Il nuovo album di Anoushka Shankar racconta un viaggio in sei tappe dalla dimensione onirica alla luce dell’alba; è il secondo capitolo della trilogia di mini-album/EP cominciata con “Chapter I: Forever, For Now” a Ottobre 2023. Shankar vede una stretta connessione e complementarità fra queste due produzioni discografiche e descrive l'album come un’offerta di suoni di guarigione “un approfondimento di ciò che il Capitolo I ha toccato, il bisogno di musica pacifica e curativa”.
Se il primo capitolo era stato registrato interamente a Berlino, la maggior parte del nuovo album ha preso forma negli studi Soundtree Music di Los Angeles perché nasce soprattutto dal rapporto con il compositore britannico Peter Raeburn che ha casa nella metropoli californiana. La loro amicizia risale a una decina di anni fa, quando i loro figli frequentavano la stessa scuola. Più recentemente, si sono incontrati subito prima della pandemia: “Peter mi diceva che gli sarebbe piaciuto giocare con quel uno spazio sonoro immersivo che potesse coinvolgere maggiormente l'ascoltatore. Voleva darmi l'opportunità di suonare sentendo ciò che il mio strumento può fare, usando manipolazioni, riverberi ed effetti, ma anche mettendomi in grado di scrivere questa musica. È come suonare un nuovo strumento". I due hanno approfittato della loro familiarità, Raeburn ha ospitato nella casa di famiglia Shankar per quattro giorni di registrazioni informali, per poi allestirvi uno studio adeguato, coinvolgendo anche la compagna, Megan Wyler – con cui Shankar aveva già collaborato – per le parti vocali di “Pacifica” e “New Dawn”. “Ha un’incredibile abilità nell’armonizzare. Il suo è un contributo caldo e umano che va oltre i sintetizzatori anche se non ti sembra una voce”. Per una volta, vale forse la pena di leggere l’album dal sesto e ultimo brano, il punto d’approdo, “New Dawn”: diverse stratificazioni tastiere interagiscono con le frasi del sitar dando vita ad un crescendo che, raggiunto il suo apice anche grazie agli archi, torna a rarefarsi, a far spazio alla luce.
È il brano che ci permette di ascoltare, a ritroso, non solo quest’ultimo disco, ma l’intero lavoro discografico di Anoushka Shankar, cominciato nel 1998 con “Anoushka” e proseguito con “Anourag” (2000) e “Live at Carnegie Hall” registrato ad ottobre 2000. Ravi Shankar aveva avuto un ruolo-guida in questi primi tre album, per i quali aveva scelto e adattato alcuni raga della musica classica indiana. Cinque anni dopo, con “Rise” arriva il punto di svolta: oltre al sitar, Anoushka Shankar canta e suona le tastiere e interseca la matrice musicale indiana con altri registri e latitudini, coinvolgendo nell’ensemble (oltre a tabla, veena, bansuri shehnai) elettronica, duduk, violoncello, djembe, batteria, basso e tastiere. Nato dal desiderio di “creare musica che rappresenti più pienamente ciò che sono, è stato un modo per parlare il linguaggio della mia storia: crescere in tre continenti (India, Europa, Nord America, nd.r.) con un piede nel passato e uno nel presente”. Se in “Forever, For Now” il dialogo musicale aveva coinvolto le tastiere d Nils Frahm e Magda Giannikou, nel nuovo album il viaggio riprende da “Pacifica”, dalle interazioni delle melodie , nitide e sospese, del sitar con tastiere e piano, lasciando poi spazio all’onirica “Offering” e ai suoni ambientali di onde e voci che introducono la breve e ipnotica “What Dreams Are Made Off”, sorta di preludio a “In the End” con il sitar protagonista ad aspettare pacato il dialogo col piano acustico, a sua volta sopraffatto, in chiusura, dall’andamento materico e di calma ebollizione di “Below the Surface”. anoushkashankar.bandcamp.com/album/chapter-ii-how-dark-it-is-before-dawn
Alessio Surian
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