Dobranotch – Vander Ikh Mir Lustik (CPL-Music, 2024)

Con l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo i componenti dei Dobranotch, gruppo klezmer di San Pietroburgo, si sono trovati di fronte a un bivio: rimanere nel proprio paese o andarsene. Una parte dell’ensemble ha deciso di lasciare la Russia e si trova ora in Germania, dopo aver fatto una scelta difficile perché, come loro stessi affermano “Abbiamo lasciato famiglia, amici e fans senza avere la certezza di poterli mai più rivedere”. Ma se è inevitabile e comprensibile che ciò che i Dobranotch stanno vivendo e provando si ripercuota sulla loro arte e si avverta nelle tracce di “Vander Ikh Mir Lustik”, non si pensi però che l’album sia dominato dalla tristezza e dalla nostalgia. Questi sentimenti sono certamente presenti, ma alleviati dalla forza della musica, dal potere che essa ha di essere balsamo e cura, antidoto alle avversità, generatrice di speranza. Ciò è chiaro dal titolo dell’album, che in yiddish significa “girovago con gioia”, e con il quale i Dobranotch ricordano agli ascoltatori che sono venticinque anni che hanno intrapreso un loro personale itinerario geografico-musicale, e che ciò che in questo momento maggiormente desiderano è di condividere la gioia che provano dal loro viaggiare facendo musica. E poiché viaggiando si ha l’occasione di incontrare autori ed interpreti di varie origini e culture, è stato per loro naturale comporre una scaletta costituita da brani di diversa provenienza e tradizione, coinvolgendo amici musicisti di altri paesi, chiamati a rimpiazzare i compagni rimasti in Russia. Chiaro esempio di ciò è il brano di apertura, intitolato “Antloyf mit mir”. Si tratta di una canzone yiddish tratta dal repertorio di Benny Bell, musicista, compositore e attore ebreo-americano, il cui piacevolissimo suono è arricchito dal trombone di Dan Blacksberg e dalla fisarmonica di Ilyia Shneyveys, anch’essi statunitensi. Con un orecchio rivolto agli USA sono anche “In the pines” e “Fiddlesticks hora”. Il primo è definito dai Dobranotch un klezmer blues, in quanto il testo e l’andamento blues di questa folksong si mescolano con le sonorità di “Hora Boierească”, dal repertorio del violinista rumeno Costantin Lupu. “Fiddlesticks hora” è un medley tra due strumentali rumeni ed un pezzo della Moldova, nel cui finale il violino di Mitia Khramtsov assume sonorità che rinviano a modelli nordamericani. Ci portiamo invece in Georgia con “Lalebi”, una canzone a ballo che ebbe molto successo in URSS nella versione del gruppo pop Orera, e che i Dobranotch propongono in una versione a cui aggiunge valore il tessuto sonoro creato dal cymbalon di Germina Gordienko e dal clarinetto di Ilya Gindin. La successiva, vivace ed allegra “Dorule” contrasta con il significato di alcuni dei suoi versi, in particolare quando si racconta del taglio dei capelli a cui è sottoposto il giovane protagonista della canzone prima di partire per la guerra. Il riferimento al conflitto russo-ucraino è poi ancor più evidente nello scoprire che il brano proviene dalla Ruthenia, entità geografico-linguistica suddivisa tra Ucraina, Bielorussia, Russia, Polonia e Slovacchia, e nel leggere quanto il gruppo sia addolorato al pensiero dei tanti giovani che hanno lasciato le proprie case per difendere l’Ucraina dall’invasione. “Vanka” è una canzone tradizionale dei Rom russi, al cui ritmo progressivamente sempre più serrato contribuiscono due ospiti: il maestro della chitarra a 7 corde Vadim Kolpakov e il cantante Grisha Kolpakov. Dopo un inizio lento e quasi melanconico lo strumentale “Foaie verde cinci chiperi” vira verso atmosfere di festa, grazie al trombone di Blacksberg, alla tromba di Dumitru Hanganu e alla tuba di Jack Butler. Allo strumentale “Skotshne”, dal ritmo drum and bass, segue “Nebylitsa”, una canzone non-sense, e di cui il gruppo scrive “i versi (della canzone) sono pieni di assurdità, cosa del tutto normale nella tradizione russa, come possiamo constatare dai notiziari quotidiani”. La famosa melodia russa “Yabloch-ko”, unita ai versi in yiddish di Nathan Nazaroff, creano la vivace “Epele”, a cui segue la conclusiva “Op sha sha”, un pezzo di origine serba portato alla conoscenza del gruppo dal loro sassofonista Maxim Karpichev, rimasto in Russia, e con il quale i Dobranotch si augurano di presto ritrovarsi a suonare, dichiarando di credere ancora nella possibilità di una pace. Ed è proprio con “Peace for all!” che si chiudono le note di presentazione dei brani, note quanto mai utili per cogliere, senza neanche troppo leggere tra le righe, le emozioni e i pensieri dei Dobranotch, e lo spirito di un album divertente senza essere mai vacuo, suonato e cantato benissimo, vario e ricco di stimoli culturali. Ottimi tutti i componenti del gruppo, compresi naturalmente i non precedentemente citati Paul Milmeister (banjo) e Evgenii Lizin (grancassa e percussioni). 


Marco G. La Viola

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