Alessandro Santacaterina – Santacaterina (Mr. Few, 2024)

Il cuore battente della Calabria tra una passacaglia, una tarantella e un’alea.

Chitarrista, compositore e polistrumentista eclettico, ricercatore di musica etnica, visionario e musicalmente onnivoro, Alessandro Santacaterina è capace di spaziare in molti generi, con la prerogativa però di partire e ritornare sempre dalla musica tradizionale   di quell'angolo di Calabra Ionica che è Brancaleone (Rc), affacciata in quel mare che Cesare Pavese ha chiamato la “quarta parete” della sua prigione durante il suo confino calabro del 1935. Quel mare si sente sempre nel suono cristallino della sua chitarra battente a cinque ordini, che lui ha fatto modificare organologicamente, seguendo le orme del suo maestro Francesco Loccisano, senza tradirne però l'essenza originaria e aprendola a nuove possibilità tecniche ed espressive. Così, questo cordofono, lo possiamo sentire con le corde sfregate da un arco piuttosto che da una ventola da computer, sollecitato da un rasgueado flamenco (una delle sue tante cifre), percosso come il rullante di un tamburo, sintetizzato da apparecchiature elettroniche o arpeggiato alla maniera delle ‘campanelas’ barocche, peculiarità che ha anche la chitarra battente essendo dotata, come la barocca, di accordatura rientrante. Diplomato in chitarra classica, ha studiato con Keith Goodman, direttore d’orchestra italo-statunitense, con cui ha studiato composizione, e con Simone Vallerotonda con il quale studia tutt’ora prassi della musica antica e improvvisazione sulla musica del ‘600 e ‘700. Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, per esempio come miglior chitarrista emergente al Tour Music Fest del 2013 al Roma-Piper Club. È stato anche definito “geniale nella semplicità dei suoni” dal critico musicale Renato Marengo, guadagnandosi il premio per il miglior brano al Gran premio Manente con il videoclip “La Follia del Museo”. Nel 2021, a Viagrande, gli è stato
assegnato il primo premio assoluto all’Amigdala International music competition, sezione folk instruments. Invece a Lamezia è stato vincitore del IV Concorso chitarristico internazionale dell’istmo. In più nel 2022 ha ricevuto a Cremona il primo premio assoluto al concorso internazionale “stanza dell’arte”. Tra i riconoscimenti: “suoni giovani del Sud”, assegnato a Napoli alle giovani realtà musicali più influenti del Sud Italia; “Salvatore Verga”, attribuito ai giovani musicisti italiani che si sono maggiormente distinti nel campo delle arti performative.
Di essere calabrese Alessandro non lo dimentica neanche per un istante. Il suo modo di approcciare i brani è molto visibile, filmico direi, con la capacità di creare diverse atmosfere, anche contemporaneamente, mediante un gioco di prolessi e analessi musicali. Non a caso una delle sue forme comunicative privilegiate è quella del video. Vedendolo suonare non c'è soluzione di continuità tra lui e la sua chitarra che diventa quasi un prolungamento del suo corpo, ed è già spettacolo il solo vederlo immerso totalmente nella sua musica.  Ascoltare un suo brano è come affrontare un misterioso viaggio in cui si sa il punto di partenza e se ne possono seguire oniricamente le mete, anche se poi la meta principale è il viaggio stesso. 
Oggi possiamo dire che se la Sardegna ha espresso Paolo Angeli, suo ispiratore e collega come ci dirà, la Calabria esprime Alessandro Santacaterina. Più volte ho potuto constatare la sua profonda conoscenza della musica tout court, da quella barocca di Gaspar Sanz, a quella aleatoria di Bruno Maderna, a quella sperimentale; una competenza che gli consente di spaziare da una passacaglia, a una giga, a una tarantella, all’ improvvisazione strutturata. Una poetica completa e complessa la sua, dove sembra sguazzare con naturalezza e competenza, considerata anche la sua giovane età. Conosciuto ormai a
livello internazionale, non si è mai allontanato definitivamente dalla sua Brancaleone, si muove in continuazione come un folletto della musica e lavora in modo strenuo,  è un esempio positivo di quella che l'antropologo calabrese Vito Teti ha definito come "restanza", che non significa chiudersi in un luogo ma al contrario aprirsi al mondo attraverso quel luogo;  un esempio lampante insomma che il Sud ce la può  fare se ci saranno giovani come lui, orgogliosi  della propria terra, del suo dialetto, della sua musica, tutto con modestia e senza autoreferenzialità. Dico sua perché è lui stesso a comporla o, quando cita musiche di altri compositori o di tradizione, le personalizza e facendole sue. Nella sua individualità è sintetizzata un'esperienza secolare e collettiva del fare musica. Musicalmente insaziabile, possiamo trovarlo sul palco accanto al noto cantautore calabrese Mimmo Cavallaro o in tournée europea con l'orchestra Crossoper o in un video per valorizzare la sua terra, dove l'Italia finisce e comincia la curva ascendente verso lo Stretto di Messina.

