Maluf System. Mejri & Morra – Eddiwen (Liburia Records, 2024)

I Maluf System sono il polistrumentista tunisino-italiano Marzuk Mejri (voce, darbuka, bendir, shqashiq, tabla, tar, nagharat, tamburello, qanun, ney, clarinetto e zukra) e il chitarrista e oudista napoletano Salvatore Morra (oud arabo, oud tunisino, chitarre e coro), accademico con alle spalle studi di islamistica e musicologia (è autore del volume monografico sul “Mālūf" per le Edizioni del Museo Pasqualino di Palermo.) Delineando i contorni del loro progetto, nato intorno al 2018, lo hanno definito “movimento di post-revival del mālūf”, il genere musicale più complesso in Tunisia, incline ad accogliere molteplici forme musicali presenti nell’area (nūba, qasīda, shgul, bashraf, istikhbār, zendelī, mūwashshahāt e zajal). Da qui, nasce la proposta musicale del duo, che trova compimento in “Eddiwen” (Canzoniere) lavoro dal programma molto ampio. Dell’album, uscito per l’etichetta campana Liburia Records, discutiamo con i due protagonisti, Salvatore Morra e Marzouk Mejri.

Perché definite il vostro mālūf come post-revival?
Salvatore Morra - Anche se questo repertorio non è mai scomparso dai momenti para-cerimoniali delle confraternite sufi e dalle bande militari dei Bey ottomani, un revival nelle istituzioni musicali pubbliche in Tunisia comincia nel 1935 con la fondazione della Rashidiyya, istituto per la promozione e conservazione del mālūf, e raggiunge il suo apice all’indomani dell’indipendenza negli anni Sessanta con le politiche nazionali di Bourghiba. Il nostro movimento di Mālūf si pone quindi a seguire, in questo nuovo secolo, come una rinascita post-revival ed in contesti migratori. 

Come è avvenuta la configurazione del programma sul piano estetico e di quello esecutivo?
Salvatore Morra - Ogni brano del disco apre un percorso nuovo nei diversi repertori del mālūf. Ad esempio, il brano che apre il disco – “Salém”, il saluto al Bey – è una marcia della tradizione militare ottomana in Tunisia, qui suoniamo tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione compresi clarinetti, ney e 
chitarra elettrica, e la suoniamo come la faceva la banda di Tebourba negli anni Quaranta: con un ritmo di tammurriata. Le tracce tre e quattro sono esempi ridotti delle grandi forme della nuba andalusa nei rispettivi modi tunisini, “Sufiyet” – plurale di Sufi – vuole standardizzare una pratica musicale che segue i principi della progressione spirituale e sonora delle cerimonie trance. “Raqs” (danza) rappresenta un idioma dei diversi ritmi di danze popolari nel mālūf. Sul piano esecutivo poi, la voce di Marzouk non è mai uguale alla melodia principale, che anch’essa poi varia. È sempre in eterofonia, ma sempre sul ritmo e sull’intenzione semantica. Infine, ogni brano vuole essere rappresentativo di uno stile di questi repertori, come fosse un’antologia, un diwan, eddiwen in tunisino. 

L’ ʻūd tunisino è lo strumentale centrale di questo progetto, ci parli del suo aspetto organologico?
Salvatore Morra - L’ ʻūd tunisino è lo strumento simbolo del mālūf e quindi c’è sempre. Non lo suono solo in “Sufiyet”, perché non utilizzato nelle confraternite, in “Raqs”, perché è un brano per solo percussioni, e in “Beb Azrak” in cui avevo bisogno di una gamma di registri più ampia. In Tunisia coesistono diverse pratiche e stili di ʻūd, nonché un tipo unico riconosciuto come indigeno e genuinamente tunisino chiamato ʻūd ʻarbī, oggi noto anche come ʻūd tunsī. Il più antico esistente è conservato all’Horniman Museum & Gardens di Londra (1867), che ho riscoperto durante il mio dottorato. L’ʻūd ʻarbī è un liuto a quattro corde doppie, con un corpo collegato ad un piano armonico di abete con tre fori, in prossimità dei quali una membrana di legno a forma di makhrudh tunisino o del più celebre dolce turco bakhlava protegge il piano dai colpi del plettro. In particolare, il manico è più lungo di quello dell’ʻūd orientale di cinque centimetri e la sua forma differisce da questo modello egiziano standard, così come l’accordatura – 1. do 2. sol 3. re acuto 4. re grave - secondo diverse tradizioni regionali, i cui ʻūd sono variamente conosciuti come kouitra 
e ʻūd ʻarbī in Algeria, ʻūd raml in Marocco. Storicamente lo strumento lo troviamo nel piccolo ensemble – il jawk – del mālūf insieme al rebeb, ney e darbuka. 

