una comunità che si muove.
L’origine accademica, diciamo così, il motivo musicale aggregante è stata la costituzione della Filarmonica Amilcare Ponchielli a metà degli anni Venti del secolo scorso. Da allora la Filarmonica è stata un motore di crescita culturale. In cento anni – li compie nel 2025 – ha prodotto risultati straordinari. Come il fatto che le nuove leve della comunità abbiano seguito i passi di madri e padri fondatori riempendo via via le fila dei clarinetti, dei sax, delle trombe e tromboni e mobilitando e rafforzando famiglie in cui un padre tubista – è solo un esempio fra i tanti - alleva una figlia flautista. Come il fatto che si è prodotto, di conseguenza, un habitat musicale di base suonando Puccini e Cimarosa
ma poi, nel tempo, anche Morricone, i Queen o la World. Come il fatto che, sempre di conseguenza, la Banda è riuscita in buona parte a tenere insieme generazioni diverse sulla stessa partitura (al contrario dei dettami del neocapitalismo punto 1 e 2, che trae economia e sangue dai conflitti generazionali). Insomma la Banda (e i suoi esiti) e il suo sapere musicale attraversano la piccola comunità, che esprime anche un’avanguardia di struttura che gratuitamente si organizza e provvede a tutti i lavori di service. Va detto che dietro tali comportamenti c’è la Maremma: terra amara e mistica, patria etrusca e contadina di Davide Lazzaretti, il Cristo dei poveri, primo grande sperimentatore di collettività ad economia comune per questo ucciso dai Carabinieri del Re Savoia. Una terra dove la figura del contadino, soprattutto quello del Novecento postbellico, con i suoi molti saperi – ci dice Pietro Citati in un saggio illuminante – è una delle più alte forme di neoumanesimo mai realizzato dai tempi di Leonardo.
In conclusione, quel che conta in questo discorrere è suggerire una poco originale verità: tornare per quel che è possibile al piccolo, fuori dal muscolarismo spritz di quei Festival che fanno pensare alla favola esopica della rana convinta di diventare come il bue ingurgitando acqua fino a scoppiare. L’antidoto – ripeto – è il piccolo. Dobbiamo ripartire da lì. In questo senso l’Italia è ancora un forziere inesausto. Il Festival di Saturnia è tra queste possibilità preziose. Per l’attenzione che mette – sia
pure in programmi poco danarosi – alle tecniche degli esecutori; per la dedizione ad un pubblico medio competente; per la sua apertura e promozione dei giovani e delle differenze. Per la sua aspirazione a diventare nel tempo una piccola isola felice del sinfonismo bandistico, della world music d’alto profilo e della poetry maremmana, terra, peraltro, dell’ottava rima. Per la sua capacità di intessere relazioni con fenomeni analoghi e istituzioni analoghe o più importanti.
La Banda, il fenomeno Bandistico Italiano, è nel cuore di migliaia di italici paesi. Sono le Bande musicali la vera spina dorsale della musica di base (e non solo). Esse sono pratica musicale, musica d’insieme, propedeutica a studi più avanzati, sperimentazione orchestrale di sinfonismo e world music, prima comprensione effettuale di cosa sia la Musica, del suo valore sostanziale persino esoterico. Più attenzione alle Bande. Ecco un altro punto da cui ricominciare.
L’anno prossimo il Saturnia Festival festeggerà il suo Ventennale e sarà – credo – un gran tripudio di tecniche strumentali applicate ai vari generi musicali. Sarà – ne sono certo – un bell’esempio di come una piccola comunità, con economie limitate, possa contribuire, oggi, a un rinnovamento della funzione sociale della musica che - come sappiamo - non è solo intrattenimento ma esperienza interspaziale e mistica primaria.
Luigi Cinque