Nduduzo Makhathini – uNomkhubulwane (Blue Note, 2024)

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Quello pubblicato il sette giugno è l’undicesimo album per il pianista, cantante e compositore sudafricano Nduduzo Makhathini, il terzo per la Blue Note, dopo “Modes of Communication: Letters From The Underworlds” (2020) e, nel 2022, “In The Spirit Of Ntu”: un lavoro in trio con il contrabbassista Zwelakhe-Duma Bell le Pere e il batterista cubano Francisco Mela con cui ha già suonato dal vivo nei mesi scorsi. “Nella cosmologia Yoruba”, dice Makhathini, “il numero tre indica equilibrio e armonia. La spiritualità africana associa il tre all'infinito, all'immortalità e alla continuità attraverso un triplice stato dell'essere: prima (gli antenati), ora (i vivi) e il futuro (i non ancora nati)". La musica confluita in questa nuova suite scaturisce da un “canto materno” offerto a Makhathini durante il processo di iniziazione cui ha partecipato per divenire un guaritore, sorta di messaggio profetico ascoltato quando si è immerso nell'acqua per incontrare uNomkhubulwane, entità divina legata alla pioggia, regolatrice della natura, della luce e della fertilità: a lei si rivolgono gli anziani zulu - quando il loro territorio viene colpito dalle inondazioni o dalla siccità – offrendo canti e doni, auspicando il suo manifestarsi in forma di arcobaleno, simbolo di generosità e di equilibrio. L’intero album ne invoca lo spirito auspicando che porti abbondanza. Le undici composizioni
originali di “uNomkhubulwane” sono raggruppate in tre movimenti. Il primo, “Libations”, racconta in tre brani la memoria collettiva nera all'interno di un contesto di protesta contro l'oppressione in corso: “questo movimento rimanda all’eterno stato di lutto nero che ci ha fatto perdere le nostre voci, continuiamo a piangere, anche se non abbiamo più lacrime". La musica invoca acqua che possa curare questa “siccità”: sono note staccate, suonate nella parte più acuta del piano a veicolare una sensazione di gocce di pioggia con cui si impasta la voce calda di Nduduzo Makhathini, in “Omnyama” che apre l’album offrendo un canto che si alterna al recitativo, incalzato dalla batteria e dal basso, quest’ultimo protagonista di un inspirato solo nella seguente, strumentale, “Uxolo”. “KwaKhangelamankengana” chiude il trittico fondendo narrazione orale, accenti di danza e energiche improvvisazioni che accostano i metalli della batteria alle note alte del piano. I quattro brani di “Water Spirits”, il secondo movimento, narrano l'energia vitale capace di ristabilire la vita, subito evocata dal senso di armonia che infonde la ballata più riconoscibile come “sudafricana”,
vicina alle attenzioni cui ci ha abituato Abdullah Ibrahim per le melodie tradizionali, “Izinkonjana”. La trascinante “KwaKhangelamankengana” lascia spazio all’energia e ai poliritmi della sezione ritmica e ai viaggi modali sulla tastiera, reminiscenti di McCoy Tyner. Poi la musica si fa più rarefatta, riporta al centro la voce, anche nei registri più acuti, prima di far spazio alle quattro parti afro-futuristiche del movimento finale, “Inner Attainment”, canto alla libertà, alla speranza e alla grazia, una ricerca di trascendenza. L'introspettiva di “Izibingelelo” rende ancora più interessante la ritmica nervosa e creativa di “Umlayez'oPhuthumayo”, occasione per proporre richiami armonici monkiani un riuscito crescendo. “Amanzi Ngobhoko”, inizialmente, ferma di nuovo il tempo: torna il canto spirituale di Makhathini, ma questa volta la sezione ritmica risponde al pianista sia con i rispettivi strumenti, sia con cori che accentuano la carica delle chiamate liriche della voce solista. L’ultima parola è lasciata al pianoforte solo, a “Ithemba” che in quattro minuti sembra riuscire a disegnare e far intravvedere l’agognato arcobaleno.  


Alessio Surian

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