Napoli, in particolare il quartiere Scampia, ha ospitato, nei giorni 14 e 15 ottobre 2023, Babelebab, il primo festival nazionale dei cori interculturali. Il nome dell’evento rimanda all’episodio biblico della Torre di Babele narrato nella Genesi durante il quale viene creata la diversità linguistica. È molto suggestivo notare come nessuna scelta per l’organizzazione dell’evento, sia stata casuale: il festival ha avuto inizio con un convegno, tenutosi nell’aula magna del complesso di Scampia (nuova sede dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, inaugurata il 17 ottobre 2022). Il complesso si presenta con una struttura circolare che assomiglia proprio ad una torre. Come una cattedrale nel deserto, la sede universitaria, ha accolto persone provenienti da tutte le parti del mondo, ma in questo caso, grazie alla musica, la lingua non è stata causa di divisione bensì occasione di incontro e condivisione.
I dodici cori interculturali che hanno preso parte all’evento nascono tutti da un’esigenza simile, quella di sentirsi parte di qualcosa per colmare il senso di abbandono e solitudine che fin troppo spesso ci ritroviamo a vivere. Tutti i membri del Coroincanto, voci femminili senza confini di Roma, diretti da Paula Gallardo, ne sono stati testimonianza. Hanno dimostrato che non importa quali sono la provenienza, l’età anagrafica o la lingua, tutti possono far musica. I canti interpretati sono stati donati dalle persone che hanno incontrato durante il loro percorso che va dal 2010 (anno di fondazione del coro) ad oggi.
I brani, eseguiti nella lingua madre del donatore, sono tramandati e appresi solo per trasmissione orale. Questa pratica, per sua natura, apporta modifiche e arricchimenti alla canzone tramandata, che diventano poi parte integrante della versione tradizionale. Questo è possibile proprio perché il concetto di tradizione non è qualcosa di statico ma si trasforma nell’esercizio della performance in maniera estremamente dinamica. I repertori di tutti i cori sono testimonianza e dimostrazione del fatto che la tradizione e la contaminazione vanno a braccetto. In particolare, è stato interessante l’intervento di due direttori di coro Maurizio Mancini del Coro Consonanze di Bologna e Meike Clarelli dell’ensemble Chemin des Femmes di Modena. Il primo lavora con un repertorio antico, la seconda invece con un repertorio contemporaneo. In entrambi i casi, gli arrangiamenti vengono fatti in chiave moderna e questo apporta modifiche al brano, ma proprio queste modifiche permettono di cucire su misura la canzone affinché il coro possa indossarla perfettamente.
Decidere di far parte di un coro per molti è un’occasione di riscatto. Per chi proviene da luoghi in cui la vita è una lotta per la sopravvivenza, raggiungere l’Italia sembra essere la svolta, ma poi all’arrivo, ci si ritrova a mettere da parte lauree, sogni e ambizioni per riuscire a mantenere la famiglia con la consapevolezza che l’occhio che guarda, ti riterrà sempre un estraneo in casa propria. La realtà dei cori rompe questo meccanismo rendendo il coro un sinonimo di cura.
Il coro non solo fa nascere nell’animo il senso di appartenenza, ma dà anche la possibilità di prendersi cura di qualcosa: delle proprie radici e della propria memoria, raccontando la propria storia; dell’altro, donando il proprio tempo all’ascolto e all’accoglienza priva di pregiudizio; di un progetto comune che porta bellezza a chi canta e a chi ascolta. Di questo sono stati testimonianza il Coro Voci dal Mondo di Venezia, Vie dei Canti di Roma e Se…sta Voce e Coro Romolo Balzani di Roma.
Il coro è anche un’alternativa alla vita “di strada” che bambini e ragazzi di quartieri difficili fin troppo spesso si trovano ad affrontare. Al destino tracciato si presenta una via di fuga, una piccola dritta che dà la svolta e a volte salva. L’esempio sono proprio i più piccoli partecipanti di questo festival i bambini del coro Millecolori di Scampia, che cantano in lingua napoletana.
La musica è un linguaggio universale e il coro Canto Sconfinato di Pordenone ne è una dimostrazione. È riuscito a includere al suo interno anche persone che non riuscivano a comunicare perché conoscevano solo la propria lingua d’origine, ma grazie alla musica che affiorava dai loro ricordi, i membri di questo ensemble vocale sono riusciti ad intrecciare legami e abbattere le barriere linguistiche rendendo possibili dialoghi che diversamente sarebbero stati improbabili.
Il mondo interconnesso nel quale ci troviamo persi e immersi, consente comunicazioni facili e immediate, ma con la stessa facilità e immediatezza ci porta a vivere nella solitudine.
Le distanze non sembrano più dividerci, abbiamo tutto a portata di mano, ma è proprio questo tutto che ci priva della bellezza. Solo quando il cielo è privo di stelle, si inizia a desiderare, perché è l’assenza che muove il desiderio e fa nascere occasioni. Senza vuoti da colmare, come si fa a lasciare lo spazio per l’altro? Nella nostra quotidianità è diventato molto difficile ascoltare perché non si ha tempo né spazio da dedicare alla storia altrui. I cori sono l’esempio opposto, perché ci riportano alla dimensione dell’ascolto, a un sistema di valori condivisi che non si basa solo su una dimensione egoistica del tornaconto personale. Ecco perché i cori si possono ritenere un vero e proprio contesto. Sono luoghi d’incontro e di condivisione nei quali si dà voce all’individuo in modo comunitario e la storia di un singolo diviene storia di molti. La diversità è una risorsa e bisogna imparare a guardare il mondo a colori, con tutte le sue sfumature, e non fermarsi alle scale di grigi.
Nell’evento biblico della torre di Babele, quando le lingue diventano molteplici, segue una dispersione. Anche il festival Babelebab ha voluto ripercorrere questo momento, attribuendogli però un significato inedito: la differenza linguistica non ha portato divisione, bensì ritrovamento, per riscoprirsi simili nelle differenze. I flash mob dislocati in tutta la città di Napoli sono stati la conseguenza della gioia ritrovata e del desiderio di condivisione che è culminato nel concerto finale tenutosi a Piazza Mercato. Napoli, terra di molti popoli, patria delle arti e città della musica, con tutte le sue contraddizioni e i suoi “mille culure” è stata la perfetta cornice del festival.
Francesca Iervolino
Foto di Riccardo Santovito
Tags:
I Luoghi della Musica