Beatriz Aguiar | Leon Mennen | Enrique Firpi – Ultramar (Silvox Records, 2023)

Registrato e mixato per Silvox Studios di Caspar Falke, esce ‘Ultramar’, che vede protagonista il trio formato dalla cantautrice uruguaiana Beatriz Aguiar, dal virtuoso chitarrista Leon Mennen, originario di Brabante, e dal creativo percussionista e batterista Enrique Forpi di Montevideo; questi ultimi due musicisti sono coautori dei brani a cui si aggiunge Leon Mennen come autore dei bellissimi testi. Ospite speciale è il nostro organettista Riccardo Tesi, chiamato a evocare il bandoneon e unire idealmente il Mediterraneo e il Rio de La Plata in “Galleacia”. Inoltre c’è l’intervento di un coro formato da Sergio González Iriarte, nei brani “Ultramar” e “Y no se queda” e Martina González Brazeiro in “Desierta”. Quando si parla di tango si pensa immediatamente all’Argentina, in realtà la sua nascita la si deve a tutto quel territorio lambito dal Rio de La Plata, luogo di accoglienza e meticciato, in primis l’Uruguay: non a caso il tango più famoso al mondo, “La Cumparsita” è stato scritto dal compositore uruguaiano Gerardo Matos Rodriguez. Montevideo, la sua capitale, è stata la prima tappa per molti immigrati provenienti dall’Europa, alcuni vi si fermarono, altri presero la via di Buenos Aires. D’altra parte i ritmi del tango, della cumbia, della cueca hanno qualcosa di africano e qualcosa di europeo, come dice la stessa Beatriz: “La musica Latino-Americana ha molti colori diversi, veniamo da luoghi diversi, mari diversi…. Anche Daniel de Moraes è stato in Portogallo, Jaime Rodriguez (cognomi che ritornano) è stato dall'altra parte dell'Oceano Atlantico e a Montevideo sul Rio de la Plata, sulla Riviera dell'Argento… e Riccardo Tesi in Toscana e nel Mediterraneo.” Ma se luoghi e mari posso apparire diversi questo disco li unisce sotto uno stesso cielo musicale. L’Uruguay è una terra di incroci musicali, di arrivi e di partenze ed è proprio questo lo spirito che anima la cantautrice uruguaiana che con questo lavoro vuole rendere omaggio, sia alle radici più profonde della sua terra, sia alle culture musicali da essa accolte e provenienti dall’Europa del Mediterraneo in modo particolare. L’album si apre con “Canción de noche”. Dopo una progressione diminuita discendente di otto misure, ripetuta due volte, si passa a con un accordo di la minore nona a una spola frigia che rende il senso della notte, un accordo flamenco introduce il ritornello costituito da una passacaglia, che rappresenta invece l’arrivo della luce, esplicitato dalle voci del coro udito in lontananza; insomma una struggente atmosfera notturna piena di saudade su un ritmo di lento bolero che tradisce un sogno in cui una stella indica una strada di speranza. Segue “Ultramar” dove cielo e mare si incontrano su un ritmo latino-americano tra cumbia uruguaiana e cueca venezuelana, introdotto dalle percussioni decise e presenti in tutto il brano: la notte ci coglie durante un onirico e profumato viaggio in barca a vela. Belli gli interventi improvvisati della chitarra. La terza traccia, “Gallaecia”, ci riporta a terra dove, attraverso lo struggente suono dell’organetto di Riccardo Tesi e della chitarra arpeggiata, si tratteggia il momento di un camminatore verso Santiago che sta attraversando la Galizia in un freddo gennaio, rievocando il glorioso passato tra canzoni e balli. Il racconto continua con “La Rosa”, una fugace notte d’amore di cui non restano che il delicato profumo di una rosa e un segreto che l’anonimo Adone porta via con sé. Segue “Canto de una voz” in cui, su di un ostinato passacaglio, contemplando il mare, si sveglia nell’alba una lacerante e nostalgica voce che racconta una storia dispersa che si vorrebbe far diventare canzone, però resta incompiuta fermandosi al primo verso. In “Desierta” ritroviamo un ambiente poliritmico tra il gnawa e la cumbia e in “Rambla Sur” si colgono armonie brasiliane in cui la chitarra e la voce sono assolute protagoniste. “Agua circular” è il delicato e poetico racconto di una pietra che cade nel fiume e che, dopo aver formato dei cerchi, raggiunge l’immenso mare, che poi è quello della propria memoria. A seguire ‘Y no se queda’, ancora un brano poliritmico di stampo latino dove il mood sonoro, come acqua di fiume scorre senza riposare. “Sicilia music” è un sentito omaggio alla nostra Isola. Il mare qui non è più soltanto simbolizzato ma diventa onomatopeicamente suono della risacca. Miti antichi e voci di sirene vengono evocate. “Tatatá” porta in un clima che ci lascia immaginare un cerchio di persone che danzano e bevono festanti. Ultima traccia “Era un vals”, un brano di grande interesse musicale e intensità emotiva in cui chitarra e voce si fondono e si esprimono al massimo accompagnati da una rispettosa di batteria usata con le spazzole. Veramente un bel disco. Agli ascoltatori non ispanofoni si consiglia di leggere i testi, allegati, poiché i versi sono pura poesia e senza la loro piena comprensione si perderebbe molto. Si tratta di un lavoro decisamente da ascoltare in meditazione e silenzio per assaporarne tutte le sottili sfumature.  


Francesco Stumpo

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