Donatello Pisanello – Mementi (Setola di Maiale, 2023)

Parallelamente alla sua attività con Officina Zoé, Donatello Pisanello ha da lungo tempo coltivato diversi percorsi collaterali, spinto dalla sua tensione costante verso l’esplorazione di nuovi ambiti artistici, spaziando da album dall’affascinante taglio melodico come “Sospiri e Battiti” alla composizione di colonne sonore (“Il primo incarico” e “In un posto bellissimo”) per toccare le intersezioni tra musica contemporanea, minimalismo e psichedelia, non senza uno sguardo verso l’instant composing e l’improvvisazione ora alla chitarra elettrica, ora all’organetto. In questo senso, fondamentale ci sembrano tanto l’originale approccio strumentale volto ad esplorare nuove potenzialità sonore, quanto come l’utilizzo del live looping. In ambito chitarristico, sono nati, così, gli sperimentali "8 Horror Vacui per una Entomofilia Quotidiana" e "Il Crollo della Ment e Bicamerale e l'Origine della Coscienza" (una selezione di entrambi i dischi è stata raccolta nel recente “Antologica”), il progetto "Escapismo", pubblicato con il moniker CosiCiamune, e tre album editi solo in digitale su BandCamp, "Peripheral Industries", "Attese" e "ZANG TUMB TUMB", tre lavori spiazzanti e nel contempo sorprendenti a cui è seguito “OPS”, album nato da due session in studio dedicate alla instant composition all’organetto ad otto bassi. A tre anni da quest’ultimo, Donatello Pisanello torna con “Mementi” album introspettivo e poetico che, musicalmente, estendere ancora di più il raggio delle sue ricerche sonore. Abbiamo intervistato il musicista salentino per farci raccontare dalla sua viva voce questo nuovo progetto artistico.

Partiamo da Osimu, la residenza artistica che incentrata sulla sperimentazione e l’improvvisazione che da qualche anno organizzi a Taviano (Le). Com’è nata questa fortunata esperienza da cui hanno preso vita non solo diversi incontri, collaborazioni e dischi come il più recente “Dove morde la taranta” del Constellation Ensemble?
L’obiettivo di OSIMU é quello di far incontrare musicisti particolarmente interessati all’improvvisazione libera e alla composizione istantanea, una pratica sonora che stava alla base della musica popolare e della tradizione orale (si pensi, per esempio, al musico-terapeuta del tarantismo che attraverso l’improvvisazione esplora per individuare il motivo più efficace per la “cura”). Dico “stava” perché ormai i musicisti che si dedicano alla musica etnica, tradizionale, popolare, non improvvisano più essendo concentrati principalmente sulla riproposizione e composizione. Come dice il maestro Marcello Magliocchi, direttore artistico delle prime due edizioni e che ha contribuito al lancio di OSIMU, “Prima viene l’improvvisazione e poi la concettualizzazione”, se proprio necessaria, quest’ultima, aggiungo io. Nell’ultima edizione abbiamo provato la formula dell’autogestione dei musicisti senza una direzione artistica specifica coinvolgendo anche artisti salentini. Debbo dire che é stato un successo inaspettato sia per il dibattito scatenato che per il risultato artistico, il tutto frutto della socializzazione continua tra i partecipanti. Inoltre, abbiamo esteso la pratica dell’improvvisazione all’arte in generale, attraverso la danza, la pittura e la parola. Sotto questo aspetto credo che sia stato un evento unico in Italia.
Dopodiché con i musicisti ospiti, provenienti dalla Sardegna, dal Lazio, dal Friuli e da Altamura, dietro suggerimento del trombonista Carlo Mascolo, realizzatore del Free Flow Festival di Altamura con cui
esiste una sorta di gemellaggio, abbiamo pensato di improvvisare in uno studio e dar vita a “Dove morde la Taranta”, un omaggio al fenomeno del Tarantismo attraverso una serie di composizioni istantanee. 

Dopo la pubblicazione di “Sospiri e Battiti” che aveva un profilo prettamente melodico, la tua discografia come solista si è arricchita di diversi album dedicati all’improvvisazione, sia per chitarra elettrica sia per organetto. Qual è il filo rosso che collega questi lavori?
Credo nasca tutto dall’esigenza, dettata dal mio spirito essenzialmente anarchico ma anche utopistico, di esprimermi in un modo estremamente libero da ogni sorta di condizionamento strutturale per indagare, in modo quanto più profondo possibile, la mia sensibilità musicale e creativa, ma cerco di concentrarmi più sul suono che sulla musica. Trovo stimolante ogni esplorazione sonora.

