Il viaggio ‘iniziatico’ di Alan Lomax e Diego Carpitella in Sicilia

Il più giovane Diego Carpitella (1924, quest’anno ricorre il centesimo anniversario della nascita), trai padri fondatori dell’etnomusicologia italiana, aveva preso parte alle ricerche che nel dopoguerra condussero intellettuali e studiosi nell’Italia del Sud, sulla scia della vasta eco suscitata dalla pubblicazione di “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi (1945), per documentare la cultura materiale e immateriale di quelle che allora venivano definite “classi subalterne”: nel 1952 collabora con Ernesto de Martino nella “fondativa” indagine sul campo in Lucania, ancora con de Martino nel 1954 è in Basilicata e Calabria per una ricerca sulle tradizioni musicali delle comunità arbëreshe, e sempre nello stesso anno accompagna Alberto Mario Cirese in Molise per raccogliere gli altrettanto ricchi repertori musicali locali. Prima del viaggio in Italia Lomax già viveva in Europa, dietro l’impulso di un ambizioso progetto volto alla realizzazione di una collana di LP per la Columbia Records, che doveva far parte delle prestigiose edizioni ‘The Columbia World Library of Folk and Primitive Music’, ma in realtà anche per tenersi alla larga dalle sempre più aggressive persecuzioni del maccartismo e dai soffocanti controlli dell’FBI (che
comunque proseguirono anche nel Vecchio continente) in quanto – al pari di altri intellettuali e artisti nel clima plumbeo di quegli anni di inizio della Guerra Fredda – sospettato di simpatie comuniste. Dalla fine del 1950 è dunque a Londra dove resterà fino al 1957, realizzando programmi radiofonici di gran successo per la BBC (che produssero effetti di lungo periodo sulle vicende del ‘folk revival’ inglese) e frequenti viaggi lungo Gran Bretagna e Irlanda in cerca di canzoni tradizionali. Nel 1952 trascorre sette mesi nella Spagna franchista, attraversandola fino agli angoli rurali più sperduti, spesso ricercato dagli agenti del regime (in singolare analogia con quanto gli era già accaduto durante le ricerche sui neri del Sud degli Stati Uniti, dove spesso era stato oggetto delle attenzioni degli sceriffi locali, indispettiti anche solo dal fatto che qualcuno potesse interessarsi alla cultura degli oppressi), registrando una enorme quantità di canti e espressioni tradizionali originali, disparati e di grande qualità espressiva. Dopo la Spagna è la volta dell’Italia, destinataria di una campagna di ricerca se possibile ancora più ambiziosa di quella iberica, a cui diede significativo sostegno una istituzione culturale
nata da qualche anno a Roma presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il Centro nazionale studi di musica popolare, ottimamente diretto del musicista e musicologo Giorgio Nataletti e con cui aveva appena cominciato a collaborare anche Diego Carpitella. Prende avvio così la prima sistematica campagna di rilevazione delle tradizioni musicali locali che tocca quasi tutta la Penisola, permettendo di documentare una ingente quantità di pratiche allora ancora largamente in uso, in particolare nei contesti rurali (si era alle soglie di quel “boom economico” che avrebbe in pochi anni modificato in maniera sostanziale il paesaggio culturale italiano), e rilevando l’azione performativa di una foltissima schiera di esecutori, spesso di pregevole livello qualitativo. Una impresa a suo modo epocale, che comincia proprio dalla Sicilia dove i due, in sole tre settimane, dal 2 al 23 luglio, raccolgono 160 audioregistrazioni in 18 località e un corpus fotografico di 223 scatti percorrendo l’isola da est a ovest, dalle coste all’interno, riprendendo – col registratore e la fotografia – canti dei pescatori nella tonnara di Sciacca; dei salinari a Trapani; della mietitura e della trebbiatura nelle campagne della
Sicilia interna; dei carrettieri nel Palermitano e nel Ragusano; le ninnananne e i giochi infantili; i canti devozionali (dal Natale alla Settimana Santa); le musiche di tamburi, zampogne, flauti di canna e orchestrine variamente costituite; il repertorio del cantastorie. Le rilevazioni potevano avvenire durante il dispiegarsi dei gesti del lavoro o in esecuzioni svincolate dai contesti. Le abilità empatiche e rabdomantiche di Lomax, capace di instaurare immediate relazioni e di individuare rapidamente gli esecutori più dotati (sul tema esiste una eloquente aneddotica), unite alla professionalità e alle doti di mediatore di Carpitella, permisero, nonostante la brevità delle permanenze sul posto, di raggiungere risultati di altissimo livello. Tutto questo prezioso materiale, conservato nella ‘Library of Congress’ di Washington, in accordo con la “Association for Cultural Equity” presieduta da Anna Lomax Wood Chairetakis (figlia del ricercatore texano), è integralmente disponibile anche in Italia nel Centro Studi Alan Lomax istituito presso il Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino di Palermo. La mostra “Sicilia 1954. Il viaggio musicale di Alan Lomax e Diego Carpitella”, curata dai due etnomusicologi Sergio Bonanzinga, docente presso l’Università di Palermo, e Rosario Perricone, direttore
del Museo Pasqualino, allestita presso i suggestivi spazi di palazzo Steri fino al 31 luglio, intende rappresentare, a settanta anni di distanza, quella eccezionale e quasi romanzesca esperienza, attraverso l’esposizione di un’ampia selezione delle fotografie, col corredo dei suoni relativi ai vari contesti fotoripresi, arricchita da filmati che restituiscono i medesimi contesti documentati da Lomax e Carpitella (se ne può trovare una valida esemplificazione in questo video). È prevista inoltre la pubblicazione di un catalogo riveduto e aggiornato dei documenti sonori e fotografici, con la traduzione italiana del diario inedito tenuto da Lomax (che è giunto a noi a differenza di quelli relativi al resto dell’esperienza italiana, che gli furono rubati), corredato da note “di campo”, disegni e schemi. Si intende così rendere un doveroso omaggio a una grande impresa culturale e ai suoi protagonisti, ma anche restituire agli studiosi, agli appassionati e alle comunità di provenienza, con un adeguato sguardo critico, reperti musicali inestimabili, testimonianza in molti casi di pratiche da tempo uscite dall’uso ma ancora vividi e di folgorante bellezza. 

Vincenzo Santoro


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