A proposito della tua composizione “Beb Azrak”: affonda nelle suggestioni della medina della città sacra.
Salvatore Morra - Ho vissuto in Tunisia per diversi periodi dal 2007, quello più intenso durante il dottorato 2014-2018. Visitai il Conservatorio di Kairouen diverse volte, l’azzurro in contrasto con le decorazioni in ferro delle porte nella medina è un’immagine che ho sempre portato con me. Ne ho fatta costruire una così a casa mia. Come dice Marzouk: la musica è una chiave per scoprire il mondo, e la copertina del disco è la porta che apre questo mondo del mālūf. In particolare, il brano segue i percorsi melodici del modo tunisino asbain incastonato in una formula che si ripete. Comincia con un ritmo leggero in 6 (khafif) della nuba per poi sfociare in wahida – uno, appunto con un solo dum – caposaldo dei cicli ritmici arabi.     

Tra i passaggi più significativi dell’album ci sono le due suite “Asbain” e Mazmoum”.
Salvatore Morra - Spesso il mālūf è associato alla forma della nūba, una suite composta da forme vocali e strumentali. Le due tracce sono un estratto dalle due suite asbain e mazmoum; i modi tunisini - tradizionalmente definiti ṭabaʻ (natura, effetto, temperamento) – che differiscono dai maqamat sia per nomenclatura che per frasi idiomatiche, e che danno il nome alla suite. Ritmicamente, la nūba si basa su unità ripetute ciclicamente. Entrambe le tracce presentano il classico ritmo samāʻī thaqhil in 10, ad esempio il baschraf introduttivo e strumentale nella suite asbain, o quello vocale nell’altra. Seguono tre forme vocali tipiche sui ritmi: dukhūl barwal 4/4, più lento, barwal 2/4 - vivace e dalla melodia 
particolarmente semplice e leggera – che dà spazio all’accelerazione finale con il velocissimo khatam in 3.  

Quali sono le lingue dei canti?
Salvatore Morra - L’arabo è sicuramente la lingua del disco. Ed è ovviamente cantato con una inflessione tunisina. Innanzitutto, la pronuncia dialettale perdendo le desinenze finali dell’arabo classico si installa in modo peculiare sui ritmi. Il verso sul ritmo è la struttura portante di ogni brano cantato che sia un sama’i in 10, un barwal in 2 oppure un khatam in 3. E questo è molto limpido nelle due suite. Poi ci sono molti termini dialettali: dai più conosciuti come schouf per vedere, a furja assolvere, ammirare. Tutte le “A” sono pronunciate “E” come in tutto il nord africa, vedi ad esempio il brano “Elif” il cui titolo classico è: “Alif Sultani”. 

“Elif” è uno dei due brani di matrice afro-berbera.
Salvatore Morra - Abbiamo trasformato "Elif", un piccolo barwal della nuba mazmoum in una vera e propria forma canzone, strofa e ritornello con tanto di accompagnamento di chitarra. Il brano mostra la bellezza di questo repertorio arabo del nord africa – anche un po’ come sfida alla più famosa canzone ughniyya egiziana – e quanto si presti a cambiamenti nella natura, a nuove trasmissioni e diffusioni. “Ya Ashikin” (Oh! Amanti) include timbri normalmente non ascoltati nei repertori più urbani del mālūf, quindi la zukra che chiaramente dà un effetto rurale. Anche qui abbiamo inserito un ritornello su base pentatonica ed una breve sezione in cui utilizzo l’ʻūd tunisino come fosse un gumbri giocando sulle due corde accordate all’ottava. Nei miei studi su questo strumento ho cercato di dimostrare che il manico più lungo dei normali ʻūd orientali e la tipica accordatura all’ottava dei liuti dell’Africa subsahariana rende questo ʻūd molto meno “arabo” e tanto più storicamente utilizzato da etnie migranti nei movimenti trans-sahariani e berberi della regione. 

