Ventitré anni fa il chitarrista olandese Jan Wouter Oostenrijk pubblicava “Rhythms of Rai”, cui seguirono “Maghreb Jazz guitar” (2006) e “Sharqui Blues” (2011), album rivolti al crossover tra jazz e musica nordafricana. Da lì, in un certo senso, si principia il suo “viaggio verso est” al quale si riferisce il titolo di sesto album del musicista (è nato nel 1965) diplomato in chitarra jazz al conservatorio di Amsterdam, frequentatore di musica classica, blues e rock oltre che di quella nordafricana e mediorientale, animato da forte senso della ricerca e dell’avventura musicale. I lettori di questo magazine lo hanno incontrato in occasione della pubblicazione di “We are connected” (2017) Jan Wouter Oostenrijk suona una chitarra acustica con corde di metallo, la cui tastiera presenta dei tasti supplementari che consentono di suonare gli intervalli micro-tonali del sistema del maqām. “Travelling East” lo vede in compagnia del percussionista giordano Nasser Salameh
(riq, daf, darbouka e tamburello), con cui suona anche dal vivo, in otto composizioni, che fanno risaltare le doti chitarristiche dell’olandese, ad iniziare dal notevole taksim nel modo Bayat, ispiratogli dall’oudista palestinese Simon Shaheen.
“Travelling East” è un superlativo viaggio di per sé tra chitarra folk, jazz e modi mediorientali. Si respira un’aria desert blues in “Carry on”, mentre i tanti mondi sonori di Jan (folk, rock e quarti di tono orientali) entrano in gioco in “My friend Samir”, un omaggio a Samir Khelifi, suocsodale nei Railand, scomparso prematuramente. Punta verso il Marocco “Dorbiha ya Chibani”, un danzante chaabi tradizionale, immancabile nelle feste ai matrimoni. Un altro maestro, Munir Bachir, centrale nella scuola irachena dell’oud, offre l’ispirazione per eseguire un'altra improvvisazione, questa volta nel maqām Nahawand, che si sviluppa con fraseggio efficace sia sul piano del ritmo che del volume. Segue “Displaced”, in cui il chitarrista mette puntualmente in note emotive e dissonanti il senso di spaesamento con sé stessi e il mondo circostante vissuto dai migranti. Si cambia registro nella conclusiva “Nassem elena el Hawa”, una canzone dei fratelli Rahbani, portata al successo dalla cantante libanese Fairouz, riletta in versione strumentale con il centrale groove percussivo di Salameh, che abbandona la nostalgia malinconica evocata dai versi per ricercare un mood più ottimistico.
Nelle note di presentazione, Jan Wouter Oostenrijk si riferisce al tarab, al trasporto che gli ha dato il suonare musica del mondo arabo, un insieme di sentimenti totalizzanti che vuole condividere con l’ascoltatore. È una irrinunciabile esperienza d’ascolto.
Ciro De Rosa