Purtroppo, la politica va in un'altra direzione ed è difficile che questi due antipodi si incontrino. Cosa intendo dire? Voglio dire che ci vorrebbe più sensibilità, perché oltre al sostegno economico c’è il sostegno morale delle istituzioni, che non riescono a percepire lo sforzo di associazioni che si rendono autonome e riescono a organizzare un festival da 28 anni, nato dal nulla, nel cuore dell'Appennino, a 800 metri d'altezza, dove non c'era una tradizione musicale radicata. Oggi, senza presunzione, dico che ce lo invidiano.” Per la XXVIII edizione, svoltasi dal 15 al 18 agosto a Piano della Croce, l’AFF ha scelto come logo un Pulcinella stilizzato che richiama il costume e il copricapo del ‘Caporaballo’ del Carnevale di Montemarano, e il sottotitolo di “Oltremediterranea”, modellando l’idea programmatica di un focus sulla Campania che interseca l’onda colorata di suoni da sempre prerogativa della kermesse. In tal senso, ci sarebbe piaciuta la partecipazione proprio di musicisti montemaranesi, sempre per restare nell’avellinese, portatori di una musica che rappresenta pienamente la dialettica tra ritualità tradizionale e contemporaneità. Il festival, sebbene spinga sul “locale”, non lo esibisce come chiusura identitaria, tutt’altro: lo sguardo è sempre aperto al cambiamento, alla fusione di stili, con un invidiabile respiro internazionale. Fodarella aggiunge: “Dopo aver girato il mondo, quest’anno abbiamo focalizzato l’attenzione sulla nostra terra, mettendo in vetrina una serie di proposte con l’obiettivo di celebrare le ricche tradizioni musicali della regione, combinandole con influenze moderne”.
Oltre ai concerti, l’Ariano Folkfestival include attività collaterali, come l’Aperi-world con i dj set (quest’anno DJ Grissino e Coquette DJ) e un set al tramonto il secondo giorno (con le Zagara Flamenco). Il programma del main stage è stato aperto la sera del 15 agosto (a ingresso gratuito) dagli “illusionisti vocali” cubani Vocal Sampling: René Baños Pasqual (direttore musicale e arrangiatore), Abel Sanabria Padrón (voce percussione), Reinaldo Sanler Maseda (tenore), Jorge Núñez Chaviano (tenore), Oscar Porro Jiménez (baritono) e Renato Mora Espinosa (tenore). Queste magistrali voci riproducono le diverse sezioni ritmiche, melodiche e armoniche delle canzoni, attraversando repertori di son cubano e oltre, da “El lunes que viene empiezo” a “El Carretero” (omaggio a “Buena Vista”), dalla salsa di “Buscando Guayaba” di Willie Colón e Rubén Blades a “Guantanamera”, fino al rock e al pop di “Every Breath You Take” e “Hotel California”. A Napoli, quindi, per “Città futura”, il progetto visionario di Bassolino (Yamaha Cp70, Fender Rhodes, Farfisa Synthorchestra, Korg Sigma, voce e arrangiamenti), un profluvio sonoro retrò che combina disco-funk, jazz, melodie partenopee ed elettronica, contornato da una band di tutto rispetto (Paolo Petrella al basso e alla produzione, Marcello Giannini alla chitarra elettrica, Pietro Santangelo al sax, Linda “LNDFK” Feki alla voce, Francesca Iavarone al flauto, Gennaro Apuzzo alla voce e Andrea De Fazio alla batteria). La serata si è conclusa con le vibes del producer napoletano-londinese dell’East End, Riva Starr, per il quale Napoli è punto di arrivo e partenza, fresco del suo singolo “Vicino ‘o mare”, anticipazione del suo nuovo lavoro “Glitch On Naples”; Riva Starr ha fatto ballare il pubblico nella notte arianese con il suo mix di sonorità elettroniche che fanno sfumare i confini tra ricerca creativa e procedure soniche da
clubbing. Il secondo giorno è stato aperto dall’organetto preparato di Alessandro D’Alessandro, protagonista di un serrato set che ha catturato il pubblico. Il musicista laziale ha spinto sull’innesto dell’elettronica, dilatando e aprendo nuove vie a brani tratti dal suo fortunato album “Canzoni”, mettendo in luce le sue idee creative e la tecnica sul mantice che vengono prima di qualsiasi “correzione” elettronica. Il live act più coinvolgente del festival ce lo consegna Baiuca: si fa presto a dire semplicemente folktronica parlando dello spettacolo totale officiato con spirito incantatorio e avventuriero dal galiziano Alejandro Guillán Castaño, in arte Baiuca (programmazione, controller, DJ, synth e flauto), sul palco con Xosé Lois Romero (percussioni, adufe e oggetti contadini di lavoro e di casa), Andrea e Alejandra Montero (voci e pandereta) e Adriāán Canoura (Live VJ). I materiali di partenza sono la tradizione vocale accompagnata dal piccolo tamburello e le danze dell’ovest iberico che sono trattate con muscolosi beat elettronici deep house, passaggi più scuri e downtempo, stratificazioni di diverse scansioni ritmiche e visual che alternano paesaggi galiziani, rituali, feste, mascheramenti e strumenti iconici come il pandeiro. Le voci all’unisono, acute ed aspre delle Lilaina (Andrea e Alejandra Montero) riprendono lo stile di canto tradizionale nell’iniziale “A minha fraga”. Superlative “Meigallo” e “Lavandeira” con le voci delle due cantareiras-pandereteiras che si ergono su ritmi sintetici più profondi e rallentati. Implacabile, “PAEQB” (Por Amar E Querer Ben) amplifica le possibili connessioni tra la musica tradizionale galiziana e strutture pop senza abbandonare il dancefloor. “Veleno” è un altro hit, dove al testo tradizionale galiziano si avvinghia la base ritmica e visuale di Baiuca, mentre percussioni e aperture “celtiche” si parano in
