Sassofonista con alle spalle un lunghissimo ed articolato percorso artistico, Archie Shepp è una delle leggende viventi del jazz americano, non solo per essere stato tra i protagonisti dell’avanguardia, ma anche per aver rappresentato una delle figure di spicco del movimento free. Dopo aver collaborato con Cecil Taylor e il debutto discografico con il gruppo New York Contemporary Five, intraprese una fortunata collaborazione con John Coltrane che fruttò gli epocali “Four for Trane” e “Ascension”, ma la svolta nel suo percorso artistico avvenne con “Fire Music” nel quale si percepiscono i primi riferimento all’afrocentrismo con il riferimento diretto alla musica cerimoniale africana che si fecero sempre più marcati in “The Magic of Ju-Ju” del 1967. Negli anni Settanta la sua musica si indirizzò verso la sperimentazione con “Attica Blues” e “The Cry of My People” nei quali si avverte con ancor più forza il suo crescente radicalismo verso le radici africane. In questo senso si sono indirizzati anche i dischi degli anni successivi nei quali le sue esplorazioni sonore mirano ad individuare le possibili connessioni tra la tradizione musicale africana e il jazz. Parallelamente, molto intensa è stata anche la sua attività didattica come professore nel dipartimento di studi afroamericani all'università del Massachusetts dove ha insegnato sia musica che storia della musica. Negli ultimi anni, ha continuato a produrre album pregevoli e giunto all’età di ottantaquattro anni non ha mai smesso di mettersi in gioco, anche confrontandosi con musicisti molto più giovani. È il caso di “Let My People Go”, album dal vivo che lo vede al fianco di Jason Moran, pianista poco più che quarantenne considerato tra i più eclettici e creativi della sua generazione, e nel quale è raccolta una selezione di sette brani provenienti dalle registrazioni dei concerti del 12 settembre 2017 a La Philarmonie de Paris durante il Jazz à la Villette Festival e del 9 novembre 2019 al Alte Feurwache Mannehim nel corso dell’Enjoy Jazz Festival. A quasi tre anni dalla sua pubblicazione, il disco è tornato sul mercato grazie alla distribuzione di I.R.D. e ci consente di riscoprire tutto il fascino e la bellezza di questo incontro tra due generazioni di strumentisti dal diverso background artistico e formativo, ma che hanno trovato il loro comun denominatore nella medesima visione della musica, completamente libera sotto il profilo della ricerca e della sperimentazione. Laddove, infatti, Shepp ha praticamente il doppio degli anni di Moran, non si avverte alcuna asimmetria creativa e sostanziale, ma piuttosto si colgono due musicisti in grande forma in grado di dare vita ad un dialogo a tutto campo. E’ qui che si percepisce la stretta connessione tra questo progetto e l’esperienza in duo con Horace Parlan negli anni Ottanta, ma ancor di più ritroviamo ritroviamo tematiche da sempre care a Shepp come i diritti civili e l’orgoglio nero, ben evocato dal titolo. Sotto il profilo prettamente musicale, il sassofonista americano imbraccia in tre episodi, il sax soprano e lo fa con magistrale potenzia arrivando a colpire dritto al cuore dell’ascoltatore per intensità ed espressività, Moran dal canto suo costruisce vibranti strutture armoniche blues nelle quali si percepisce l’abilità tecnica e la varietà espressiva. Ad aprire il disco è la versione da brividi dello spiritual “Sometimes I feel like a motherless child” che il duo rilegge con trasporto, consegnandoci poco più di otto minuti di grande jazz. La tensione emotiva resta alta con lo standard “Isfahan” di Billy Strayhorn e Duke Ellingtonm con il sax visionario di Sheep in grande evidenza, e lo struggente gospel “He Cares” firmata da Moran. Si prosegue con lo spirituale “Go down Moses” nella quale il pianoforte avvolge l’evocativo eloquio del sax, l’omaggio a John Coltrane con la superba resa di “Wise” e “Lush Life” di Billy Strayhorn nella quale spicca il canto di Sheep sul finale. Il vertice del disco arriva con “Round Midnight” di Thelonius Monk che qui appare essere qualcosa di più di un tributo, ma piuttosto il racconto appassionato di una stagione irripetibile, ma ancora viva e proiettata verso il futuro come dimostra il magnifico lavoro al pianoforte di Moran che si sposa meravigliosamente con il sax di Shepp. “Let My People Go” è, dunque, un concentrato di pura e vivida bellezza, frutto della vitalità creativa di due strumentisti illuminati che entra di diritto nella storia del jazz.
Salvatore Esposito
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