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Il fatto che il titolo “Carry them with us” provenga da un’espressione di Iain Sheonaidh Smus, storyteller dell’isola di South Uist, Ebridi Esterne, che portava con sé, trasmettendoli alla comunità racconti mandati a memoria, chiarisce subito l’intimo rapporto che Brìghde Chaimbeul (si pronuncia all’incirca Briicce Chaimbol) ha con la cultura gaelica di questi lembi isolani di Scozia in cui è cresciuta a stretto contatto con i suoni della natura. “Se qualcuno gli chiedeva di raccontarne una che non voleva raccontare in quel momento, lui diceva: "Non l'ho portata con me", racconta Brìghde. “Quindi l'idea è di portare con noi tutte le storie e le canzoni”. Però, la giovane piper di Skye (l’isola maggiore delle Ebridi interne), classe 1998, non si crogiola nel passato ma piuttosto, pur restando sé stessa, porta le Scottish smallpipes nelle “musiche attuali”, incorporando grammatiche della contemporaneità. Il suo strumento elettivo è la piccola cornamusa insufflata a mantice, dotata di tre bordoni e di un chanter cilindrico aperto all’estremità inferiore; è uno strumento dal suono scuro, caldo e ovattato, affine per diteggiatura alla cornamusa delle Highlands ma sviluppata per esecuzioni al chiuso. Di fatto è uno strumento da camera che, divenuto desueto, è stato ricostruito a partire da strumenti del diciottesimo secolo esposti in vari musei ed è entrato nel circuito della musica tradizionale revivalistica scozzese soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso. La sua prima cornamusa Brìdhge l’ha avuta in dono dal grande Hamish Morre, uno dei primi musicisti a riportare in auge le “cauld wind pipes” (cornamuse a vento freddo perché insufflate non dall’aria dei polmoni). Dopo il lusinghiero esordio con “The Reeling” (River Lea, 2019), e “Las”, album in trio con Ross Ainslie e Steven Byrnes, Brìghde Chaimbeul ha fatto risuonare le sue Scottish smallpipes alla conferenza sul clima Cop 26 a Glasgow e sui palcoscenici globali ed ora ha inciso il suo secondo album per la sezione più sperimentale della label Glitterbeat, incrociando il minimalismo del sax di Colin Stetson, compositore statunitense del Michigan, residente a Montreal in Canada da anni. Noto ai più anche per la collaborazione con gli Arcade Fire e Tom Waits, Stetson è colonne sonore e nel suo curriculum vanta la frequentazione di Fred Frith, Anthony Braxton, Bon Iver, Chemical Brothers e Antibalas, oltre ad aver costruito una solida reputazione di strumentista non convenzionale nel suonare il sax basso con esplorazioni che prevedono l’uso di drones, tecnica di respirazione circolare che consente la creazione di un suono continuo, salti da un registro all’altro, di emissione con suoni multipli e pattern ritmici e la produzione di timbri ora sussurrati o ora aspri e perfino fragorosi, uso di multi-microfonazione che permette di enfatizzare suoni spesso non uditi e allargare le possibilità sonore. Chi suona la cornamusa ha un’attrazione naturale verso i drones, spiega Brìghde: “Sono sempre guidata dal bordone”. Se si osserva la sua postura mentre suona, si noterà il senso di simbiosi e intimità con lo strumento, con i bordoni collocati vicini all’orecchio; è un aspetto che la piper vuole fortemente proprio per costruire un'atmosfera ipnotica e di trance che esalta la fisicità del suono. Inoltre, ha sviluppato accordature alternative per la sua cornamusa proprio per riuscire ad espandere le possibilità del suo strumento. Le cronache narrano che non era passato molto tempo dalla pubblicazione dell’album d’esordio che l’artista scozzese ha incontrato Stetson via twitter: “Ho iniziato ad ascoltare la sua musica. Usa atmosfere che mi hanno ispirata. Durante il lockdown mi ha contattato per registrare qualcosa per un documentario e gli ho chiesto se poteva ascoltare un mio brano. È stato nel 2021 e a luglio dell'anno scorso è venuto qui per una settimana. Praticamente stavamo scrivendo e registrando allo stesso tempo, suonando insieme. Considerando che è arrivato a freddo, quello che ha ottenuto è stato incredibile. Lavorare con Colin mi ha dato davvero tanto”.
