Fabio Cinti e Alessandro Russo – Guardate com’è rossa la sua bocca. 8 canzoni di Angelo Branduardi per pianoforte e voce (AMS Records, 2024)

“Io sono il trovatore e sempre vado per paesi e città. Ora che sono arrivato fin qui, lasciate che prima di partire, io canti”.
Ecco, questo magnifico camminare, quello di Angelo Branduardi, va avanti da ormai cinquant’anni. Cinquant’anni di una musica antica, che ci arriva da un’altra epoca, lontana nel tempo e nello spazio, ricercata eppure accessibile. Cinquant’anni di storie e di poesie, le sue ma anche quelle di altri, da Esenin a Ildegarda di Bingen, passando per San Francesco e Yeats. E quale modo migliore per festeggiare con lui, se non raccontare dello splendido (e necessario) omaggio che Fabio Cinti ed Alessandro Russo gli hanno fatto? Fabio è, mi si passi il termine, una specie in via d’estinzione: tanto capace di scrivere canzoni terse di malinconia, quanto di sentire sotto pelle le canzoni degli altri, è un interprete di raro buon gusto, sempre a fuoco nell’entrare in punta di piedi sulle altrui opere. È, perciò, naturale che dall’incontro col pianoforte di Alessandro Russo non sarebbe potuto arrivare nulla che non fosse di livello altissimo, filologicamente altissimo. È come se avessero reso merito alle parole fatate dei brani di Branduardi, ma anche alla sua immensa eleganza compositiva, alla grazia della metrica. Andando sempre in rigoroso ordine cronologico, partiamo da una doppietta tratta da “La luna”, del ’74, con il brano omonimo, aperto da un’intensa intro strumentale, che si snoda lungo gli arpeggi crepuscolari del piano e quel capolavoro- nato già tale dal “teppista” di Esenin – che è “Confessioni di un malandrino” con il fraseggiare brioso del pianoforte colorato dalle incursioni barocche del clavicordo e segnato da una interpretazione monumentale di Cinti. Arriviamo al 1976, quando esce “Alla fiera dell’est”, da cui ci vengono riproposte – ovviamente – la title track (giocata musicalmente sui crescendo e diminuendo del pianoforte e vocalmente su un bell’intreccio fra canti e seconde voci, quasi sovraincise a là Battiato), una “Sotto il tiglio” scandita da un arpeggiare arioso ed una “Il dono del cervo” che si arrampica sui fraseggi di un pianoforte nebbioso. Nell’83 Branduardi pubblica “Cercando l’oro”, da cui i nostri ci regalano una stupenda versione di “La volpe”, in cui l’incontro fra piano e clavicordo finisce per aprire immaginari notturni e fantastici. Da “Si può fare”, del ’93, arriva, poi, una “Casanova” umida ed intensa, in cui la solitudine arpeggiata del pianoforte disegna istantanee malinconiche. A chiudere il lavoro ci pensa una straordinaria riproposizione di “Fou de love”, canzone scritta in uno strabiliante pout-pourri linguistico dal genio di Pasquale Panella e contenuta in “Domenica e lunedì”, del ’94, qui sgranata dall’arpeggiare tenero e raffinato del pianoforte. In conclusione, oltre che a tracciare una centratissima cartografia della carriera di uno dei nostri cantautori più raffinati e colti, il lavoro di Fabio Cinti ed Alessandro Russo diventa un vero e proprio manuale – passatemi il termine – su cosa significhi lavorare su brani di altri, studiarne poetica e composizione, sottolinearne pregi letterari, metrici e compositivi, entrarci dentro con amore e rispetto. Insomma, otto perle che compongono un piccolo scrigno di meraviglia. 


Giuseppe Provenzano

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