I treni, il vapore, l’altra Italia. Un ricordo di Giovanna Marini, InCanto 2024, Istituto Ernesto de Martino, Sesto Fiorentino (Fi), 15 settembre 2024

Lo sapevamo già che il canto di Giovanna Marini non avrebbe mai smesso di risuonare. Ché il canto è necessario, ci ha insegnato lei, come i suoni emessi all’alba dei tempi dal primo uomo sulla Terra, ad accompagnare le fatiche del lavoro, la dolcezza di una madre che culla il suo bimbo, lo strazio della morte, la supplica al Cielo, la rabbia di chi è sfruttato. L’umano vivere, per sua natura, si sublima in canto. Lo scorso 15 settembre abbiamo celebrato la vita cantata in nome di questa immensa e amatissima musicista, compositrice, ricercatrice e didatta, ritrovandoci in uno dei luoghi simbolo della ricerca musicale quale è l’Istituto Ernesto de Martino, archivio unico e prezioso oltreché attivissimo nella diffusione della cultura popolare tutta. Appassionati della sua musica, compagni del suo viaggiare, cantautori, poeti, musicisti, attori, fotografi, allievi, gente arrivata da ogni dove in pullman, in comitive o in autonomia, accolti da una mostra fotografica che ne descrive l’anima punteggiandola in brevi sguardi: seduta in terra a discorrere con compagni di eccezione; sola e decisa in piedi con la chitarra tra gli operai delle fabbriche; con le braccia aperte circondata dai suoi cori; stretta nel suo quartetto vocale assorta nell’intonazione di
una nota da incastonare in un’armonia complessa; e sorridente, ridente, anzi, nella grande fotografia innalzata al centro del cortile, tra il palco, le sedie e il banchetto dei dischi e dei libri, insieme al suo adorato amico Ivan Della Mea. Che scelta perfetta! È proprio lei: la sua visione collettiva e gioiosa della vita e la sua strenua lotta contro tutto ciò che vuole distruggerne la bellezza, sempre pronta alla risata spesso provocata da lei stessa, un’allegria che non si ferma ancora perché ogni aneddoto narrato che la vede protagonista sfocia in una fragorosa risata corale. È così che si svolge l’evento pomeridiano: sotto quei due sguardi divertiti. Con naturalezza, presentati di volta in volta da colui che ha chiamato tutti a raccolta e cioè Stefano Arrighetti, presidente del de Martino, si avvicendano ospiti previsti e improvvisati su di un palco adornato solo di due oggetti-simbolo: la sedia del mitico Folkstudio romano, in seguito appartenuta a Paolo Pietrangeli, e una delle chitarre di Giovanna portata in dono da Andrea Marini, suo nipote. Tra i più stretti compagni di arte della Maestra ci sono gli allievi della Scuola popolare di Testaccio, quelli di Monteporzio, altri sparsi convenuti da luoghi diversi e lontani quanto la Francia, e ensemble germogliati dalla sua didattica come il Trio a Modo (Patrizia Rotonda, Flaviana Rossi e Michele
Manca), strepitosi interpreti delle sue armonie; c’è Lucilla Galeazzi, presente fin dal primo organico del celebre quartetto, qui in forma smagliante e piena di un’energia che entusiasma e trascina il pubblico, accompagnata alla chitarra e alla voce da Stefania Placidi; c’è Bruno Fontanella, del Gruppo Padano di Piadena, che fu sul leggendario palco del Bella Ciao nel 1964, voce limpida e forte che il tempo non ha attaccato. C’è poi l’amico di una vita Rudi Assuntino che, prima dell’esibizione personale con un commovente tributo di gratitudine per i tanti momenti condivisi, si unisce al coro testaccino per cantare la sua brillante Nostro Messico. E c’è Gualtiero Bertelli, caposaldo della canzone popolare veneziana e autore, tra l’altro, della celebre Nina ti te ricordi che Giovanna tanto amava e cantava, come pure di Avanti Popolo, da anni parte del repertorio del coro Inni e Canti di Lotta fondato dalla stessa Marini (e che ora ne porta il nome): lancia il canto con la sua voce stentorea e nel ritornello si lascia avvolgere dal coro che apre e dà respiro alla splendida melodia, tutti insieme emozionati e grati l’uno per gli altri. Arriva Alessandro Portelli e offre la sua lettura dell’universo di Giovanna: mai di poco momento per portata
affettiva e culturale, nella disarmata ammissione del dolore per l’assenza di un’amica andata via e nell’analisi del suo spessore artistico, lui, docente di letteratura americana, la accosta ai più grandi cantautori e poeti contemporanei, cita Woody Guthrie e ricorda l’importanza delle ragioni della passione di Giovanna per la canzone di tradizione, indissolubilmente connessa all’essere umano: “Cercavo i suoni, ho trovato le persone”. Alessio Lega porta la sua versione rivisitata e attualizzata di una delle più note composizioni di Giovanna, trasformata ne I treni per Giovanna Marini, e infine invita sul palco la cantautrice sarda Claudia Crabuzza affinché rappresenti quest’oggi il tema del canto sacro, così fondamentale nella ricerca musicale della Marini, armonizzando con la fisarmonica e la voce di Guido Baldoni. Il Gruppo popolare terra e lavoro, costola degli storici E’ Zezi, porta la grinta di tammorra, chitarra, voci solide e storie allegre di viaggi e concerti con la Maestra, mentre si esprime con la massima dolcezza poetica e musicale Piero Nissim, che dedica all’amica parole semplici e sincere e ci parla di un amore resistente e più forte persino dell’orrore di uno sterminio. Immancabile, poi, Gianfranco Azzali, per tutti il “Micio”, anima della Lega di cultura di Piadena, con i suoi ricordi affettuosi e
straordinari da condividere con generosità; in duo, i Vincanto affrontano coraggiosamente, tra l’altro, il Lamento per la morte di Pasolini, uno dei capolavori di Giovanna e tra le composizioni che più amava cantare lei stessa durante i suoi concerti. Le parole di David Riondino raccontano storie di lotte condivise e riempiono l’aria con un lungo fluire poetico che lascia il pubblico confuso tra la voglia di ridere e il bisogno di piangere, prima che la voce intensa di Massimo Ferrante porti loro il cuore della Calabria al suono delle sue splendide melodie, fino al lungo intervento di Ascanio Celestini, che tanti palchi ha condiviso con Giovanna. Si legge sulla pagina dell’Istituto Ernesto de Martino: “Nel 1995, alla prima edizione [di InCanto], Giovanna Marini c’era. C’era anche alla seconda, e tante altre volte dopo. È venuta da sola, in quartetto, con Francesco De Gregori, col gruppo rock degli Animali Marini, è venuta col coro e la banda della scuola popolare di musica del Testaccio, è venuta con suo figlio Francesco, con Francesca Breschi, con Fausto Amodei, è venuta a presentare i film girati su di lei: c’era sempre Giovanna, e sempre sarà con noi.” La gente, infine, se ne va alla spicciolata, inseguendo pullman o treni, qualcuno resta a mangiare in compagnia, mentre la giornata cede alla sera; e se è vero che il dolore dà significato alla gioia, come ha ricordato Portelli, è certo che la sensazione di tutti è di vita, di presenza, di azione, di non resa. Sembra risuonare l’esortazione di Giovanna Marini contenuta in uno dei suoi canti più potenti: “Vivere l’utopia chiamandoci a raccolta…”. 

Alessia Pistolini

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