Salvio Vassallo | Monica Pinto – Il Bacio. Rise and fall of Salomè (Visage, 2023)

“Ci sono elementi sparsi sotterranei della partitura originale di Strauss,”
– dice Salvio Vassallo nel corso della presentazione di “Il Bacio. Rise and fall of Salomè”, alla Fonoteca, negozio di dischi, bar e hub culturale di Napoli. – “Il primo tra tutti è il tritono, la componente musicale con cui si apre la partitura di Strauss, un intervallo musicale detto anche ‘Diabolus in musica’, perché questa è una storia molto sulfurea, densa di significati oscuri. All’epoca fece grande scalpore, ma ebbe anche un grande successo, perché si parlava di un argomento molto delicato. La cosa mi ha molto colpito e chiaramente la partitura di Strauss è meravigliosa; pensiamo che alla prima assistettero Puccini, Mahler, Berg e Schönberg. Poi si è fatta strada l’idea che Salomè, una figura così enigmatica, così strana, così ferale ma allo stesso tempo piena di passione, potesse essere anche un po’ la nostra Napoli”. “Il Bacio – Rise and fall of Salomè” segna il ritorno alla collaborazione tra la cantante e autrice Monica Pinto e il musicista e produttore Salvio Vassallo, già insieme in una delle articolazioni degli Spaccanapoli. Sulla scrittura dei testi a partire da “Salome” (senza accento nell’originale), il dramma in francese di Oscar Wilde scritto nel 1891 e pubblicato nel 1893 (l’opera-balletto di Richard Strauss, su libretto dello stesso compositore, è basato sulla traduzione in tedesco di Hedwig Lachmann dell’omonimo atto unico dello scrittore irlandese), e sull’ambientazione, interviene Monica Pinto: “All’inizio, la proposta di Salvio mi ha trovata recalcitrante, perché l’idea di scrivere testi originali a partire appunto dal dramma di Wilde e confrontarmi con un’opera così importante, così intensa, mi spaventava parecchio. Mi sono fortemente riconosciuta nel personaggio di Salomè, e la scrittura dei testi poi è venuta naturale, è stata di grande ispirazione. Abbiamo pensato di creare un’ambientazione napoletana, perché nel nostro immaginario Salomè rappresenta un po’ un archetipo di bellezza, di amore e di morte. Pensiamo che questa cosa sia molto consonante con quella che è la nostra città, che è veramente un luogo dove convivono in maniera molto evidente i contrasti, quindi noi abbiamo voluto rivedere in questo personaggio la nostra città che ci fa vivere momenti conflittuali”. L’album porta una dedica a Marcello Colasurdo, il cantatore vesuviano, la cui voce inconfondibile accompagna chi ascolta attraverso tutta la vicenda, puntellandone alcuni tragici passaggi. Quello con Colasurdo è stato un legame molto profondo, risalente all’esperienza di Spaccanapoli. “Marcello era un’anima bianca, era proprio quello che si vedeva, ed era un ponte tra la sfera terrestre e quella divina”. Proprio il canto melismatico di Colasurdo apre in “Salomè’s Tale part 1”. Seguendo la narrazione, non ascoltando il saggio consiglio della madre Erodiade, la principessa si esibisce di fronte ad Erode. È il corpo energetico che danza. “La danza dei sette veli” è il passaggio cruciale del dramma. La struttura della tammurriata richiama quel simbolismo rituale connesso alla sfera sessuale come alla morte e nel testo di Pinto ciascuno dei sette veli rappresenta uno
stato dell’anima, il suo graduale disvelamento che avviene parallelamente a quello del corpo. Osserva la cantante:“Attraverso la danza questa donna passa un confine dal quale non è più possibile tornare indietro. Danzando, afferma il suo diritto di possedere l’uomo che desidera, e quindi la danza dei sette veli segna quasi il momento più tragico di tutta quanta l’opera. Se lei ha ballato, se si è fatta convincere a danzare per il suo patrigno, è perché sa bene quello che vuole: afferma sé stessa, afferma il suo potere. Però, al tempo stesso io ho voluto leggere anche una sorta di candore, perché per me questo personaggio è dicotomico. Convivono tutti i due aspetti: la sua mostruosità come la sua fragilità e appunto il suo candore. Tutto sommato Salomè è una fanciulla, una giovane, schiava di questa ossessione e l’ossessione la rende non lucida. Soprattutto questa ossessione, questo amore, giustifica ogni cosa. A volte pensiamo, ed io in questo mi riconosco, che il nostro amore per qualcuno possa giustificare ogni gesto, ogni comportamento che apparentemente può sembrare folle. Ogni velo è uno stato dell’anima e nel disvelamento, man mano che Salomè si spoglia dei suoi veli, in realtà non è soltanto uno sbendarsi fisicamente, ma uno sbendarsi dell’anima, e quella nudità al tempo stesso io l’ho interpretata in questo modo, come un modo per esprimere sicuramente seduzione, ma anche una maniera per manifestare sé stessa a pieno, per manifestare il suo potere personale”. Di tensione è ammantato “’ A Rareca”, motivo denso e fitto di stratificazioni sancito dall’improvvisazione in forma di fronna finale di Colasurdo. Come la radice (‘a rareca) penetra nella terra, similmente Salomè, nutrendo il suo ardente desiderio di possesso e di amore, non corrisposto, per Iokanaan, scivola nel profondo delle sue tenebre. Come la terra, “fecondata di dolore, partorisce tormento, così l’amore di Salomè genera sciagura e morte”, scrivono Salvio e Monica nelle note di presentazione. La traccia successiva, “Appassiunata”, porta la chitarra post-rock di Ernesto Nobili e una citazione d “Napulitanata” (Di Giacomo-Costa), immaginando gli occhi del profeta