Ci sono dei riferimenti a precisi musicisti attuali nella tua musica?
Si, uno su tutti sono i Sigur Ros. Si tratta di una band post-rock islandese molto particolare per le sue sonorità completamente nuove. Per quello che mi riguarda tendo a considerarli anche world music, perché spesso è loro volontà raccontare quel posto tanto lontano quanto magico ch'è il territorio islandese. Cerco di fare lo stesso con la Calabria, e loro sono una delle mie fonti di ispirazione assoluta.

Con quali artisti hai o hai avuto delle collaborazioni episodiche o continuative?
I musicisti con cui ho collaborato più a lungo sono stati prima di tutto Luigi Cinque e l'Hypertext Orchestra e poi Paolo Angeli. Quest'ultimo è un altro dei miei punti di riferimento fissi. Mi capita anche di essere citato in qualche sua intervista, e io faccio lo stesso come in questo caso perché stimo assolutamente quello che fa. E ti dirò di più, per capire veramente l'arte di qualcuno bisogna andare a visitare il luogo in cui cresce o vive, e dopo aver visto Palau, dopo un invito al suo festival, posso dire di aver compreso ancora di più il suo percorso sonoro. Non a caso è lui che ha curato la prefazione del mio disco. 

Ci racconti della tua esperienza nell'orchestra europea CrossOpera? 
L'ensemble CrossOpera, è stata un'esperienza che definisco rivoluzionaria. La produzione ed i compositori hanno voluto nell'organico da un lato i tamburi a cornice, e nel mio caso la chitarra battente. Questo lo considero un messaggio molto forte, perché è la prima opera lirica della storia in cui c'è una chitarra battente in forma “concertante'” al pari degli altri strumenti e non a far da basso continuo. Il pubblico straniero, così come alcuni orchestrali erano sorpresi nel vedere uno strumento insolito, così com'ero sorpreso io nel pensare che grosso passo avanti si è fatto arrivando qui. 

Quanto pensi che i social possano contribuire alla conoscenza della tua musica? 
Qui con i social si è toccato un tasto dolente, perché io non li so usare. O meglio non sono capace di sfruttarne al pieno il potenziale. Ci sono delle regole, anche abbastanza meticolose che non riesco a seguire ed osservare con costanza. Ma, nonostante ciò, la maggior parte delle cose le ho ottenute attraverso i video postati, e creando una rete di collaborazione con altri musicisti e addetti ai lavori. Internet se ben usato, può garantire una crescita culturale ancora più rapida. Ed infatti molte cose le ho scoperte così.

Cosa ti ha spinto a esprimerti proprio con la chitarra battente e non, per esempio, con la barocca, l'acustica, la classica o l'elettrica? 
Ho avuto sempre intorno suonatori popolari. Il mio primo approccio con la tradizione e anche con la chitarra battente deriva da qui. Però c'è stato un avvenimento ben preciso che mi ha portato a possederne una. Nel 2009, avevo 15 anni ed ero uno strimpellatore che avevo ricevuto come regalo un organetto diatonico. A Brancaleone, c’era un concerto di un gruppo denominato Mimmo Cavallaro - Taranproject, tutti sappiamo da lì a poco le folle oceaniche che avrebbero invaso i loro eventi, e io, Io non credevo ai miei occhi. Strumenti tradizionali, che credevo non adatti ad eventi di tale affluenza hanno creato una vera e propria moda anche tra i miei coetanei. E io appunto, vado a cercare una chitarra battente (rigorosamente a 4 corde e scordino come diffusa nella mia zona). Tutto quello che volevo era cantare qualche canzone per me stesso una volta tornato da scuola e nient'altro. Ignoravo il fatto di poterne diventare un solista, e questa invece fu un'intuizione di Francesco Loccisano. Oggi, posso essere sicuro che se quel giorno non avessi visto i Taranproject oggi probabilmente farei tutt'altro.

