Filo conduttore delle nuove composizioni di Sinikka Langeland è il lavoro del Premio Nobel 2023 per la Letteratura lo scrittore norvegese Jon Fosse, la cui “drammaturgia e la prosa innovativa danno voce all'indicibile”, autore della trilogia “Settologia”, in corso di traduzione in italiano. Il libretto che accompagna l’album ne riporta i testi in norvegese e in inglese, tradotti da May Brit Akerholt, con poesie in sintonia con il personale universo di Langeland sempre attenta alla dimensione spirituale del bosco e della natura in genere, specie quando si tratta del Finnskogen, la foresta che interseca Norvegia e Svezia abbracciando le province Innlandet e Värmland, soprannominata "Foresta dei Finlandesi" a partire dall'immigrazione in quell’area dei finlandesi nel XVII secolo dove è nata anche Langeland, a Grue nel 1961.
Per questo suo dodicesimo album da solista, il sesto per l’ECM, la cantante Sinikka Langeland ha scelto un quartetto norvegese con Mathias Eick alla tromba, Trygve Seim al sassofono (entrambi già nel Batagrafensemble di Jon Balke e nel gruppo di Manu Katché), Mats Eilertsen al basso e Thomas Strønen alla batteria. Ne risulta un gruppo coeso, in cui tutti si conoscono e sono a loro agio nell’esplorare e slabbrare i confini fra linguaggi jazz e folk, sempre guidati da un profondo ascolto reciproco.
La cantante mostra particolare attenzione per le antiche tradizioni della musica popolare, tra cui i canti runici e i canti che riguardano gli incantesimi. Oltre a cantare, Langeland suona una versione da concerto a 39 corde della kantele, cetra tradizionale finlandese, della Carelia, dal suono limpido e senza fronzoli, come il suo canto, lirico e espressivo, ma che all’occasione sa andare sottovoce o cercare un timbro inedito, al servizio del suono complessivo del gruppo. Perché con Langeland, è il suono dell’insieme che conta, così come le sue ecologie acustiche rimandano sempre a quelle terrestri che abitiamo e che veniamo invitati ad esplorare, un passo più in là, un po’ più profondamente.
Aperto dalla kantele, nel titolo che apre l’album, nel paesaggio notturno che viene evocato, la morte e l’acqua scorrono insieme. Poi la voce intona solenne “Ro deg fram” – “continua a remare” – a spingere innanzi una barca sull’acqua, forse quella dell’Hardangerfjord. Il canto si impenna e tocca una vetta altissima, poi scende come una preghiera a quelle note della kantele che accendono luci siderali e verso cui sanno salire e ridiscendere gli altri strumenti, prima singolarmente, poi fusi insieme. Segue l’unico brano strumentale, la prima delle due versioni di “Wind and Sun”, con gli strumenti che avvicinano i loro timbri al viaggio per mare che prosegue, fra onde di fiati e percussioni, kantele e harmonium in lontananza e il basso ad evocare il vento fra il sartiame di una nave prima di affrontare con piglio sicuro “It Walks and Walks” solida base per le linee notturne e dolenti della voce e del sax di Seim. È solo con il quarto brano che la tensione si scioglie e la voce e la tromba abbracciano una melodia dal sapore popolare: “When the Heart is a Moon” invita ad ascoltare la luna, a sentire che introno a noi possiamo ascoltare angeli, e con loro le voci dei nostri antenati. Rispetto al felice disequilibrio fra folk e jazz, sorprende l’azzeccato arrangiamento in stile bossa di “The Love”, ponte fra due narrazioni, “Den Kjærleik” e “Kvarandre”, scritte da Fosse a distanza di dieci anni l’una dall’altra. Ma al suono fortemente radicato nella materialità del mondo pensa “Wind Song” con Langeland che ancora tutto al suono di uno scacciapensieri e alle misurate pennellate della kantele, ghiotta occasione per gli inventivi scambi fra Eilertsen e Strønen.
Dal canto loro, Seim ed Eick sanno incidere profondamente con i propri strumenti nelle narrazioni e farle letteralmente volare, come nel loro alternarsi in “Wind and Sun” o nei passaggi più meditativi di “A Child Who Exists”, il secondo brano di cui vengono offerte due versioni.
Alessio Surian