Se con Kalhor si è avuta conferma della forza innovatrice con cui l’artista attinge all’immensa tradizione musicale iranica, con Ana Crismán (Torre del Greco, Palazzo Baronale, 16 settembre) ci si è trovati al cospetto di una musicista che opera la trasposizione dei palos del flamenco sull’arpa (solea, tangos, alegrias, rondenas, bulerias, alegrias, guajiras, seguiriyas). L’artista jerezana (classe 1983), pianista classica e storica della musica, crea e sviluppa da autodidatta tecniche per trasformare l'arpa in uno strumento flamenco, rivelando una nuova dimensione per il cordofono e componendo su temi di tradizione ma al tempo stesso omaggiando i maestri del flamenco, per lei fonte di ispirazione. “Harmoniser le réel” è la cifra di Chassol, pianista e compositore francese che produce ritratti sonori combinando minimalismo, musica concreta, pop, elettronica, immagini e field recording. Un nome che aveva già calcato il palco di Ethnos (si è esibito il 22 settembre a Villa Vannucchi a San Giorgio a Cremano). Poco distante, a Villa Bruno, il giorno successivo ha brillato la kora di Seckou Keita, senegalese trapiantato nel Regno Unito, squisito solista.
Quando si è trattato di aprire una parentesi italiana, la direzione artistica è andata sul sicuro, ospitando Rachele Andrioli (Torre Annunziata, Villa del Parnaso, 21 settembre), che come è noto con “Leuca” si è aggiudicata il Premio Loano per la Musica Tradizionale Italiana. In solo la sua voce-strumento si accompagna a chitarra, tamburello e loop station: è forza viva, proprio di quella tradizione che cambia. Oltre alla traccia del virtuosismo strumentale, Ethnos 2023 ha portato in scena artisti che sono non solo portatori di fusione di linguaggi ma anche osservatori e commentatori della propria realtà sociale. Così il suono diasporico afro-lusitano e tropicale di Ayom attraversa con impeto mari e oceani, ma si arricchisce di nuove sfumature, che inducono a pensare che pur se il ‘baile’ e alla festa sono sempre al centro del loro spettacolo, si aprono scenari più poetici e intimisti. Così accanto a “Ayom Manifesto”, “Valsa das estações”, “Cravo e menta” e Baile das Catitas” ascoltiamo “Oxala”, “Kikola” e “Feitiço”, che annunciano un nuovo album sempre nomade, ma che cerca anche nuove vie nel nome del “Signore della Musica”. È militante il canto di Bia Ferreira (Torre Annunziata, Villa del Parnaso, 8 settembre), protagonista di un gran serata per presenza e riscontro di
pubblico. L’artista brasiliana (voce e chitarra), accompagnata dalle tastiere di Priscila Azevedo e dalla batteria del formidabile Salvatore Rainone, si muove tra umori bahiani, R&B, reggae per dare forma a canzoni cantate e rappate che denunciano razzismo e discriminazione, esortano alla lotta per i diritti delle donne, ma raccontano anche tante sfumature dell’amore. Non è stato da meno l’ibridazione afro-pop dell’ivoriana Dobet Gnahoré (Villa Vannucchi, San Giorgio, 23 settembre). Rinviato per un problema di visti, l’atteso e imperdibile concerto dei franco-marocchini Bab L’Bluz andrà in scena a fine ottobre a Torre del Greco. A Ercolano (Parco Urbano, 10 settembre) si è rivista all’opera il notevole progetto Banda del Sud, ideato dallo stesso Di Luca, che aveva esordito lo scorso dicembre a Napoli. Si tratta di un organico di giovani musicisti (con qualche fuori quota) provenienti da sei regioni del meridione e delle isole maggiori: Raffaele Califano (voce e tamburo) e Hiram Salsano (voce e tamburo), Pierpaolo Vacca (organetto ed effetti), Peppo Grassi (mandola e mandolino), Oreste Forestieri (flauti, clarinetto, ciaramella e percussioni) Marcello De Carolis (chitarra battente), Gabrio Bevilacqua Mascolo (contrabbasso),
Antonio Smiriglia (voce, tamburo), Michele Piccione (lira calabrese, ghironda, tamburi a cornice, zampogna molisana, flauti e percussioni) ed Emy Vaccari (danza), con la direzione musicale di Mario Crispi, polistrumentista e compositore dalla lunga esperienza. Un lavoro di studio su materiali d’archivio che sono l’idea musicale coltivata da musicisti di ottimo livello tecnico con inusitate combinazioni di timbri, voci di terra, stratificazioni e improvvisazioni, aperture soliste e gran momenti di insieme. Si avverte un più forte affiatamento ed equilibrio di suoni, un comune sentire che ha ancora spazio di crescita. Va sottolineato come la cornice di pubblico sia stata sempre all’altezza dei concerti proposti. Nella sua lunga vita il festival, accanto alla ricerca di creatività artistica, ha messo al centro temi sociali, diritti umani e libertà espressiva, intercettando e fidelizzando una audience attenta a conoscere espressioni musicali altre e ad accogliere con entusiasmo i variegati cast, anche se qualcosa in più andrebbe ancora fatto sul fronte della trasversalità generazionale. Da dire anche che il sostegno del Ministero della Cultura porta con sé
l’obbligo di ingresso a pagamento, risolto dall’organizzazione della manifestazione con una politica di prezzi davvero molto calmierati, se non addirittura simbolici (dai 5 ai 15 euro): un ulteriore merito. Chiudiamo questa cronaca con la finale del contest Ethnos GenerAzioni Musica (c’è stato anche un premio riservato alla danza), che ha visto salire sul palco di Villa Bruno (30 settembre) Kalika, Stereoteismo (purtroppo rimaneggiato dal forfait di voce e fisarmonica del libanese Samah Boulmona), il percussionista Vincenzo Romano e il duo di organettisti Gaudio/Pace. Ospite della serata la sempre magnifica Flo, accompagnata dalla chitarra di Ernesto Nobili. Pur di fronte a tre progetti molto apprezzati dalla giuria, non c’è stato dubbio sul fatto che i due suonatori di mantice, Alessandro Gaudio e Salvatore Pace, hanno dallo loro tecnica e fantasia nel far reagire forme musicali danzanti del Sud Italia con tempi zoppi, tango e reggae. Una freschezza acustica che ha reso “Passione Meridionale” (Visage Music), una delle produzioni discografiche più incisive dell’anno nell’ambito della musica tradizionale italiana. In definitiva, ancora una volta il Festival Ethnos ha illuminato le notti vesuviane (e napoletane) con una programmazione calibrata, vivace e di gran livello in venue di prestigio, che sono il valore aggiunto di questi racconti in note.
Ciro De Rosa
Foto di Pino Miraglia e Titti Fabozzi per Festival Ethnos
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