Natascha Rogers – Onaida (Nø Format!, 2024)

Nata nei Paesi Bassi da madre olandese e padre amerindio, Natascha Rogers nel corso della sua esistenza che l’ha vista spostarsi per esigenze familiari attraverso diverse nazioni e continenti, ha fatto del pianoforte la sua àncora e il suo orizzonte musicale sviluppando su di esso da autodidatta il suo stile peculiare ispirato al bretone Yann Tiersen, noto soprattutto per le colonne sonore di alcuni film cult (Il favoloso mondo di Amelie, La vita sognata degli angeli, Good Bye, Lenin), e alle piccole composizioni ispirate ai bambini delle Children’s Songs di Chick Corea. Inoltre, raccogliendo l’eredità paterna relativamente alle percussioni, la Rogers ha costruito un proprio percorso musicale che l’ha portata in ripetuti viaggi a Cuba e a seguire lezioni di importanti percussionisti mandingo e afro-cubani. Il terzo album della Rogers, “Onaida”, che succede a “Raise your soul” (2012) e “Your face” (2017), nasce dalla necessità di introspezione e di fuga dalla velocità che caratterizza il nostro tempo, concretizzata nell’isolamento a Pommerit-le-Vicomte, un paesino della Bretagna. “Volevo allontanarmi da tutto il rumore, la fretta, le informazioni veloci intorno a me e tornare al centro di qualcosa di autentico e semplice, fragile e puro, qualcosa di molto intimo e personale”, sono le sue parole. In effetti la Rogers ritornando a sé stessa propone atmosfere intime e sfumate in canzoni apparentemente lievi - in realtà ad elevato peso specifico- composte in inglese, spagnolo e yoruba, con temi musicali semplici che vogliono comunicare stati d’animo e a tratti possono ricordare i carillon o accattivanti musiche per bambini, e testi che affrontano i temi del rapporto tra l’uomo e la natura, dell’universo femminile e della spiritualità. Tra i dodici brani che compongono questo delicato acquerello, tutti di composizione della Rogers con la collaborazione di Joachim Olaya come ingegnere del suono, si segnalano in particolare le tre tracce in apertura dedicate alla Madre Terra: “See”, dai toni gentili, un invito a prendersi cura del nostro pianeta che stiamo distruggendo, “The wound” danza rituale circolare cantata con voce eterea e “Aniafa”, ode in cui Natascha esorta a riscoprire il potere dell'energia femminile che dona equilibrio e armonia alla natura. “Aniafa è il nome di una preziosa fonte d’acqua” spiega l’artista e, ancora: “Questa canzone è un rito, una preghiera che canto per rendere omaggio a questa fonte, all’acqua e alla sua bellezza come alle sue virtù”. Incarna lo spirito eclettico dell’album la traccia “Sacred Night” che trae ispirazione e ritmi dall'Africa occidentale e da Cuba, intrecciandosi con melodie popolari del folk anglosassone sostenute da un tamburo batá afro-cubano. In questo brano è accompagnata alle chitarre da Anthony Jambon (con riff che ricordano le chitarre tuareg) e alle tastiere da Edward Rogers. L’accattivante, vivace “O Baba” augura speranza e forza e, al centro della canzone, in lingua yoruba, richiama lo spirito guerriero e cacciatore di Ochosi, che rappresenta la giustizia. “Sanza”, unico strumentale dell’album, è dedicata alla mbira mentre “Tambor” è un omaggio al tamburo e al suo potere di guarigione. La melanconica “Ashes” immagina il viaggio delle ceneri dei defunti attraverso delicati accordi al pianoforte e una melodia suggestiva e soave. Ancora un brano dedicato alla Terra è “Land”, di ispirazione folk, guidato da suggestive e profonde percussioni e trainato da vocalizzazioni simili ai suoni degli animali della foresta. La traccia conclusiva “The West”, con la collaborazione del cantautore britannico Piers Faccini, si ispira agli scritti della poetessa Joy Harjo, nativa americana statunitense. Parla della rappresentazione delle quattro direzioni per la nazione Creek, per le cui tradizioni l'ovest è la direzione finale, la porta verso i nostri antenati. Arrangiamenti minimali e delicati, voce sottile e vibrante, intonazioni folk e new age ma anche molto contemporanee sia nei temi che nelle linee melodiche con le quali si delineano rituali vecchi e nuovi e si esprimono in modo diretto stati d’animo, odi e preghiere attraverso un riuscito mélange di tradizioni e sonorità. Un album gradevole e sensibile, gentile, lieve e profondo, colmo di rispetto verso la Madre Terra, la Donna e gli Antenati, che invita alla calma e alla pacificazione. 


Carla Visca

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