Il fatto che il titolo “Carry them with us” provenga da un’espressione di Iain Sheonaidh Smus, storyteller dell’isola di South Uist, Ebridi Esterne, che portava con sé, trasmettendoli alla comunità racconti mandati a memoria, chiarisce subito l’intimo rapporto che Brìghde Chaimbeul (si pronuncia all’incirca Briicce Chaimbol) ha con la cultura gaelica di questi lembi isolani di Scozia in cui è cresciuta a stretto contatto con i suoni della natura. “Se qualcuno gli chiedeva di raccontarne una che non voleva raccontare in quel momento, lui diceva: "Non l'ho portata con me", racconta Brìghde. “Quindi l'idea è di portare con noi tutte le storie e le canzoni”. Però, la giovane piper di Skye (l’isola maggiore delle Ebridi interne), classe 1998, non si crogiola nel passato ma piuttosto, pur restando sé stessa, porta le Scottish smallpipes nelle “musiche attuali”, incorporando grammatiche della contemporaneità. Il suo strumento elettivo è la piccola cornamusa insufflata a mantice, dotata di tre bordoni e di un chanter cilindrico aperto all’estremità inferiore; è uno strumento dal suono scuro, caldo e ovattato, affine per diteggiatura alla cornamusa delle Highlands ma sviluppata per esecuzioni al chiuso. Di fatto è uno strumento da camera che, divenuto desueto, è stato ricostruito a partire da strumenti del diciottesimo secolo esposti in vari musei ed è entrato nel circuito della musica tradizionale revivalistica scozzese soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso. La sua prima cornamusa Brìdhge l’ha avuta in dono dal grande Hamish Morre, uno dei primi musicisti a riportare in auge le “cauld wind pipes” (cornamuse a vento freddo perché insufflate non dall’aria dei polmoni). Dopo il lusinghiero esordio con “The Reeling” (River Lea, 2019), e “Las”, album in trio con Ross Ainslie e Steven Byrnes, Brìghde Chaimbeul ha fatto risuonare le sue Scottish smallpipes alla conferenza sul clima Cop 26 a Glasgow e sui palcoscenici globali ed ora ha inciso il suo secondo album per la sezione più sperimentale della label Glitterbeat, incrociando il minimalismo del sax di Colin Stetson, compositore statunitense del Michigan, residente a Montreal in Canada da anni. Noto ai più anche per la collaborazione con gli Arcade Fire e Tom Waits, Stetson è colonne sonore e nel suo curriculum vanta la frequentazione di Fred Frith, Anthony Braxton, Bon Iver, Chemical Brothers e Antibalas, oltre ad aver costruito una solida reputazione di strumentista non convenzionale nel suonare il sax basso con esplorazioni che prevedono l’uso di drones, tecnica di respirazione circolare che consente la creazione di un suono continuo, salti da un registro all’altro, di emissione con suoni multipli e pattern ritmici e la produzione di timbri ora sussurrati o ora aspri e perfino fragorosi, uso di multi-microfonazione che permette di enfatizzare suoni spesso non uditi e allargare le possibilità sonore. Chi suona la cornamusa ha un’attrazione naturale verso i drones, spiega Brìghde: “Sono sempre guidata dal bordone”. Se si osserva la sua postura mentre suona, si noterà il senso di simbiosi e intimità con lo strumento, con i bordoni collocati vicini all’orecchio; è un aspetto che la piper vuole fortemente proprio per costruire un'atmosfera ipnotica e di trance che esalta la fisicità del suono. Inoltre, ha sviluppato accordature alternative per la sua cornamusa proprio per riuscire ad espandere le possibilità del suo strumento. Le cronache narrano che non era passato molto tempo dalla pubblicazione dell’album d’esordio che l’artista scozzese ha incontrato Stetson via twitter: “Ho iniziato ad ascoltare la sua musica. Usa atmosfere che mi hanno ispirata. Durante il lockdown mi ha contattato per registrare qualcosa per un documentario e gli ho chiesto se poteva ascoltare un mio brano. È stato nel 2021 e a luglio dell'anno scorso è venuto qui per una settimana. Praticamente stavamo scrivendo e registrando allo stesso tempo, suonando insieme. Considerando che è arrivato a freddo, quello che ha ottenuto è stato incredibile. Lavorare con Colin mi ha dato davvero tanto”.
