Quiero 24 – Vieja Escuela 90 (Autoprodotto, 2023)

I Quiero 24 si avvicinano ai vent’anni di attività; già nel 2014 erano stati scelti come "Artisti rivelazione” del Festival di Tango della Città di Buenos Aires. Il sestetto base comprende Laura Genlote al basso, Limay Bartolomei al violino, "Pucho" Rodríguez al bandoneon, "Zurdo" Alustiza alla chitarra e ai campionatori digitali insieme alle voci di "Cholo" Castelo ed Eva Fiori. Completano il gruppo i danzatori Valeria Medina, Celeste Kesseler, Bruno Berttacchini e Franco Vargas che danno corpo e movimento alle melodie della band. Come cooperativa, oltre ai concerti e alle produzioni artistiche per festival, realizzano spettacoli didattici per bambini. I quattro album precedenti sono stati realizzati tutti in studio con composizioni originali e hanno generato centinaia di concerti, facendo di Quiero 24 uno dei gruppi di tango più attivi del “conurbano” bonaerense. Si distinguono per la loro sensibilità sociale e per la collaborazione con la Trova Tanguera all’album del 2020 che vede, fra gli altri, la partecipazione di Orquesta Atípica La Empoderada, La Orquesta Típica La Vidú, Finisterre y Siniestra. E’ un progetto musicale attento ai conflitti sociali, con testi che narrano ingiustizie, sessismo, colonialismo, razzismo. Il nuovo album è arrangiato dal chitarrista Alejandro Alustiza e dialoga con energia e strategia, con colori sempre diversi con i gruppi rockeros con cui sono cresciuti, in particolare le canzoni degli anni Novanta. Ne hanno selezionate dieci che in Argentina sono considerate dei “classici” e le propongono con riusciti arrangiamenti e interpretazioni che muovono dal tango, senza timori reverenziali. A dar voce a “Sin documentos”, brano “manifesto”, è Cristian Ariel “Cholo” Castelo affiancato da Ivo Colonna e (nel recitativo) di Martin Pitu Frontera ed è un salto di trent’anni, alle composizioni, voce e tastiere di Andrés Calamaro nel secondo album dei Los Rodríguez. Dello stesso anno, il 1993, è “Tumbas de la Gloria”, fra le canzoni più famose di Fito Páez, ai tempi di “El amor después del amor”, qui interpretata da Eva Fiori che è protagonista anche di “Nada es para siempre”, l’altro brano scritto da Fito Páez per il quinto album di Fabiana Cantilo “Sol en cinco”. Non poteva mancare Charly García e “Chipi Chipi” (dall’album “La hija de la lágrima”) sembra scritta apposta per questo tipo di rivisitazione, con la penultima strofa che recita “Questa canzone durerà per sempre / L’ho fatta apposta così / Una canzone senza amore, senza dolore / La canzone senza fine”. E, infatti, era stata intitolata da Charly García proprio “Canción sin fin”. Ma, sembra, quando si trattò di chiudere il disegno grafico della copertina del disco, venne inviata la bozza al posto della versione finale: invece del titolo scelto, in questo caso, era stata appuntata un’onomatopea cha fa parte del cantato e che contribuì a far parlare del brano, così come la scelta di Charly García di (s)pettinarsi alla Kurt Cobain (subito dopo il suicidio del cantante dei Nirvana) nel videoclip che promuoveva la canzone cui, si dice, Charly García diede forma in dieci minuti, a album già concluso, in risposta ad un dirigente della Sony che pretendeva ci fosse anche una canzone “commerciale”. In chiusura di “Vieja Escuela 90”, “Chipi Chipi” ne incarna perfettamente lo spirito con una rilettura completa di violini (Fernando Limay Bartolomei, Javier Ignacio Núñez, Uriel Odilon Duarte) trascinante e poetica allo stesso tempo, intrecciando le voci di Dolores Solá, Cholo Castelo ed Eva Fiori. Ugualmente epica è “El pibe de los astilleros” dei Redonditos de Ricota, da uno dei loro album più potenti, “La mosca e la sopa” che riapre il dibattito sul significato di uno dei brani più famosi e discussi del “Indio” Patricio Rey: "El pibe de los astilleros", quella con cui solevano aprire i propri concerti. Parla di un pugile, di Monzón, di tutti noi? El Indio, già una ventina d’anni fa (a Rolling Stone), aveva (non) risolto i dubbi con un paio di frasi che forse riguardano molti versi di questo repertorio: "Non mi è facile parlare delle canzoni che scrivo; non credo che si scelga questo modo di scrivere per poi fornire un libretto con le istruzioni. Quello che fai è generare piccoli indizi riguardo a un viaggio che l'ascoltatore sta per intraprendere. Ogni strofa ha un paio di tappe fondamentali in cui si sviluppa una possibile storia; ma, una volta che la canzone è registrata, è la gente ad ascoltare, a rifletterci. E le ragioni per cui hai creato qualcosa praticamente cessano di avere potere”


Alessio Surian

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