Ci puoi raccontare com’è nato “Mementi”? Quali sono le ispirazioni alla base di questo lavoro? 
“Mementi” continua il mio progetto di liberare uno strumento come l’organetto diatonico dai cliché e dai luoghi comuni in cui viene relegato che non gli permettono di esprimere in modo soddisfacente le sue potenzialità sonore, almeno dal mio punto di vista. Attenzione: ho detto “sonore”, non “musicali”, sotto quest’ultimo aspetto ci sono organettisti molto interessanti.

Quali sono le sostanziali differenze rispetto al precedente “Ops”?
In "Ops" (peraltro considerato uno dei migliori album del 2020 secondo Ettore Garzia, Percorsi Musicali) il suono dell’organetto é essenzialmente naturale, in “Mementi”, invece, lo strumento é filtrato attraverso il Soma Cosmos, uno effetto che in un certo senso randomizza ogni esecuzione sprofondando nell’imprevedibile, una condizione che adoro. C’è una sorta di assurda complicità nell’iterazione continua tra uomo e macchina. Il Cosmos viene definito dal suo creatore Vlad Kreimer “drifting memory station designed to work with meditative states through music”. Ho usato altri strumenti del Soma Laboratory, (loro amano definirsi “Romantic Engineering”), come il Lyra 8, che si possono ascoltare sul mio profilo Bandcamp; per le loro macchine usano il termine “Organismic” perché sono progettati su alcuni principi che si trovano alla base degli organismi viventi. 

Come si è indirizzato il tuo lavoro di composizione in “Mementi”?
Si tratta di composizioni istantanee, frutto di improvvisazione libere in studio per cui il risultato é stato, appunto, essenzialmente imprevedibile o, meglio dire, non-intenzionale. Sono entrato in studio, ho improvvisato per mezza giornata e, successivamente, ho scelto questi sei “Mementi” confezionati nel cd per l’etichetta “Setola di Maiale” di Pordenone che da trent’anni, sotto la guida del suo fondatore Stefano Giust, si occupa di pubblicare opere tra le piú interessanti del panorama sperimentale e avanguardistico.

Il titolo del disco e delle sei composizioni rimandano al ricordo, alla riflessione e alla meditazione. Qual è il sostrato filosofico e culturale su cui poggia questo nuovo lavoro?
L’esigenza essenziale è quella di concentrarsi principalmente sull’ascolto, una pratica ormai desueta dal momento che generalmente si dice “abbiamo visto un concerto” più che “abbiamo sentito”; si dovrebbe meditare su questa affermazione che inconsciamente permea la musica contemporanea. Nei miei concerti cerco infatti di privilegiare situazioni di ascolto al buio oppure di suonare dietro un lenzuolo, alla maniera di Pitagora, in modo che il pubblico privilegi l’orecchio all’occhio nella percezione dell’evento. Purtroppo, non sempre questo è possibile perché il pubblico viene appunto per “vedere” il concerto, non solo per “ascoltarlo”. D’altronde siamo nell’era dell’immagine e l’occhio misura tutte le cose. Inoltre, credo che l’ascolto sia il senso più indicato per la concentrazione e di conseguenza per stimolare la riflessione e la meditazione che, data la crisi esistenziale attuale dell’Occidente, non può che risolversi in un profondo senso di nostalgia verso una condizione esistenziale migliore, ideale, sia essa vissuta nel passato che proiettata nel futuro. Il tutto sotteso da una profonda malinconia, sentimento diffuso di questi tempi, almeno tra le menti più sensibili.

Quali sono gli aspetti espressivi che hai privilegiato nell’approccio all’organetto a 8 bassi in questo disco?
Ripeto, mi concentro più sul suono che sulla musica e questo strumento mi aiuta moltissimo malgrado, per molti, sia molto limitato musicalmente. Ma anche il limite ha i suoi stimoli e riserva molte sorprese specie quando si è abbastanza liberi da pregiudizi artistici e da meccanismi risultanti da una formazione accademica e/o didascalica. L’istinto è spesso represso dalla ragione che cerca sempre di ingabbiarlo o di annullarlo totalmente e tutto ciò a danno di una espressione artistica più umana e umorale. Infatti, l’espressività spontanea, che tiene conto dello stato d’animo del momento, è mal tollerata, probabilmente perché è considerata una forma di ribellione allo standard culturale di dominio che richiede efficienza tecnica e coscienza razionale. L’arte dovrebbe essere principalmente una forma di liberazione da tutto ciò che la incatena. Un evento artistico, per esempio, dovrebbe essere privo di ogni forma di aspettativa sia da parte del pubblico che dell’artista stesso, se no si riduce essenzialmente ad una forma di ripetizione, di un copia/incolla del reale, alla maniera in cui racconta Andy Warhol e sulla scia che descrive Walter Benjamin nel suo saggio “L’opera d’arte. Nell'epoca della sua riproducibilità tecnica”. Mi rendo conto come oggi sia un po’ difficile e impegnativo concentrarsi su certi argomenti, la gente vuole cose facili da ascoltare, da leggere (?), da capire, ma ciò vale per ogni aspetto della condizione umana attuale, dall’arte alla poesia, alla letteratura, al cinema e quindi alla musica, almeno in Occidente.

