Edmondo Romano – Religio (Visage Music, 2024)

Terzo capitolo di una trilogia i cui album precedenti sono “Sonno Eliso”, sul rapporto tra maschile e femminile, e “Missive archetipe”, sulla relazione tra scrittura, mondo esteriore e interiore dell’essere umano, “Religio” indaga la dimensione religiosa, e come le culture e gli individui si pongano di fronte al visibile e all’invisibile, al mistero sull’origine e sul termine della vita, ai momenti salienti dell’esistenza. Un album quindi a tema, la cui ampiezza consente a Edmondo Romano di muoversi tra generi diversi, seguendo molteplici percorsi nello spazio e nel tempo. Lo fa da una parte attingendo alla sua creatività, alle ampie conoscenze che egli ha della musica, al bagaglio di esperienze e di collaborazioni accumulato in trentacinque anni di carriera, e dall’altra utilizzando un ricco set di strumenti, contemporanei e di antica origine, classici e etnici. Il risultato è un album di grande bellezza e intensità, in cui si avverte lo sforzo, perfettamente riuscito, di evitare di ingabbiare musica e testi in uno schema descrittivo o narrativo. In “Religio” si sente invece, forte, una libertà di creazione e di esecuzione che oggi è piuttosto rara. Ogni brano fa sì parte di un disegno più ampio, ma nel contempo ha un’identità e un carattere propri, che rendono ognuna delle tredici tracce dell’album meritevole di essere raccontata e descritta. A cominciare dall’iniziale “La creazione”, dal carattere classico contemporaneo, con frasi musicali fatte di elementi minimali, ricomposti in unità più ampie che a loro volta si aprono, come di fronte a qualcosa di nuovo. Intimo, essenziale, raccolto e quasi doloroso “Il sacrificio”, evocante uno dei riti cardine di tutte o quasi tutte le religioni. “What I want to be” ha un suono progressive, che nello stile canoro ricorda i King Crimson di “Lark’s tongues in aspic”, con una base sonora però molto più rarefatta e jazz, e che termina in un gocciolare di note sfumanti di taglio elettronico. “In Estasi” e “Agape” sono tra loro strettamente connessi, con il primo costruito sul dialogo tra le voci femminili e gli archi, nell’iterazione di un motivo dal sapore nordico, e il secondo che evolve in una serie di frammenti vocali e musicali in cui intervengono il piano ed elementi percussivi, assumendo così un respiro da colonna sonora. “Le mie gambe son radici/profonde in terra/velluto il cielo” sono tre versi de “Il colore del mio corpo” che ben descrivono l’atmosfera del brano, in cui i toni scuri della terra sono evocati dalle base e accentate note del piano, e il suono arcaico del duduk ricorda la luminosità del cielo. Tanto antico quanto contemporaneo è “La seduzione”, con i fiati che cercano – e trovano – toni ancestrali, le tastiere che aggiungono solenni note d’organo, e un pattern di suoni meccanici che fa sì che il pezzo pervenga a una musica quasi ambient. Minimalista nel suo inizio, e poi virante verso accenti free, assonanze e dissonanze “Le tourment”. In “Nel mio andarmene” un haiku di Masaoka Shiki recitato da Yoko Hanzai introduce un canto senza accompagnamento, che proietta l’ascoltatore in una dimensione meditativa. “La parola IO” è invece un brano dal respiro ampio e in crescendo, con un finale tronco. Carattere da colonna sonora ha la dolcissima “La scelta”, in cui il clarinetto dialoga con un piano impressionista su uno sfondo di archi e percussioni. A ricordare cerimonie di una religione naturale e quasi animista è “Ritus”, che introduce alla conclusiva “L’urlo di Eliso” dove il canto, il sax e l’andamento incalzante della base sonora rinviano a riti sciamanici, prima di interrompersi bruscamente. Ricco e di elevato livello l’organico che ha affiancato Edmondo Romano, così come lo strumentario utilizzato in “Religio”, che oltre agli strumenti già citati comprende chitarra elettrica e classica, batteria, chalumeau, low whistle, flauti, kanjira, basso acustico. Di grande impatto l’immagine di copertina, del fotografo lettone Misha Gordin intitolata “New Crowd #43”. 


Marco G. La Viola

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