Crara Farina – A boghe crara (Soter Editrice, 2023)

In Sardegna, poesia e voce sono intimamente legate, come avviene nella pratica tuttora vivente delle gare di poesia improvvisata. “La lingua sarda offre una sovrapposizione perfetti di poesia e canzone proprio perché i versi poetici hanno una loro naturale declinazione nella forma del canto”. Così Giacomo Serreli, nel suo intervento introduttivo “Una canzone che scorre come un fiume”, presenta “A Boghe Crara” di Clara Farina, un disco in formato libro (un bel cofanetto di 60 pagine con CD audio al prezzo di 15 Euro), con note bilingui (sardo e italiano). Figura straordinariamente poliedrica, Farina è una delle grandi voci della lingua sarda; nativa di Bulzi, dove ha assorbito forme fulgide di “canto a chitarra”, ma sassarese di vita, già docente di Italiano nella scuola secondaria superiore, collaboratrice dell’Università di Sassari, è soprattutto attrice di teatro fin dagli anni Settanta, indagatrice del testo poetico e valorizzatrice della lingua sarda. Tra i tanti titoli conseguiti, è stata vincitrice del Premio “Maria Carta” nel 2018. Non è la prima volta che Farina si cimenta con la trasposizione di interpretazioni poetiche. Nel 1999 aveva realizzato “Sardus Pater” (Condaghes), del 2001 “Nanneddu Meu”, antologia delle opere di Peppinu Mereu di cui è la voce recitante, centrali anche le sue interpretazioni nel volume con CD curato da Umberto Cocco sui caduti sardi alle Fosse Ardeatine. Nel titolare questo suo nuovo lavoro, Clara Farina ha giocato con il suo nome: in sardo barbaricino Clara si dice “Crara”. Cosicché “a voce chiara” è la traduzione in lingua nazionale, perché la “poesia è assoluta chiarezza”, spiega l’autrice, abile nell’adattare alla cantabilità (seppure non si ritenga una cantante) la corrispondenza metrico-ritmica del verso. Quello che ascoltiamo è un florilegio di poesia sarda contemporanea, dove si rivelano le tante sfumature linguistiche del sardo, con un’ampia rappresentanza del territorio isolano (con un’escursione lirica in lingua corsa), in cui si avverte l’elemento introspettivo e di denuncia, una scrittura in cui si sceglie la tradizione in modo per nulla neutrale. Uno sguardo favorito da quanto viene presentato al Premio Ozieri (di cui Farina è tra i giurati), concorso poetico ideato nel lontano 1956 dal poeta Tonino Ledda. Aperto dai potenti versi di Vincenzo Pisanu, il programma prosegue con Franco Cocco, Ignazio Delogu, Antonino Mura Ena, Salvatore Sini, Predu Mura, Lina Cherchi Tidore, Giacomo Thiers, Giovanni Fiori, Publio Dui, Polo Pillonca, Anna Cristina Serra e Benvenuto Lobina. Il volume contiene i testi dei componimenti e le biografie dell’autrice e dei poeti, delle poetesse e dei musicisti coinvolti. Perché punto forte del lavoro, sono l’aggregazione e l’ordito tra il verso recitato, anzi la “recitazione cantata” di Farina, e le note dei musicisti sardi (eccetto uno che alla sardità musicale è comunque ben aduso), anch’essi eterogenei per formazione e pratica musicale – dal jazz alla musica tradizionale o sperimentale-improvvisativa – che rendono avvincente il tessuto strumentale che cuce, avvolge e accompagna la parola, attingendo a forme profane e religiose della musicalità isolana ma non solo (ballo sardo, canto gregoriano, canto a ballo, giochi infantili, gosos, rosari e altro ancora). Parola come suono, parola come significato, parola detta in comunione con la musica che elabora il “vestito più adatto da far indossare alle poesie scelte”. Notevole il gruppo di musicisti radunati per l’occasione, fior fiore di strumentisti: Alberto Balia (chitarra), Peppino Bande (fisarmonica), Maria Luisa Congiu (voce), Gianluca Dessì (mandola), Daniele Di Bonaventura (bandoneon) Andrea Lubinu (percussioni), Riccardo Lay (contrabbasso), Gavino Murgia (sax baritono e voce), Mariano Piras (voce, oud, solittu, sarraggia e percussioni), Marcello Peghin (chitarra baritono, chitarra elettrica, loop e liuto barocco), Pierpaolo Vacca (organetto diatonico) e Paolo Zuddas (percussioni). Come detto, le liriche riflettono in larga parte la contemporaneità, ad eccezione di quelle di Badore Sini, autore della celebre “A Diosa” (conosciuta come “Non Poto Reposare”), di cui Farina propone “A diosu” (ossia all’amato), che è la risposta della donna all’uomo, accompagnata dalla voce di Congiu. Come non farsi prendere dalla cantabilità di “Fèminas” di Pisanu in ‘trio’ con il sax di Murgia e la chitarra baritono di Peghin, dalla “canzone nuova” di Cocco, cullata dalle corde della mandola di Dessì, dal dialogo tra cacciatore e navigante in “Marineri cantadore” di Mura Ena, dove entra ancora la voce di Congiu, i cui vocalizzi, che seguono la fisionomia di un ballo; ben si combinano agli ottonari di “Istios” dello stesso autore? Ancora, coinvolgenti sono lo sguardo senza tempo di “Nausicaa” del corso Thiers, appoggiato agli arpeggi del liuto barocco di Peghin, la danzante nuoresa che accoglie “Disamistades” di Pillonca, sostenuta dalle note profonde del contrabbasso di Lay, la ninna nanna “Fiore lentoridu” di Fiori che incontra il mantice del superlativo Vacca, il cui soffio impreziosisce anche “Cùrridas”? Per non dire della drammaticamente attuale “Serrada” di Delogu, in sinergia con le percussioni di Lubinu, appello alla pace in forma di Rosario. 

Ciro De Rosa

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