“Sufiyet” sorprende per la sua fisionomia elettrificata.
Marzouk Mejri - Penso che i sufi fossero rockettari. Salvatore: beh, una cerimonia sufi, “hadra”, segue i principi della progressione spirituale, con accelerazione ritmica e con aumento di volume sonoro; organizzata in due parti: chiamata e risposta, solo voci e percussioni. Io ho sentito il bisogno di un timbro più incisivo nell’accelerazione e con un sostegno più lungo quando accompagno la melodia del coro nel tipico ritmo mjarred in 5 della confraternita ʻIsawiyya. Gli effetti della chitarra elettrica mi hanno dato 
anche la possibilità di seguire le trasformazioni dell’intonazione nella progressione ritmica, elaborando il timbro e le frequenze.       

“Jamal” è una tua composizione a cui, ovviamente, sei molto legato.
Marzouk Mejri -“Jamal” è una composizione originale dedicata a mio figlio Jamal e scritta diversi anni fa. Ma vuol dire anche bello, bellezza dal classico jamil. “Jamal era ancora nella pancia della mamma, l’abbiamo visto solo con l’ecografia. Elvira ha fatto una lista di possibili nomi e abbiamo scelto Jamal. Avevo quella melodia che mi girava in mente. Mi sono messo davanti al pc ed è nato il pezzo”. L’abbiamo voluto includere per l’originalità del brano, e per l’uso del clarinetto “arabo”.

Ambientazione tunisina anche per “Naoura”?
Marzouk Mejri - “Naoura Tubu’a” – sarebbe il nome completo – è un viaggio attraverso tutti i modi musicali tunisini, appunto tubu’a. Le frasi rappresentative dei modi furono confezionate dagli anni del revival da Khamais Ternan, Salah Al-Mahdi i quali ne fecero un punto di arrivo del repertorio più classicheggiante del mālūf. Gli abbiamo inserito delle shqashiq, metallofoni, dallo Stambeli ma principalmente vuole essere un’esecuzione spontanea di due musicisti in un caffè della medina. 

Come mai avete deciso di inserire dei field recordings?
Marzouk Mejri - nel 2002 registrai mio padre, Manoubi ben Marzouk Mejri, cantare alcune melodie suonate ai tempi della banda di Tebourba mentre accompagnava Bourghiba nei suoi giri di propaganda nel paese, 1940. Una di queste era appunto “Salém”, un famoso inno del Bey. Mio padre suonava il rullante in quella banda. 
Salvatore Morra -
Questo è l’aspetto storico, poi abbiamo voluto concludere il brano con la voce di Manoubi e Marzouk che l’accompagna con il tamburello per descrivere un mālūf intimo, di luoghi familiari in cui circolava. La stessa cosa è avvenuta con la madre di Marzouk, Jenina. Di solito in brani con ritmi concitati ed eccitanti come “Ya Ashikin”, dopo la climax sonora, le donne emettono grida di gioia. Ci vuole uno zagharid qui, dissi a Marzouk e lui rispose: si ce l’ho, mia madre. Per chi l’ha vissuto in Tunisia, all’ascolto sembra di essere ad una festa, un matrimonio ecc. 
Per il brano “Sufiyet” è stato diverso. Molta world music si ispira a culti religiosi di matrice curativa, ma quanti hanno veramente vissuto una hadra cerimoniale in qualche confraternita sufi? Dopo la preghiera iniziale abbiamo missato una registrazione del 5 ottobre 2010 di Marzouk con membri della confraternita ʻIsawiyya presso il santuario di Sidi Ben ʻIssa a Tebourba, mostrando la hadra nei luoghi di culto e come Mālūf System la trasporta in contesti migratori o semplicemente in studio.   

