Sentimenti e stati d’animo crudi e feroci, sono in primo piano negli album di Ann O’aro, nata Anne-Gaëlle Hoarau nel 1990 nel villaggio di Tan Rouge a Saint-Paul nell’isola de La Réunion. I suoi testi, organizzati in fonkér (termine creolo per indicare poesie che esprimono stati d’animo profondi, dal francese “fond du coeur”) sono scabrosi e diretti immergendosi nella realtà più torbida senza averne paura. Dopo aver completato la scuola, Ann fuggì dalla violenza della sua famiglia e trascorse quattro anni tra Parigi e il Quebec. Da bambina aveva imparato a suonare il flauto, l’organo e il pianoforte e a danzare e quando è tornata alla Réunion ha iniziato a comporre testi specializzandosi in poesia autobiografica. Ann ha messo a nudo argomenti tabù e l’orrore della violenza contro le donne, tra cui l’incesto da lei vissuto in prima persona.
Dopo aver pubblicato l’album omonimo “Ann O’aro” e poi “Longoz” ed alcuni libri di poesie, per i quali ha ricevuto importanti riconoscimenti, l’artista ha composto “Bleu” ispirandosi alla fertile tradizione musicale isolana del maloya (nata con gli schiavi nelle piantagioni di canna da zucchero come rituale attraverso cui realizzare la comunicazione con gli antenati), un album di canzoni creole in cui l’artista esprime la bellezza e, al tempo stesso, l’orrore che può attraversare la vita di una donna nell’isola de La Réunion.
Attraverso una suggestiva vocalità calma e forte a tratti dissonante, Ann crea melodie che in alcuni momenti ricordano le chanson francesi e utilizza anche strumenti tradizionali del maloya (tra cui il roulèr, strumento membranofono, tamburo dalle sonorità basse, il kayamb strumento idiofono, un sonaglio piatto realizzato con i fusti della canna da zucchero riempiti di semi, il sati, un bidone in metallo percosso con due bacchette) e non. I testi mescolano creolo e francese in una lingua morbida dalle sonorità intriganti. Il trombone dal suono avvolgente, scuro e profondo crea atmosfere abissali, gioca con la voce e, in controtempo, con le percussioni.
Ann O’aro si ispira al corpo in tutti i suoi stati, saccheggiato dalla violenza e impegnato nel combattimento. Proviene dalle arti marziali e forse per questo dalle sue canzoni emana un'energia circolare, come quando si usa la forza dell’avversario per l’autodifesa. L’andamento della musica e dei testi sembra creare dei lampi attraverso momenti di discontinuità e parole di denuncia.
La title track apre l’album con un lungo strumentale in cui giocano trombone e pianoforte in malinconiche sfumature. “In utero militari” evoca le sonorità di una guerra con un trombone simile a una sirena, spari e la voce dall’incedere sacro in un dies irae -riferimento di questo brano straniante- che chiude accelerando. La scura, profonda “Lanbordaz” si muove tra la voce e un pianoforte appena accennato. Segue l’inquietante “Kalu” ricca di strani ronzii e rumori cupi su cui galleggia la voce. “Saple” è un maloya melodico, ossessivo con finale fra trombone e percussioni. La fiera, splendida “Lak otab” di oltre 6 minuti, è guidata dalla voce di Ann che prima gioca a rincorrersi in loop e poi diventa melodica come un fiume in piena, supportata dal trombone scuro e, nell’incalzante finale, da incisive percussioni. Episodio per sola voce è “Bouyon lo rosh” che si conclude in un parlato-urlato. La scura “Vane lo sor” per voce, trombone e percussioni è seguita dalla suggestiva “Les ailes du cafard”, quasi una colonna sonora, con un’eterea vocalità e il piano come un carillon, che termina in una filastrocca infantile scandita dal tamburo. “Lacrimosa” mette al centro la vergine Maria sotto la croce, che rimpiange di non aver saputo dire di no.
In “Blue” Ann O'aro accompagna la sua voce con un pianoforte minimale; con lei suonano Teddy Doris al trombone e al coro, Bino Waro alle percussioni e, per la prima volta, Brice Nauroy con le sue macchine sonore. La morte e la vita in un contesto espressivo fortemente caratterizzato dal maloya, sono protagoniste di “Bleu”. Conoscere il dolore ed esplorarlo dà il potere di guarire le ferite: è il messaggio potente di questo toccante lavoro di Ann O’aro.
Carla Visca
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