Ancora un’interessante proposta dall'etichetta ARC Music che si caratterizza sempre più per l’intreccio diacronico sincronico tra i generi musicali. Si tratta di un lavoro discografico registrato dal vivo in due giorni in una Sinagoga nella Repubblica Ceca. È stato realizzato da Yale Strom and Hot Pstromi, un sestetto formato da Yale Strom violinista, compositore
ed etnografo, insegnante e regista di Detroit, figura di spicco del revival klezmer, Elizabeth Schwartz a percussioni e voce, Norbert Stachel ai fiati (clarinetto, vari flauti e sax tenore), Peter Stan alla fisarmonica, Petr Dvorsky al contrabbasso e Aliaksandr Yasinski a fisarmonica e cori.
Questa volta si parte da una delle culture musicali più fortemente identitarie come quella Yiddish, presente in varie parti dell’Europa Centrale e Orientale, culture musicali che hanno come comune denominatore melodie intense e toccanti, emotivamente cariche anche quando il ritmo le incalza fino a farle assumere le vesti di una paradossale marcetta. Da questo punto centrale i musicisti abilmente si spostano diacronicamente, creando un’alchimia che fonde forme classiche con l’uso sperimentale del jazz, genere che di per sé, dalla sua nascita, trae linfa dai fenomeni migratori spontanei o forzati. Certo è che questi idiomi musicali convivono perfettamente in tutti i brani, anche se ognuno di loro presenta peculiari atmosfere. Un ruolo unificante e simbolico è comunque dato dal timbro degli strumenti della tradizione klezmer dell’ensemble – il clarinetto, il violino e la fisarmonica - il cui timbro rimanda a tragiche pagine della storia del Novecento. Il titolo del lavoro, “The Wolf and The Lamb”, si riferisce ad un antico poema ebraico originario di una regione dell’Austria a cui Yale Stone ha dato i suoni rispettando gli stilemi musicali dei luoghi di provenienza dello scritto.
L’album presenta quattordici brani di cui nel primo, “V’zos Ha-Tora”, viene intonato un tradizionale canto su testo della Torah, interrotto poi da una parte ritmica ben strutturata anche polifonicamente al punto da ricordare alcuni brani strumentali del primo Barocco. Già nella seconda composizione, “Pilky”, che significa “visto”, dopo una ritmata danza che ha molto in comune con alcune danze del nostro Sud, si innesta una melodia che Stone ha composto ispirandosi alle ‘Lachian Dances’ di Leoš Janáček, si snoda poi una prima improvvisazione in senso jazzistico. In “Song of Berhomet”, dopo un ritmo terzinato viene intonato un tradizionale canto che funge da tema per la successiva improvvisazione libera su un ostinato di poche note, prima della fisarmonica e poi del clarinetto, del contrabbasso ed infine del violino. Il messaggio diventa allora chiaro: empatia, scambio di ruoli e di punti di vista, fusione di intenti: il lupo diventa l'agnello e viceversa. Il quarto brano, “Bride's Lament”, comincia con una pura improvvisazione da cui si intravede una melodia ebraica, questa poi diventa lo sfondo da cui emerge un declamato che sfocia in uno straziante lamento. Invece, “Pinsk Floyd”, comincia con un tradizionale stilema strumentale a cui segue un’improvvisazione, prima della fisarmonica, del clarinetto, del violino e poi si trasforma in una improvvisazione collettiva e sull'assolo del contrabbasso interviene infine la voce (forse un rimando alle estasianti atmosfere dei Pink Floyd che il titolo ricorda?). Il sesto brano, “Nature Boy / Natur Natur Bokher”, è un canto alla natura contrappuntato dall'improvvisazione del flauto. Si tratta di una versione Yiddish di uno standard americano per la prima volta registrato da Nat “King” Cole. Tipica atmosfera tristemente allegra in “Song from Bihar”, ispirato ad una melodia rumena dove la connotazione triste è data dal modo minore e quella allegra dal ritmo binario veloce, anche qui segue un'improvvisazione eccellente del violino di Strom e della fisarmonica di Stan. Nell'ottavo brano, che ha lo stesso titolo dell'album, una delicata e catartica melodia di quattro note discendenti e una ascendente, quasi una ninnananna, si appoggia sui graffianti accordi della fisarmonica, quasi a simboleggiare il lupo e l'agnello, appunto. Segue il nono brano, “Melody from Livonia”, è basato su una melodia della Livonia e il successivo, “Vizhnitser Nign”, è una rivisitazione di un canto della Bukovina in cui Peter Stan mostra una grande maestria nel riproporre la musica Klezmer. Un atipico valzer arrangiato su una preghiera tradizionale è “Song from Bihar”, a cui seguono altri due motivi, “Stoliner Skotshne” e “Avinu Malkeynu (Our Father, Our King)”, mentre in chiusura compare “Moises Ville” un inno ai musicisti klezmer che incontrarono il tango a Parigi durante la Seconda Guerra Mondiale, unendo una delle musiche più emozionali alla loro già intensa di per sé.
In conclusione, si tratta di un lavoro da ascoltare con curiosità e attenzione per il suo spessore musicale e non solo, dove il metaforico gioco degli scacchi della copertina diventa soprattutto interessante quando sono proprio gli strumenti tradizionalmente Yiddish ad assumere il ruolo di improvvisatori jazz.
Francesco Stumpo
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