“Conxuro”. “Diaño”, invece, porta in scena il charrasco, una sorta di sistro di grandi dimensioni, costituito da un palo di legno alla cui estremità superiore è posta un’intelaiatura di legno di forma quadrangolare dotata di piccoli sonagli metallici. “Ribeirana” è il gran ballo finale a tempo di muiñeira. Ai Ko Shin Moon, duo electro-folk (Niko Shin e Axel Moon), è toccato il compito di accompagnarci nella calda notte arianese con il loro sound che si alimenta a rock psichedelico, space disco, dabke e stilemi anatolici. Il terzo giorno è di marcata impronta afro. Si principia con gli innesti jazz-fusion-afrobeat dei franco-napoletani Parbleu, nati da un’idea di Andres Balbucea e Andrea De Fazio, si prosegue con il corroborante afro-pop della camerunese-francese Valérie Ekoumé, cantante a compositrice di gran presenza scenica dispiegata con i due partner mascherati da elefanti: l’ottimo Guy Nwogang alla batteria e Christopher Peyrafort alla chitarra elettrica. Nonostante qualche problema tecnico con le basi, l’atmosfera si scalda con un’artista dalla voce soulful, che abbraccia rumba congolese, bikutsi ed esséwé, senza far mancare l’elogio della soul makossa di Manu Dibango (con cui ha collaborato), Nel gran vortice si affaccia anche una “Volare”, versione Gypsy King, che diverte il pubbblico ma, a dirla tutta, può aver fatto pure storcere il naso a qualcuno. Finale con la spettacolare poetica afrofuturista del DJ, performer e coreografo ugandese Faizal Mostrixx, che reimmagina danze rituali (tra cui il kalodi, un rito di passaggio), campionamenti di timbri strumentali e canti tradizionali con suoni elettronici dance e downtempo. L’ultima giornata del festival, il 18 agosto, è stata aperta dalla coloratissima parata di carnevale estivo,
accompagnata dai ritmi del gruppo Bandao e Boomerang Orchestra, mentre dal pomeriggio si sono avvicendati i napoletani The Officinalis a colpi di funky, ska e rocksteady. Sugli scudi il métissage dell’orchestra tribù francese Opsa Dehëli (tromba, sassofoni e clarinetti, chitarre, violino, timbales, steel drum, basso, batteria, congas, fisarmonica e voci). I girondini sono artefici di mappe sonore contagiose e calienti che accolgono mambo, calypso, cumbia, jazz, rumba, valzer e sprazzi balcanici e gitani (nel set ascoltiamo: Mezcalito”, “Soleil”, “Abrasamiento”, “Moin Domi Dewo”, Mover la cintura”, “Verde y Maduro” e nei bis “Egeszegedre”), alimentando quel ritmo di festa culminante nell’esibizione di Ars Nova Napoli & friends. Lavinia Mancusi, dotata polistrumentista e fulgida e potente voce, una delle cantanti di punta del folk contemporaneo italiano (ahimè, misconosciute) insieme a Denise Di Maria (voce, chitarra, tamburello e maracas) ha aperto con un set acustico in movimento tra tradizione orale tra Roma e l’Italia centrale e mondo latino-americano. Alle due musiciste si sono aggregati gli Ars Nova Napoli, che tra una tarantella, un omaggio a Rosa Balistreri e una discesa nel Salento danzante e stornellante hanno innalzato il ritmo; l’ingresso dei fiati della Bagarija Orchestra, poi, ha fatto il resto. Ma non basta, perché si sono aggiunti altri altri ospiti: Irene Scarpato (voce) ripesca “Tammurriata Palazzola” (1914, della premiata ditta Rodolfo Falvo e Ferdinando Russo), poi ariva Alessandro D’Alessandro con cui il super combo partenopeo esegue una “Canzone Appassiunata” a tinte balkan e mediorientali. C’è pure Simona Boo, altra grande vocalist newpolitana afrodiscendente dai tanti “registri esistenziali” (come dice lei stessa) e musicali che passa senza soluzione di continuità da “’O Documento” a “Nu Latitante”. Finale tammurriante, segnato dall’arrivo in scena dell’iconico Antonio Matrone “O Lione”, signore del ballo del tamburo dell’agro-nocerino, a concludere la gran festa campana di Ariano Irpino. È bello
immergersi nell’esperienza socialmente eterogenea e trans-generazionale di Ariano Folk Festival, “nave dei folli” resistente e dinamica, in costate dialogo con altre progettualità mediterranee di matrice trad e world. Operando al di fuori di schemi mainstream, mantenendo totale autonomia e piglio anarcoide, l’AFF propende per un approccio di ricerca (senza mai rinunciare alla componente festiva), in grado di portare sul palco artisti spesso sconosciuti ai più, eppure riuscendo ad attrarre un vasto e variegato pubblico che attende con fiducia le multiformi scelte artistiche, predisponendosi all’incontro, all’ascolto e al ballo: una delle benedette anomalie che si rintracciano nella Penisola.
Ciro De Rosa
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