che si fanno veicolo di passione e di bellezza. In “Salomè’s Tale part 2”, il cantore Colasurdo preannuncia l’epilogo della vicenda e il tempo della morte che è ormai imminente e ineluttabile. Una sorta di parallelo tra la trance della danza terapeutica e quella liberatoria di Salomé si affaccia nella ripresa della “classica” pizzica salentina “Lassatila Ballare”. Accanto a Vassallo e Pinto, al compianto Colasurdo e al già citato Nobili, che interviene come autore e arrangiatore, ci sono Giacomo Pedicini (basso e contrabbasso) Franco Perreca (clarinetto e flauto), Dario Mancuso (basso), Caterina Bianco (violino), Alessandro Tumollilo (violino) ed Emidio Ausiello (tammorra). Come si è lavorato sul piano compositivo? “Riuniti nel mio studio – dice Vassallo – abbiamo cominciato a mettere delle note su delle idee che io avevo preparato, dei canovacci su cui suonare; creavo degli incidenti di percorso, facendo improvvisare, soprattutto. Questo è stato lo spirito iniziale: cercare di giocare un po’ insieme con la musica e poi sono
venute invece altre parti più scritte e ha cominciato a prendere forma il tutto. Quindi sono andato nella produzione vera e propria, quando è stato chiaro i pezzi che forma avessero. All’epoca della composizione di Strauss si era a cavallo del secolo, si incontravano, scontravano due culture musicali, la cultura del passato, quella dell’Ottocento: la romantica e quella del Novecento a venire, che poi avrebbe portato grandi sconvolgimenti. Quest’opera è meravigliosa e mi sembrava proprio giusta per rappresentare quello che io faccio da sempre: questo incontro-scontro tra passato e futuro. Credo che sia un incontro, perché poi il passato rivive se noi gli diamo una nuova vita, non se lo lasciamo morire in un museo, e invece abbiamo bisogno, secondo me, di prendere cose dal passato, cosa che è stata sempre fatta: Béla Bartók lo faceva e diceva proprio: ‘Non è vero che è più semplice rielaborare un canto o una melodia già esistente, ma anzi è più difficile’.”
La narrazione del dramma di Salomé prosegue con “La Luna” (testo scritto da Pinto insieme ad Armando Pirozzi). L’astro è co-protagonista nell’opera; levata alta nel cielo, misteriosa fin dall’inizio dell’opera originale, la luna preannuncia la tragedia, non è una luna pacificatrice ma inquietante. Di più, esiste un parallelismo tra il personaggio di Salomè e la luna, entrambi subiscono un processo di trasformazione e di corrispondenza. Alla fine Salome morirà e anche la luna scomparirà dietro un velo di nuvole: “Anche lei, come Salomè, è al tempo stesso fragile e spaventosa, seducente ed inquietante”, dice Pinto. Cosicché si giunge al momento più tragico e doloroso, in cui Salome attende che il boia le porti la testa mozzata del profeta. “A capa” si sviluppa su un ritmo di tammurriata su cui si innesta la struttura di una “folìa” cinque-seicentesca. I musicisti rispondono con cadenze profonde che disvelano la massima tensione raggiunta, con la principessa ossessionata dal profeta il cui rifiuto e sdegno che egli le ha manifestato genera in Salome “un sentimento di passione ardente, di sfida e di ira al tempo stesso per non essere riuscita mai davvero a possederlo". Nella costruzione della traccia “il Bacio” si avverte forte la tensione del momento, una texture psichedelica, ipnotica e noise, che conduce un a improvviso crescendo che si risolve nella discesa che conduce al tragico epilogo. Il bacio è “scandaloso” in termini culturali, dato al corpo desiderato che però non ha più la consistenza dell’essere, dell’umanità. Ricordiamo, qui le parole della Salome wildiana: “C’era un sapore agre sulle tue labbra. Era il sapore del sangue? Ma forse era il sapore dell’amore. Si dice che l’amore abbia un sapore agre”. Ed ecco Pinto: “Bacia la bocca in un bacio che sa di morte, è un bacio che non la può rendere felice, perché lei finalmente lo ha posseduto ma non lo possiede, perché lui non c’è, e questo bacio che decreta la morte di lui decreterà anche la morte di lei e la fine della storia, perché Erode vedendo questa scena ne rimane totalmente sconvolto e ordina che anche lei venga uccisa”, racconta Pinto. Infine, ecco il breve ma forte di elementi dissonanti “Salomè’s Tale part 3”, in cui la voce di Colasurdo chiude il cerchio, accompagnando la conclusione disgregante; resta “un’eco lontana di una storia che affida alla morte la risoluzione di ogni male interiore”. Ci vuole coraggio, forse anche incoscienza ma soprattutto un saper pensare fuori da schemi preconcetti per avvicinarsi a un’opera come “Salome”. È un’abitudine per Salvio Vassallo, non nuovo a lavori trasversali e di crossover, di rimodellamento di archetipi sonori nei progetti sotto il nome di Il Tesoro di San Gennaro, capace di passare da rielaborazioni di musica antica – penso al progetto su Monteverdi – alle partiture delle “Folk Songs” di Berio, a Pergolesi e al mondo di De Simone, alla manipolazione e re-immaginazione di passaggi cruciali della storia della canzone napoletana e della musica di tradizione orale dell’entroterra. Vassallo e Pinto costruiscono un’opera originale, mescolano codici e timbri, trovano una chiave interpretativa nella trasposizione sonora e linguistica napoletana che diventa un modo di disegnare la coesistenza di bellezza e di mostruosità, misurandosi con tratti del composito universo culturale partenopeo. 




Ciro De Rosa

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