Come si articola dal vivo il Maluf System?
Il concerto inizia con l’ultimo brano del disco, “Raqs” suonato da Marzouk su di una piccola tabla, seguito da “Beb Azrak” con lʻūd orientale e bendir. Sulle ultime note del brano, Marzouk entra con il ney introducendo il modo hassine, io cambio lʻūd tunisino ed eseguiamo questa suite inedita che però concludiamo con il brano “Ya Ashikin”. I primi venti minuti sono senza interruzione e già c’è tanto mālūf dentro. Poi seguono le due suite “Mazmoum” ed “Asbain” inframezzate da preludi strumentali e vocali in dialogo e il lungo brano “Naoura” che sancisce l’ampio mondo sonoro del mālūf. Da qui il concerto prende forme e percorsi diversi a seconda del contesto e del pubblico per concludersi con brani di Hedi Jouini, sheikh el-Afrit e un nostro nuovo brano originale in tunisino/francese “Yaranni”, che presenteremo per la fine dell’anno come singolo. Per ora siamo in due sul palco ma il movimento crescerà. Il primo ospite in assoluto è stato Charles Ferris alla tromba, e questo ci dà la possibilità di suonare anche brani come “Jamal” e “Salém” dal vivo e senza loop. Maluf System suonerà dal vivo il 31 maggio a Napoli, nella Chiesa di Santa Caterina da Siena per il progetto Musiche sulle Vie della Seta, il 5 luglio sarà tra i protagonisti degli showcase di Folkest a San Daniele del Friuli, in collaborazione con Upbeat.



Maluf System. Mejri & Morra – Eddiwen (Liburia Records, 2024)
È uno spettro di forme musicali decisamente ampio quello proposto dal Maluf System nel loro “Canzoniere”, che è stato prodotto con passione, consapevolezza e accuratezza. La coppia ha lavorato duro sul fronte dell’interazione, costruendo un percorso che attraversa e incrocia espressioni colte e popolari con proiezione contemporanea. “Salém”, una marcia di fattura militare ottomana, à l’introduzione al viaggio e contiene il primo field recording del disco: la voce di Manoubi Ben Marzouk Mejri, padre di Marzouk, che eseguiva questa tema con la banda di ottoni della città di Tebourba negli anni Cinquanta del secolo scorso. Con la seconda composizione, “Elif” (la prima lettera dell’alfabeto arabo), viene esaltata la connotazione afro-berbera di questa musica.  Le due tracce successive sono due suite i cui titoli rimandano ai modi in cui sono suonate: si tratta, rispettivamente, di “asba’in” e “mazmoum” e provengono dal corpus di nubas costruite sulle scale modali arabo-tunisine (ṭubū’a). Si segnalano per le improvvisazioni strumentali per percussioni e ʻūd e per le strofe vocali che accolgono generi poetici come muwassah o zajal. Nella prima composizione Marzouk canta: “Il mio amore è apparso in tutta la sua maestosità / Il sapore delle sue labbra mi guarisce. /Sono innamorato del suo fascino/ L'abbandono mi esaurisce/ Non abbandonarmi, sto vagando / E confesso i miei segreti”. “Bab al’azraq” (La porta azzurra), per darbouka e ʻūd orientale, è un brano di Morra, evocatore delle sfumature cromatiche delle porte delle case della Medina della fascinosa Kairouan, gioiello artistico e capitale religiosa della Tunisia. A sorpresa poi troviamo l’arrangiamento elettrificato di “Sufiyet”, richiamo alle cerimonie delle confraternite sufi (qui, entra il secondo field recording con il gruppo Tanitsufi, registrato nel 2010 al zawiya di Sidi Ben Issa a Tebourba), che procede secondo il canone di progressione sonora-spirituale. Segue “Jamal”, una vivace composizione di Marzouk Mejri, dedicata a suo figlio, dominata dal clarinetto lanciato in pregevoli svolazzi improvvisativi. La successiva “Naoura” ci porta in viaggio nei mondi sonori della Tunisia, mentre “Ya Ashikin” (O Amanti), in cui incontriamo il terzo field recording (Zagharid di Jenina Soussi registrato nel 2002 a Tebourba), rimette in primo piano il portato afro-berbero, accentuato dal timbro della zukra che fa aleggiare un’ambientazione rurale (“Sono colpito dalla bellezza dei tuoi capelli / Lo scorpione mi ha punto il cuore/ I tuoi bellissimi occhi mi fanno morire d’amore / Guardo tutta la notte, le stelle sono testimoni / Sono preda del mio primo amore /Non ho cura/ Il mio cuore è in fiamme d'amore, una fiamma eterna”). Infine, il ritmo prende il sopravvento nella conclusiva “Raqs” (danza), un florilegio ritmico di danze negli stili popolari del sud della Tunisia: sa'adawi, bunawwara, sugha e fazzani. “Eddiwen” è occasione di conoscenza, è ascolto che produce suggestioni, provoca sorprese e suscita emozioni.


Ciro De Rosa

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