Cosa rappresenta per te la tradizione popolare calabrese, in particolare della tua zona? 
Nella tradizione popolare calabrese mi ci sono intercalato poco per volta, e per farlo mi sono semplicemente guardato intorno con più attenzione. Ho preso coscienza di volerla usare come mio biglietto da visita quando nei vari viaggi, entravo in contatto con altre culture, musiche, abiti e soprattutto
comportamenti antropologicamente diversi ed affascinanti. Ho preso coscienza dell'importanza dell'unicità, e credo che anche i nostri strumenti, le nostre capre e pecore, gli abiti tipici, il modo di parlare, possano affascinare il mondo. Una cosa simile è successa nei primi del 900 nei paesi dell'est Europa. Gli storici della musica lo chiamano "nuovo folclorismo", fatto sta che una presa di coscienza simile a tempo suo ha portato alla creazione di figure come quella di Bela Bartok o di Leos Janacek. Lo stesso sta accadendo in Italia, c'è un fermento pazzesco in cui la Calabria secondo me, è una delle protagoniste.

Tu sei nato e vivi a Brancaleone Calabro, il paese dove è stato confinato Cesare Pavese nel 1935 e ha ambientato il romanzo "Il carcere", come vivi questa contingenza? Ha contribuito la sua poetica entrata la poetica nella tua sensibilità musicale? 
Cesare Pavese è stato il primo "artista" che ho conosciuto. Nel senso che, i grandi della letteratura italiana ci vengono insegnati a scuola, alcuni di loro previsti obbligatoriamente dai programmi ministeriali. Invece nel mio caso è stato diverso, perché Pavese l'ho conosciuto attraverso gli aneddoti e i racconti della gente del posto di quello che era un uomo comune (si fa per dire) in un paese a lui sconosciuto. E solo dopo la sua produzione letteraria. Il risultato è stato che, avendone appreso prima il lato umano e non essendomi giunto sotto forma di programma scolastico, mi sono sentito più vicino alla sua opera. Da qui ho capito tanto su quanto l'arte non sia altro che un uomo comune che vuole condividere il suo ideale di bellezza attraverso la forma a lui più consona. Tra le altre cose la dimora del suo confino è il posto dove ogni anno tengo l'unico concerto dell'anno a Brancaleone. Si crea una magia che a parole non posso descrivere, la gente del posto e dei paesi vicini lo ha trasformato in un appuntamento fisso in cui sono tutti presenti. È come se fosse una festa di compleanno ma senza compleanno.

Nel disco da poco uscito fai spesso citazioni di musica della avanguardia, in particolare a opere a due grandi compositori come Ginastera e Maderna. Quali opere e in quali brani del cd sono presenti? Perché la scelta è caduta proprio su di loro?
Bruno Maderna e Alberto Ginastera sono due mondi sonori completamente diversi. Di Ginastera adoro la capacità di scrivere in modo impeccabile per qualunque strumento, e la creatività nell'orchestrazione. Di Bruno Maderna la sua '”fame di suono”, e soprattutto la volontà di spingersi in esplorazioni timbriche assolutamente eccezionali. È riuscito a creare liricità nella musica aleatoria attraverso il parziale controllo di essa, non a caso parliamo del maestro dell'alea controllata. Per rendere omaggio a questi due giganti, ho scritto la suite semi continentale formata da quattro movimenti: Preludio, Capriccio, Largo e Giga. È il brano di chiusura del disco, e ci sono elementi caratteristici e citazioni tematiche dei due compositori. In linea generale tutte la suite è formata da una tecnica a pannelli, cioè una serie di immagini senza soluzione di continuità. Nel preludio ci sono citazioni tematiche estrapolate dalla sonata per chitarra di Ginastera, e dalla Serenata per un satellite di Maderna. Si noterà anche l'uso di frammenti aleatori affidati al sintetizzatore. Il secondo movimento, è un capriccio che invece inizia con ritmo di 11/8 per iniziare a dare una direzione ritmica. Qui ci sono le prime tecniche non convenzionali, applicate sulla chitarra battente. Il Largo invece è ispirato al concetto di Aulodia di Maderna. Lui parlava del “canto dello strumento”. Anche Luciano Berio attraverso le sequenze pensò qualcosa di simile, ma mentre quest'ultimo era focalizzato alla meccanicità dello strumento, Maderna invece alla possibilità di cantare. Ho cercato di creare quindi un piccolo cantabile quasi completamente monodico appunto, sfruttando l'accordatura rientrante della chitarra battente. In tutto ciò un filo di elettronica ci gira intorno e sostiene insieme a dei cluster ''cantati'' sottovoce. Nella giga infine, è un omaggio invece a quell'approccio spontaneo e quasi selvaggio di Ginastera, che un po' ricorda (essendo lui Argentino), l'America Latina prima della colonizzazione.

