Festival Interceltique, Lorient (Bretagna), 12 - 18 agosto 2024

Il cartellone artistico ha chiaramente risentito di queste pesanti variazioni: meno giorni, meno artisti; meno concerti, meno introiti; meno budget e dunque meno investimenti sui grandi nomi del panorama musicale e artistico dei cosiddetti Paesi celtici. E qui l’escamotage della formula “gioventù” dilaga con ragion d’essere: una folta truppa di nuove proposte, inedite formazioni e gruppi mai sentiti prima, che tra dubbi e curiosità non ha fatto mancare qualche piacevole scoperta. Nelle solite challenge pomeridiane, per esempio – di cornamusa, organetto, e arpa celtica – si è goduta una grande freschezza di repertorio e tecnica, concentrata tutta sulle dita di ragazzini giovanissimi. Di questi segnaliamo Fiona Black, dalle alte terre scozzesi, che ha vinto il primo premio del concorso d’organetto Castagnari – Loric, e Alice Guse, un’altra rappresentante del gentil sesso, sempre scozzese, che ci ha meravigliati all’arpa celtica durante il Trofeo Camac. Anche le tradizionali sfilate di pipe band quest’anno hanno visto marciare bande di giovanissimi – come la George Heriot’s School Pipe Band dalla Scozia, e la City of Limerick Pipe Band dall’Irlanda. Il trionfo assoluto, a proposito di sfilate musicali, si è toccato sicuramente la mattina di giovedì 15, in occasione della “grande parade” che ha lungamente sfilato per le principali vie della cittadina e che ha visto circa 2500 tra musicisti e danzatori – in costumi tradizionali, ma i giovanissimi anche in jeans – riempire di suoni e colori Lorient, che riecheggiava ovunque la potenza delle centinaia di gonfie Highland bagpipes. Quasi novantamila spettatori hanno assistito a questo mastodontico défilé che ha letteralmente paralizzato la città – metti pure che era Ferragosto – e ha fatto il sold out di alberghi e ristoranti, per la soddisfazione del comparto turistico (che quest’anno non ha premiato la Bretagna, in generale), e con buona pace dei
residenti non “celtizzanti” che odiano vedersi ogni anno espropriata la città dal Festival. Alcuni nomi importanti, appartenenti ormai alla generazione veterana, non sono mancati, e sono stati ben distribuiti nel calendario settimanale, per assicurare la presenza del pubblico non local. Ne segnaliamo tre, in ordine cronologico di apparizione: il progetto “Celtic Odissey” capitanato dal bretone Ronan Le Bars, virtuoso di uilleann pipe, presenta l’episodio #3 di questo ricco viaggio musicale in cui i canti e le specifiche virtù delle otto nazioni celtiche sono miscelate con gusto ed equilibrio; ricorda con più di un’ovvietà il mitico “Héritage des Celtes” degli anni Novanta di Dan Ar Braz, ma il ricambio generale conta non poco, ed ecco allora alla ribalta le voci della scozzese Julie Fowlis, Zoë Conway dall’Irlanda, la stupenda voce bretone di Marthe Vassallo, e Ruth Keggin che canta in mannese. Tutto esaurito il teatro, come pienone fisso per le tre (3!) date consecutive che hanno (ri)portato a Lorient uno dei beniamini assoluti dell’Interceltique: don Carlos Nuñez da Pontevedra, dal finis terrae galiziano. Stavolta la generosità di Nuñez è stata impagabile; due date il giorno 15 e una il 16 per presentare la sua ultima opera “Celtic Sea” (di cui parleremo con una intervista esclusiva, prossimamente). Intanto basti sapere che il concetto è lo stesso di sopra: un viaggio per mare (celtico, va da sé), alla ricerca di approdi musicali che connettono un tessuto umano e culturale vivo e vegeto. La firma di Nunez caratterizza il suono inconfondibile della sinfonia, passando dalla gaita a decine di flauti che usa magistralmente. Oltre due ore di concerto al fulmicotone, col teatro che canta, sogna e balla. La terza serata rimarchevole – se consideriamo che il concerto della mitica Bothy Band è stato annullato all’ultimo per vaghi “motivi di salute” –, dal punto di vista internazionale, e con l’appeal storico,
è quella dedicata alle “Irish legend”: l’ultima sera del Festival, con il doppio concerto in sequenza delle Cherish the Ladies e di Matt Molloy. La solita classe senza tempo, il solito repertorio immortale. Gli amanti del genere irlandese, orfani degli insostituibili Chieftains, hanno potuto sognare tutti insieme, in un teatro traboccante. Ma il Festival di Lorient ormai è tutto un pulsare che funziona a prescindere dei concertoni e dei grandi nomi che riempiono i principali palcoscenici allestiti per l’evento. Le vie e le piazze, ogni pub e anche ordinari esercizi commerciali allestiscono in quei giorni un palchetto o uno spazio improvvisato che contribuire all’atmosfera festivaliera. Una menzione speciale va doverosamente fatta per ciò che avviene alla mitica Tavarn ar Roue Morvan, il ristorante bretone a place Polig Monjarret (ma guarda un po'!): una vera festa nella festa, tutto il giorno e tutti i giorni, happening e concerti e fest noz di primissimo livello, sul palco del pub e tra i tavoli di chi gusta kig-ha-farz, sidro fresco e una stout spillata come Dagda comanda. Quest’anno tutti a ballare con un sempre più solido Hamon Martin Quintet e una indiavolata Bagad de Lann-Bihoué. In generale un buon risultato complessivo – 650mila partecipanti, ha stabilito Jean-Phillippe Mauras, direttore del FIL –, lontano dalle edizioni fotoniche degli ultimi vent’anni, ma tenuto conto degli stravolgimenti socio-economici epocali. Meno turismo internazionale e italiani praticamente non pervenuti. I bretoni, che giocano in casa, la fanno sempre da leoni e la formula jeunesse che riempie sempre il cuore di speranza e tenerezza ha riempito per una settimana teatri e piazze per ascoltare (anche sotto la pioggia battente) nomi sconosciuti e alle prime armi: encomiabile atteggiamento di fiducia nel futuro. E se son fiori, fioriranno.

 

Giorgio Calcara

Foto e video di Giorgio Calcara

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