Da parte sua la piper scozzese ha partecipato a “When We Were That What Wept for the Sea” di Stetson, suonando nel brano “The Lighthouse II”. Si avverte l’affinità tra due musicisti che hanno un processo compositivo molto naturale, connaturato alla loro volontà di sentire fortemente i suoni degli strumenti stessi, le dita che si muovono sui fori del chanter e sui tasti del sax basso, il respiro e il tempo dato dal battere dei piedi.
Un potente bordone apre il tradizionale “Pilliù: The Call of The Redshank”, dopo ventisette secondi la melodia si dispiega ed evolve, divenendo sempre più intricata. Superlativo il secondo tema, un altro tradizionale dal titolo “Tha Fonn Gun Bhi Trom: “I Am Disposed of Mirth”, in origine una waulking song, canto eseguito durante la lavorazione del tweed, che è stato anche il primo singolo dell’album. Una composizione che fluisce liberamente, diventando sempre più avvolgente per l’ascoltatore. Qui, la capacità di relazione tra i due strumenti è avvincente con il sassofono che innesta una sequenza di note dando forma a un terzo bordone ma di diverso colore; intorno ai due minuti cresce l’incedere ritmico (sembra quasi di udire un tamburo a cornice), si finisce con il turbinio di ostinati del sax. Il ritmo si fa ancora più incisivo nella successiva “Banish the Giant of Doubt & Despair, un reel che evoca la storia di una principessa di un regno sottomarino e di un gigante delle isole occidentali che non riesce a smettere di danzare sempre più velocemente al suo canto, finché non cade in mare e annega: qui, la melodia procede in maniera straripante, sostenuta da un vitale bordone di basso. Si manifesta compiutamente la relazione tra i due artisti in “Crònan (i)” e “Uguviu (ii)”, due motivi, il primo più malinconico e sottile nel movimento, il secondo più impetuoso, che sono stati creati in studio e in cui è centrale l’elemento improvvisativo, che rientra appieno nel concepire la musica tradizionale, sviluppando iterazioni di cellule melodiche e ritmiche.
“Pìobaireachd Nan Eun: The Birds”, è una composizione che riprende la struttura della semi-esoterica “grande musica” per la grande cornamusa delle Highlands e che trae ispirazione da elementi naturali: “Nel folklore gaelico e nelle vecchie canzoni legate al piping spesso si trovano vocaboli che imitano il canto degli uccelli, che io adoro. […]. È come se ci fosse una connessione tra il gaelico e la lingua degli uccelli”. Di fatti, per la prima volta Chaimbeul inserisce una sequenza cantata che imita il canto del cigno. Anche “Oran an Eich-Uisge: Song of the Waterhorse”, ossia la canzone del cavallo marino, come il brano precedente, è ispirato a registrazioni d’archivio (qui, quelle del Rev. William Mathesen), ci riconduce al folklore gaelico e si caratterizza anch’esso per un breve inserto canoro. Invece, “S Mi Gabhail an Rathaid: I Take The Road” procede a tempo di marcia con lo stomping percussivo nella prima parte, che è un tradizionale, mentre nella seconda parte, composta da Stetson, il sax si libra sopra i droni e le uilleann pipes di Jamie Murphy entrano nel vorticoso e stratificato flusso fino alla chiusura accompagnta dall’harmonium di Brìdhge.
In chiusura del lavoro la coppia colloca il tradizionale “Bonn Beinn Eadarra: The Haunting”, un altro canto associato al paesaggio dell’isola nativa, pervaso da una austera solennità e nel quale, d’improvviso, entra ancora una volta la voce di Brìghde, che ci accompagna fino in fondo a questo album, non proprio di facile presa ma avvincente e inedito sul piano della prospettiva timbrica ed ideativa, in cui si connettono mondi, in cui suoni di tradizione e avant-garde procedono di pari passo, con piena dignità.
Ciro De Rosa
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