Fränder – Fränder II (Nordic Notes, 2023)

“Fränder II” è il secondo capitolo discografico del gruppo formato da Säde Tatar (flauto, cornamusa e scacciapensieri), Natasja Dluzewska (voce e violino), Gabbi Dluzewski (mandola svedese, percussioni e cori), Daniel Dluzewski (basso e cori), Björn Tollin (percussioni), Andreas Berglund (percussioni aggiunte), Valter Kinbom (darbuka e fischietto ad acqua). Sulla copertina viene riportata una nota già molto esplicativa dei contenuti: “Originato dalla tradizione di Svezia e Estonia. Il pesante groove dei “Fränder” e le seducenti armonie tessono un affascinante paesaggio sonoro di mistero e magia”. La band è nata nel 2015 con l’intenzione di unire musiche tradizionali della loro terra e atmosfere moderne, senza né tradire le origini ancestrali, né volerle riproporre fedelmente. Permettetemi qualche digressione personale, credo in tema. La piena consapevolezza dell’importanza della musica della mia terra, la Calabria, l'ho avuta molti decenni fa visitando l'accademia Sibelius di Helsinki. Fu uno shock constatare che in quel sacro tempio della musica venivano studiati gli strumenti della tradizione folklorica scandinava. Comprai un kantele, lo strumento con cui si accompagna il poema del “Kalevala”, e imparai a suonarlo. Leggendo la biografia dei musicisti, scopro che Gabbi ha studiato in quell'Accademia, seguendo studi classici occidentali ma anche folk. In questa parte del mondo conservano e studiano le loro tradizioni ma si aprono al jazz, al rock, approfondiscono la musica antica. Non a caso proprio a Uppsala, città di provenienza di questa interessante band, sono conservati molti documenti manoscritti della Scuola Napoletana del Settecento, come la famosa collezione “Gimo” per mandolino e numerosi partimenti. Da una realtà così non poteva che nascere questo maturo prodotto di sincresi musicale. Mi chiedo: che impressione potrebbe fare a un ventenne di oggi ascoltare le limpide melodie nordiche in abiti rock, in un groove che contempla un uso volutamente eccessivo delle percussioni? Per chi è come me è più attempato al primo ascolto emergono chiari dei nomi: Led Zeppelin, Jethro Tull, Genesis, musicisti che per primi hanno intuito la potenzialità di unire i ritmi ripetitivi e le melodie modali del nord alle sonorità elettriche, perfino metalliche, del rock, facendoli diventare immortali riff. Ad aprire l’album, come l’ouverture di un’opera, la potente “Evigt regn (Eternal Rain)” che ci catapulta come un’improvvisa pioggia in quelle che saranno le cifre sonore presenti nelle tracce successive. L’irruente mandola svedese ci introduce con “Tid att komma hem (Time to come home)”, in un clima musicale di pop scandinavo con a un chorus di facile memorizzazione e ci fa conoscere le sonorità peculiari di quella terra, come ad esempio quella della cornamusa. “En sommarkväll (One summer’s Evening)” comincia con un ostinato del basso e una nota ribattuta della melodia su cui emerge la voce e il flauto; nella seconda parte gli strumenti si lanciano in assoli e riff. “Rabatud (Taken)” è introdotto dalle percussioni e dal basso e seguito dall’arpeggio della mandola con lunghe note del violino, da qui prende quota un giro-vamp di quattro accordi. “Öhtu örna ( Silent night)” è contraddistinto da atmosfere notturne create dall’ostinato del basso, delle percussioni, da flauto e violino nel registro medio-basso e su cui la voce si incastra con un efficace il ritornello-hook. “Svarta sparvens sorg (The sorrow of the black sparrow)” è un brano molto ritmico dal sapore epico e progressive, è ispirato alla leggenda nordica del passero nero. In “Kung Björns polska (King I Björns polska)”, lo scacciapensieri, protagonista di molte musiche del mondo e che accomuna tutte le latitudini, crea un particolare groove insieme al basso e alle percussioni e poi alla mandola. “Kom till mig, jäg väntar (Come to me I’m waiting)” si compone di due parti: in “Pt.1 “Kom till mig” (Come to me) i suoni punteggiati, lunghi intercalati da silenzi e le melodie sinuose ricordano le distese pianure del nord, mentre in “Pt.2 Jag väntar (I waiting)” un’entrata omoritmica di tutti gli strumenti apre a un’atmosfera festosa di danza veloce in sei ottavi, quasi da fiddle con lunghi spazi lasciati all’improvvisazione. Nel brano finale, “Under ditt hjä (Under your hearth)” La mandola svedese contrappuntata dal basso introduce un canto dal sapore popolare molto intenso cui fanno eco gli altri strumenti con discreti interventi melodici. Vi prevale un sincero sentimento nostalgico verso un passato mitico che i giovani musicisti sicuramente non hanno vissuto ma che fornisce un sano impulso verso il futuro. La proposta di questo quintetto che arriva dal profondo nord è sicuramente da annoverare tra le più affascinanti sperimentazioni di commistione tra folclore locale e world music in senso moderno. 


Francesco Stumpo

Posta un commento

Nuova Vecchia