Ci puoi parlare degli altri due lavori usciti con il moniker DonLoopis su Bandcamp?
Come Don Loopis pubblico generalmente materiale frutto dai miei “divertissements” , come direbbe Satie, con l’elettronica. Mi piace giocare con “macchine” analogiche che non prevedono memorizzazioni. Il mio è un approccio molto istintuale, basato sull’intuizione del momento, verso lo strumento e mi piace esplorare direttamente improvvisando sulle varie manopole, tasti, sensori ecc… Ogni volta che mi appresto a suonare non so cosa succederà, cerco il suono e le possibilità che la macchina mi offre di manipolarlo, di direzionarlo e renderlo piacevole alle mie orecchie. Mi interessa molto il viaggio più che la meta che neppure conosco, il suono in sé più che la musica. In effetti, mentre suono, sono un bambino inconsapevole, solo dopo, con l’ascolto, mi rendo conto del risultato. Pensiamo per esempio al verbo inglese “to play” che può significare “suonare” ma anche “giocare”. Come diceva Bruno Munari: “Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé per tutta la vita vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare” spontaneamente. La maturità, specie quella richiesta istituzionalmente e finalizzata alla conservazione dei valori dell’Istituzione stessa, mi ha sempre spaventato. Il linguaggio dell’Arte, e della Musica in particolare, non può essere istituzionalizzato, concettualizzato, codificato, verrebbe meno l’Arte stessa. Per questo trovo molto stimolanti gli strumenti analogici: tu parti da una vibrazione e ci giri intorno, la prendi per mano, l’accompagni, a momenti lei ti sfugge a momenti ti permea, senza alcuna intenzionalità precisa, liberando ogni sfogo creativo.


Donatello Pisanello – Mementi (Setola di Maiale, 2023)
Sono trascorsi tre anni dalla pubblicazione di “OPS” e Donatello Pisanello torna con “Mementi”, secondo album realizzato per Setola di Maiale, storica etichetta specializzata in “musiche non convenzionali” e che giunge in contemporanea con “Dove morde la Taranta” un omaggio al tarantismo riletto attraverso una serie di brillanti composizioni istantanee, realizzato con Constellation Ensemble, partners in crime già al suo fianco nel festival Osimu. Registrato, mixato e masterizzato da Carlo De Nuzzo presso l’Audiogrill Production Studio di Taviano (Le), il disco raccoglie sei composizioni istantanee inedite per organetto diatonico 8 bassi e Soma Cosmos, che nel loro insieme, compongono un viaggio attraverso i ricordi nel quale si attraversano atmosfere sonore differenti spaziando da segmenti psichedelici all’elettronica. Ogni brano è costruito partendo da un approccio non convenzionale all’organetto diatonico con il suono dei mantici che è la base su cui Pisanello costruisce le sue ardite ed elaborate architetture sonore tra loop, iterazioni e climax. Ad aprire il disco è “Primo Memento” che muove da una trama sonora ciclica guidata dall’organetto per evolvere, aggregando diversi elementi armonici e ritmici a comporre una più complessa architettura. Se i poco più di otto minuti di “Secondo Movimento” si muovono nei territori del minimalismo svelando brillanti soluzioni improvvisative, le successive “Terzo Movimento” e “Quarto Movimento” costituiscono una sequenza di grande suggestione che procede tra imprevedibili deviazioni di percorso, imboscate melodiche, trabocchetti ritmici e increspature sonore. Il vertice del disco arriva, però, con la conclusiva “Quinto Memento” della quale colpisce la scelta dell’utilizzo delle basse frequenze con l’organetto che produce un suono ondulato a rimandare a quello di un organo. Come i precedenti “Memento” non è probabilmente è un disco semplice, ma ascolto dopo ascolto si entra nel vivo delle sue composizioni che catturano l’ascoltatore accompagnandolo ora in atmosfere oniriche, ora attraverso ricordi sbiaditi che ritrovano vitalità e colori, ora ancora lo fanno volteggiare senza rete nell’universo dell’immaginazione.


Salvatore Esposito

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