Progetti in cantiere?
Mentre è uscito il primo disco, stiamo già pensando di buttare le fondamenta del secondo. Sarà molto incentrato su una ''Calabria contemporanea'' nel senso ancora più stretto del termine. Oltre ciò mi aspetta un bel tour nei prossimi mesi, con alcune belle novità.


Alessandro Santacaterina – Santacaterina (Mr. Few, 2024)
Il disco in esame, uscito per l’etichetta Mrfew è il lavoro di esordio di Alessandro Santacaterina come solista (a parte un altro CD con tre brani), ma anche una summa di quanto egli ha già ben assimilato e sperimentato. Il lavoro prende il titolo dal suo stesso cognome “Santacaterina”, già dalla foto di copertina si capisce il suo messaggio: l’antico e il moderno, il classico e il popolare in una un’unica audio/visione. 
La prima traccia si intitola “Aria e Danza”, si sviluppa in un contesto etereo dove emerge una voce che evoca uno spazio aperto, si inserisce poi un basso pulsante con un loop su cui germoglia una breve improvvisazione in modo dorico, poi la battente suonata con l’arco esplicita quello modo e ci ricorda una processione nel Sud Italia. Senza soluzione di continuità si passa al modo ionico con una citazione della tarantella del mitico mugnaio di Siderno ‘Barilli’ che ci chiarisce che siamo in Calabria in un’atmosfera di sagra paesana. Un brano-manifesto in cui convivono modi arcaici e immagini della Calabria di oggi. Segue “Canarios” di Gaspar Sanz, utilizzata anche dal grande Rodrigo nella sua “Fantasia para un gentilhombre”. Alessandro ne fa una originalissima versione in cui un ensemble dialoga con la battente mettendo in evidenza il suo virtuosismo. La chitarra barocca viene sostituita qui dalla battente, operazione storica profondamente fondata se si pensa che si tratta in effetti dello stesso strumento, con la stessa accordatura, due strumenti organologicamente molto simili.  Nel barocco venivano impiegate anche contemporaneamente anche se con funzioni diverse, l’una solistica e l’altra di riempimento ma in questo caso è la battente ad essere protagonista, ovvero Santacaterina la sdogana da quella che era stata la sua funzione storica ed etnomusicale, essendo legata essenzialmente all’accompagnamento del canto. La terza traccia è “Pastorale”, inizia con una ventola di computer che sfrega sulle corde della battente creando un effetto di tremolo che ricorda quello del mandolino. Evoca un paesaggio bucolico, lo scorrere di un ruscello a cui fa da contrappunto una voce maschile in modo eolico e frigio, quasi un gregoriano che conferisce un senso di sacro, di pastorale nel senso religioso appunto. Con un flash back arriva come da lontano una tipica cantilena in ritmo terzinato che l’autore dice di avere ascoltato in una processione nel marchesato di Crotone. “Tarantoten” di Fabrizio Nastari. Ci dice in proposito lo stesso artista: “È un brano scritto proprio per chitarra battente dal compositore romano Fabrizio Nastari. Il brano è a me dedicato, e mi sembrava opportuno renderlo parte integrante di un lavoro già abbastanza vario di per sé. Per meglio spiegare il tutto, riporto direttamente cosa è stato scritto da Nastari al riguardo: ‘”Tarantoten” è una composizione che vuole unire la tradizione della tarantella tipica dell'Italia del Sud con le suggestioni simboliche della danza della morte (Totentanz) rappresentata nella chiesa di San Nicola a Tallinn, in Estonia, dove attualmente vivo. Queste due sfere con cui sono a contatto vengono unite e reinterpretate: è possibile, infatti, ascoltare alcuni ritmici tipi della tarantella su cui contemporaneamente si