Brad Mehldau Trio, Conservatorio “Giuseppe Verdi”, Milano, 5 maggio 2024

È un ambiente acusticamente quasi perfetto quello in cui il Brad Mehldau Trio si è esibito lo scorso 5 maggio, nel primo dei due concerti italiani di questa sua tournee di primavera 2024. Ad accoglierlo è infatti la sala principale del Conservatorio di Milano, uno dei pochi veri spazi destinati alla musica del capoluogo lombardo al di fuori del complesso scaligero*. Con Brad Mehldau ci sono il catalano Jorge Rossy alla batteria e il danese Felix Moseholm al basso acustico. E se il primo lavora con Mehldau da quasi trent’anni, e ha con lui firmato alcuni album, il giovane Moseholm (27 anni) non è certo un nuovo arrivato, in quanto collabora con il Nostro da ormai quattro anni. L’apertura dello spettacolo è costituita da due brani misurati nell’esecuzione e nei toni, quasi fossero da riscaldamento ed il gruppo volesse prendere le misure della serata e cogliere la risposta del pubblico. In realtà sono pezzi che sin da subito esplicitano lo stile di Mehldau in trio: il pianoforte in evidenza rispetto alla base ritmica, la quale però non si limita a fare da sfondo, ma si pone in continuo dialogo con lo strumento principale, ne integra il suono sostenendolo, riempiendolo, a tratti arricchendo il tutto con passaggi ed assoli di piccola o media durata. Gli ascoltatori sono così sin da subito proiettati in un meraviglioso clima musicale, che si manterrà per l’intero concerto. Spaziando tra sue composizioni, standard e interpretazioni di alcuni degli autori da lui amati, Mehldau offre al pubblico tutte le sfaccettature della propria arte. Quindi a volte un suono teso e fremente, espresso in moduli stretti, con una vena astrale e cristallina, quasi algida, ma dal cuore bollente; in altri momenti sonorità più delicate e notturne, che nel prosieguo si illuminano in una sorta di alba; in altri ancora, dopo un avvio fatto di sospensioni, riprese, ritorni e cenni di fughe controllate, il patchwork musicale a poco a poco si ricompone, nel dialogo con il basso e la batteria. Quando il punto di partenza è una canzone quasi sempre l’inizio è lento e rarefatto, quasi sospeso, nel suo sviluppo il brano assume dimensioni cantabili, a volte approdando ad accenni di bossa nova. Nel seguire i suoi percorsi musicali, Mehldau rimane quasi sempre al centro della tastiera, e raramente le dita si avventurano verso toni più alti. Nondimeno il suo orizzonte sonoro è sempre ampio, e spesso si ingrandisce fino a raggiungere distanze stellari. Alternando proprie composizioni a reinterpretazioni (che vanno da Nat King Cole a John Coltrane) Mehldau, Rossy e Moseholm hanno regalato un concerto ricco e coerente nel suo dispiegarsi, tanto che appare quasi superfluo l’elenco dei brani eseguiti. Ci limitiamo così a segnalarne alcuni tra i più celebrati del suo repertorio: “Boomer”, “Satellite”, “Long ago and far away” (che ha chiuso il programma regolare del concerto, prima di due richiestissimi bis). Un approfondimento lo merita però “Estate” di Bruno Martino: stupenda, intensa, emozionante, dolcissima nel suo dispiegarsi sulla base ritmica. Una delle più belle versioni - se non la più bella- da noi ascoltata di questo standard internazionale, che Mehldau ha eseguito con convinto piacere, e non (o non solo) per fare un omaggio al pubblico italiano. Uno splendido concerto, che ha lasciato il pubblico soddisfatto ed emozionato. Ci è mancato solo il poter ascoltare dal vivo un omaggio a Nick Drake, uno degli autori preferiti da Mehldau (e da noi). Sarà per la prossima occasione. 

Marco G. La Viola

Foto di David Bazemore. Courtesy of Ponderosa Music & Art


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* Questa mancanza di luoghi per la musica che caratterizza Milano, e che ne condiziona la proposta in termini non solo numerici, ma anche di qualità, meriterebbe una profonda riflessione, soprattutto se ci si inoltra in paragoni con la situazione nel centro e anche nel sud Italia, e se si considera dall’altro lato (una sorta di sindrome bipolare) la ricchezza della scena teatrale milanese, che non ha eguali in Italia. 

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