Otello Profazio: omaggio al cuntastorie

Testimone della memoria popolare del Sud, mastru cantaturi, Otello Profazio (1935-2023) era in possesso della grammatica linguistica e musicale del mondo orale ma anche di quelli popolaresco e cantautorale, pronto a dare voce nuova ad antiche vicende, più spesso a scrivere di questioni piccole e grandi dell’Italia moderna e contemporanea. Personaggio “larger-than-life”, direbbero gli inglesi, Profazio ha documentato, captato, “rubato”, interpretato, trasfigurato e creato canti, suoni, umori, da ricercatore senza patente accademica, dotato di una grande e inimitabile vena satirica. È stato un controverso mediatore tra l'universo  contadino e quello della cultura ufficiale. È stato anche un divo del folk e ha avuto l’enorme capacità di mettere in scena le storie cantate, con la sua chitarra, sorta di prolungamento del suo corpo. E tanti progetti aveva ancora voglia di portare a compimento. Alessio Surian ripercorre alcuni momenti centrali dell’opera del cantastorie di Rende, scomparso il 23 luglio a 88 anni. Da par suo, il conterraneo Peppe Voltarelli ha scritto di getto un toccante ricordo del cuntastorie calabrese. (Ciro De Rosa)

La Fonit Cetra pubblicò tutti i dischi degli anni Sessanta e Settanta di Otello Profazio cominciando nel 1963 con due LP dedicati alla Calabria, dov’era nato, e, in particolare all’Aspromonte, “Calabria” e “Il brigante Musolino”, con un LP alla Sicilia, “Profazio Canta Buttitta: il treno del sole” nel 1964. Lo stesso anno il pubblico italiano comincia a conoscerlo grazie al programma “Questo e quello”, condotto per Rai 2 da Giorgio Gaber, dove canta “La baronessa di Carini”.


Fra il 1965 e il 1980 condurrà un proprio programma radio, “Profazio canta il sud”. “Qua si campa d'aria” darà il titolo all’LP pubblicato nel 1974, anno in cui partecipa al girone folk di Canzonissima con “Tarantella cantata”.


Fra i locali in cui è stato spesso ospite c’è il Folk Studio di Roma ed è qui che nel 1980 propone alcune memorie e un’interpretazione di “Cola Pesce”.


La sua prima composizione è “La canzone del ciuccio”, brano protagonista dei suoi concerti, qui eseguito a Rizziconi nell’estate del 2007.


Nell’album del 1969, “L'Italia cantata dal Sud” esprime il suo sarcasmo verso il “Guvernu ‘talianu”: lo stesso sarcasmo condivide con Peppe Voltarelli in occasione del concerto al Premio Tenco del 2016.


La sua canzone più famosa e venduta resta “Qua si campa d'aria”: questa esecuzione è stata registrata al Tindari Festival nel 2017.


Otello Profazio: Berlino, Pellaro, Toronto
Ho conosciuto il lavoro di Profazio durante il mio periodo berlinese, quando un amico di nome Vito originario di Filadelfia (Vibo Valentia) mi ha iniziato alla sua opera. Da quel giorno mi è venuta voglia di conoscerlo, di incontrarlo, di cantare le sue canzoni con il suo piglio rubato, tagliente, esagerato. L’ho invitato a Cropalati ad un festival che seguo da ormai 15 anni e lui mi ha detto: “Vengo, ma fammi trovare una chitarra, perché vengo in autobus e non posso portare pesi”. Profazio era un coraggioso che con la chitarra suonata arpeggiata, con il suo personalissimo movimento non temeva nessuno, capace di fare lunghe divagazioni in cui inseriva morale, poi una citazione e una seconda morale, praticamente un fiume in piena. Era orgoglioso è ironico della sua calabresità, quando andavano in un paese a suonare mi faceva fermare la macchina per chiedere una cosa a un passante e domandava chi era il cantante calabrese più grande. Puntualmente tutti rispondevano: “Ma lei è Otello Profazio”. E lui gongolava come un bambino felice. Quando ho pensato al tributo “Voltarelli canta Profazio”, volutamente ho deciso di non coinvolgerlo, perché non volevo essere influenzato nella fase produttiva e nonostante la diffidenza di qualcuno, mi sono affidato a Carlo Muratori, un grande amico mio e musicista dalla grande cultura e dalla grande aderenza alle tradizioni popolari ma moderno, essenziale e siciliano rigoroso. Ed è quello che volevo: prendere i pezzi di Otello e portarli su un altro territorio, neutrale, pulito quasi scientifico rispetto alla sua modalità emotiva. Carlo è riuscito a creare una tessitura sonora incredibilmente rispettosa e nello stesso tempo profonda e nuova. Il lavoro di Anna e Rosaria Corcione con i loro dipinti hanno fatto raccontato con modernità il legame mio con Profazio, nonostante i 35 anni di differenza. Noi, la nostra Calabria, le nostre aggressività, la nostra paura di essere risucchiati nel profondo dal mulinello della gelosia, dell’invidia, della mediocrità nella quale siamo nati. Profazio era una spugna, assorbiva dal mondo che lo circondava tutte le sollecitazioni possibili, aveva una grande memoria e ambizione; a volte era esagerato, sembrava avesse inventato tutto lui, ma in fondo era così pieno di energia che con lui tutto sembrava possibile. Conosceva la cultura classica e ogni tanto dava delle perle durante i concerti fiume. Era irriverente troppo poco malleabile e poco disponibile in questa epoca di lecchini e servi del sistema. Lui parlava spesso di ricercatori del già ricercato, perché odiava la retorica. Era socialista e andava fiero delle feste dell’Avanti e dell’Unità, raccontava spesso del suo incontro con Craxi a Milano e dei suoi viaggi in America, Australia e Argentina. 
Per me era un grande momento quando timidamente dicevo: “Sono stato in Argentina”, e lui mi chiedeva: “Quante volte sei stato?” Io rispondevo: “sette volte” e lui incalzava: “Io 41”. E io zitto… Avevo capito che lo faceva apposta e reggevo il gioco. Ma sapevo che c’era stato veramente e pensavo che tra qualche anno avrei fatto anch’io così con qualche giovane implume… Otello, amico, maestro: sono felice di averti fatto da autista, da chitarrista, da spalla, da figlio e da rivale, e sono felice di non aver avuto nessun testimone da te, sono felice di averti tolto davanti il piatto di ragù alle lumache che sarebbe stato il tuo terzo bis, perché fuori c’erano 34 gradi e avevo paura. Sono felice di aver imparato da te che i percussionisti sono persecutori e che Buttitta ti rispettava, perché in fondo Sicilia e Calabria nella tua voce erano sempre tutt’uno. Sono felice di averti conosciuto e aver visto Capossela inchinarsi davanti a te quando arrivammo allo Sponz di Calitri. È stato bravo l’editore Squilibri a prendersi cura del tuo lavoro, lui ti voleva bene veramente, anche se certe volte lo facevi arrabbiare: ne sono testimone. Ma il mulinello è sempre in agguato, meglio non fidarsi neanche della propria ombra. Ti saluto. Otello non verrò al tuo funerale, perché per me non sei mai morto, vivi ogni giorno in tutte le pennate della chitarra nelle parole in “Colapesce” e nella “Crapa d’Agosto” e come lei continui a saltare e a gridare nelle nostre terre desolate, nei chiari di luna d’Aspromonte e nei tramonti tristi ci sarai sempre, con la tua fame di vita e di gloria. 

Peppe Voltarelli

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