appoggia la melodia del “Dies Irae”, solitamente utilizzata dai compositori colti nelle composizioni dedicate al Totentanz. La compresenza di queste due culture e tradizioni secolari provoca una lettura inusuale di entrambe mischiando simbologie, suggestioni e riferimenti diversi per ogni ascoltatore e ogni interprete’”. Molto interessante anche la quinta traccia “Cadenza a croce”, che ci porta in un clima aleatorio, maderniano direi, poi subito rientra in una fraseologia bachiana, insieme a rasgueados e momenti di musica sperimentale con improvvisi accordi dal sapore jazzistico. Anche L’influenza della sonata di Ginastera vi è chiara: forse un omaggio ai calabresi che hanno preso la via dell’Argentina? Ecco la sua diretta testimonianza: ““Cadenza a croce”, o meglio parte di essa, l’ho scritta per uno degli atti dell'opera lirica “CrossOpera”, appunto dall'inglese croce. In partitura la chitarra battente aveva un momento solista, quasi una piccola cadenza. In un secondo tempo ho voluto ampliarla. La eseguo spesso, anche in ricordo di un’esperienza assolutamente indimenticabile. A livello armonico all'inizio è assente il centro tonale. L'ho fatto perché volevo un’introduzione che fosse quasi onomatopeica. Ma in linea generale tutto il brano non ha una tonalità di impianto vera e propria perché si susseguono varie tonalità. Praticamente è un'altra tecnica a pannelli. E chiaramente un uso massiccio di campanelas”. Segue “Salici Meccanici”, diviso in due momenti. Nel primo, natura e tecnologia convivono in modo apparentemente improvvisato ma in realtà con una costruzione molto serrata. Un senso di inesorabile preoccupazione per la difficile convivenza futura di questi due mondi viene significata da glissandi, suoni lunghi, vibrati, ripetuti, ribattuti, trattori, gallinacei, uccelli, clacson insieme. A farne le spese sono soprattutto i salici che sono ‘piangenti’, anche se la parola è in absentia. Nella seconda parte di “Salici Meccanici-passacaglia”, la preoccupazione diventa quasi disperazione, lamento, non a caso viene utilizzata la forma della passacaglia. Tuttavia alla fine del brano l’entrata delle percussioni pulsanti scandisce il tempo quotidiano che invita e apre a una nuova speranza. Anche le ultime quattro tracce hanno un carattere unitario, titolate come “Suite Semi Continentale” e poi come consuetudine della suite storica, intesa come serie di danze stilizzate, indicate con il loro andamento agogico o la loro funzione strutturale. Nel “Preludio” si respira decisamente un clima d’avanguardia e insieme tradizionale; vi compare infatti una sonorità di lira calabrese (strumento che egli stesso suona anche, giusto per non dimenticare le sue origini. Il “Capriccio” comincia con un ritmo dispari deciso per poi dissolversi in atmosfere rarefatta con effetti di pizzicati e note acute della battente, in un finale quasi progressive che riprende il ritmo iniziale. Un ambiente neo-barocco caratterizza il “Largo”, ma solo dal punto di vista formale poiché i contenuti musicali sono assolutamente informali e contemporanei. Viste le similitudini strutturali e funzionali della Giga e della tarantella, qui Santacaterina si lancia in una efficace tarantella-sinth che con un glissato ci porta ad un finale ad effetto. Il disco è un lavoro maturo e ben meditato, una sincrasi di tutte le sue esperienze musicali, un punto d’arrivo sicuramente ma anche di partenza di questo piuttosto unico che raro artista che, ne sono sicuro, tante sorprese ci rivelerà in futuro. 


Francesco Stumpo

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