Laurie Anderson torna in Italia con “Let X = X”, non un semplice concerto ma un vero spettacolo teatrale, a cavallo tra performance multimediale, avanguardia, rock e jazz, fatto di racconti, canzoni e sperimentazione. Considerata tra le più intelligenti esponenti dell’avanguardia americana, anche questo spettacolo non smentisce la sua fama. Si tratta infatti di una vera e propria performance ininterrotta, con un susseguirsi di spoken word e canzoni, tutto accompagnato da visual proiettati sullo schermo sul fondo del palco. I panni della musicista le si addicono tanto quanto quelli della “narratrice di storie”, come ama definirsi, e lo dimostra già dall’inizio, introducendo uno spettacolo – racconto in cui la musicista americana alterna canzoni, letture e pensieri, passando dal suo vissuto personale a quanto succede nel mondo. Un vero e proprio viaggio affascinante, introdotto con le parole di “From the Air” (“Good evening. This is your Captain. We are about to attempt a crash landing”), che terrà il pubblico attento e concentrato per oltre novanta minuti. Il primo brano è anche l’occasione per presentare subito la band che l’accompagna, i Sexmob (Steven Bernstein fiati, Briggan Krauss sassofono e chitarra, Tony Scherr basso, Kenny Wollesen percussioni, Doug Wieselman
chitarra e fiati), musicisti di provenienza jazz che impreziosiscono le canzoni e i racconti della musicista americana.
Lo spettacolo prende il titolo dal brano “Let X = X”, tratto dal disco “Big Science” del 1982, al cui centro ci sono temi importanti e attuali quali l’uso della tecnologia e il rapporto di questa con l’uomo, temi che ricorono più volte nel corso dello spettacolo. La Anderson ci ricorda che i robot sono i nostri giudici, facendo l’esempio dei test di accesso a molti siti internet quando ci chiedono di riconoscere determinate figure (semafori, auto, …), invitandoci a tornare all’antico linguaggio dei segni, a riconoscere le cose che ci circondano e le emozioni che ci provocano nei ricordi, contro il linguaggio digitale, mentre la band inizia la melodia di “Let X = X / It tango”, e lei inizia a giocare con il vocoder per modificare il tono della sua voce.
Da “Big Science” arriva anche il classico “O Superman” accompagnata da fiati e synth, dove al minimalismo elettronico si accompagnano batteria e basso nel finale. Il brano è introdotto da un discorso letto in italiano, dove ringrazia Yoko Ono per il suo commento alla notizia delle elezioni americane del 2016 vinte da Trump, descrivendolo come il miglior commento in assoluto: un urlo lungo tre minuti. Riflettendo su
quanto succede oggi nel mondo, chiede al pubblico di seguirla in un urlo di dieci secondi, pensando alla guerra in Ucraina e a Gaza, a tutti i genocidi in giro per il mondo, al collasso climatico, all’Amazonia in fiamme.
Il collasso dell’ecosistema è un altro punto centrale del suo spettacolo, e la Anderson sottolinea che la tecnologia non risolverà i nostri problemi (“if you think technology will solve your problems, you don’t understand technology and you don’t understand your problems”). Con la consueta ironia si chiede in che modo alcuni dei suoi miti reagirebbero ai problemi di oggi, inventandosi le reazioni di Philip Glass, John Cage, Ghandi e James Brown, introducendo così l’intensa “Gravity's Angel”. La sua non è certo paura della tecnologia, anzi, è sempre stata la prima a utilizzarne le innovazioni, così come oggi utilizza l’intelligenza artificiale per scrivere canzoni, al cui proposito si chiede chi è in realtà che sta copiando chi, tra l’uomo e la macchina, mentre imbraccia il violino per Walk the Dog, con la band che sembra improvvisare seguendo i suoi vocalizzi.
L’emozione raggiunge l’apice con Junior Dad, quando sulle note toccanti del violino della Anderson arriva la voce di Lou Reed. È il momento più intimo del concerto, che prosegue
con “World Without End”, che vede la musicista americana ancora al violino. L’atmosfera intensa si stempera con la melodia pop di “It's Not the Bullet That Kills You”, “It's the Hole”, in una versione che ne accentua la sua anima reggae. In finale di concerto arriva il rock di “Only an Expert” con assoli di sax, una tromba lancinante e la band scatenata in un’improvvisazione free. Lo spettacolo si chiude con “Twinkle Twinkle Little Star”, mentre sullo schermo alle sue spalle scorrono i titoli di coda con i nomi di tutti i partecipanti alla produzione.
Il bis è un altro omaggio a Lou Reed: parla del libro a cui stava lavorando Reed sul Tai chi, “L’Arte della linea retta”, adesso finito e pubblicato, e propone una vera e propria lezione di tai chi, invitando tutto il pubblico ad alzarsi dalle sedie e seguire i suoi movimenti su una musica che unisce suoni orientali al jazz. Per novanta minuti siamo stati ad ascoltare un vero genio del nostro tempo, rapiti dalla sua musica e dalle sue parole, entrambe ugualmente importanti (in più di un’occasione i suoi spoken word sono tradotti in italiano da uno schermo a lato del palco, a sottolinearne l’importanza della comprensione), per quella che alla fine è non solo una performance teatrale, ma quasi una lezione di filosofia sulla vita, sull’uomo e il suo rapporto con il mondo: quello che dovrebbe essere sempre l’Arte nella sua accezione più alta, un linguaggio che condensa in pochissimo tutte le certezze e i dubbi del nostro tempo, e che contiene parte del suo passato e parte del suo futuro.
Giorgio Zito
Foto di Giorgio Zito
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