Tra le tante cose degne di nota di questo concerto siamo rimasti particolarmente colpiti da una “Blackbird” riccadi variazioni; dall’interpretazione bella e nervosa di “While my guitar gently weeps”; da “A day in the life” efficacemente riportata per piano solo, senza perdere la propria maestosità. In chiusura di concerto la raffinata “Norwegian wood” e i due bis di “Lady Madonna” e “Yesterday”, quest’ultima quanto mai intima e personale. Ricco di suggestioni, stili e generi diversi è invece il concerto di Raphael Gualazzi del (4 di luglio). Dopo una prima parte fortemente caratterizzata in senso jazz ed eseguita in trio con il contrabbassista Anders Ulrich e il batterista Gianluca Nanni, con l’ingresso del quartetto d’archi “Edodea Ensemble” si apre un secondo capitolo del concerto, in cui lo spazio musicale si amplia, includendo atmosfere a tratti classiche, a tratti più descrittive, come ad esempio quando viene eseguito il tema numero 2 tratto dalla colonna sonora del film "Un ragazzo d'oro" di Pupi Avati. In generale l’esibizione di Gualazzi è piena di richiami ad atmosfere, autori ed interpreti della musica italiana, e non solo. Con una voce duttile, che si adatta facilmente a canzoni di origini diverse. Gualazzi a tratti ci ricorda
Tom Waits, Pino Daniele, il grande crooner Nicola Arigliano. Un omaggio a Ivan Graziani è poi la versione di “Pigro”: trascinante, graffiante (come era la musica di Graziani), con un efficace intervento alla tromba di Luigi Faggi. Non manca poi un’anticipazione del nuovo lavoro di Gualazzi, in uscita in autunno: il brano proposto è "Vivido il tramonto", che nel testo e in alcuni passaggi vocali a noi ricorda certo prog italiano più impressionista. Un vero divertissment tra spennellate balcaniche e frammenti ancora una volta prog è il Verdiano "Coro di zingarelle", proposto prima del finale di concerto e dei bis, oscillanti tra sonorità blues, fusion e da jazz cubano, e con le ultime note bagnate da un inizio di temporale. Penultimo concerto del festival, ed uno dei più attesi, quello del 12 luglio di Suzanne Vega. Attingendo in maggio misura ai suoi due primi album (l’omonimo “Suzanne Vega” e “Solitude standing)”, senza però dimenticare le altre fasi della sua quasi quarantennale carriera, Vega, accompagnata da Garry Leonard alla chitarra elettrica, ha tenuto un concerto di rara bellezza, in cui la dimensione ridotta della strumentazione e la piena maturità interpretativa da lei raggiunta hanno dato modo di aggiungere ulteriore valore ai suoi testi, cantati con una voce ancora fresca ed inconfondibile. Il concerto inizia con “Marlene on the wall”e “Small blue thing”, e prosegue con brani altrettanto noti come “Gipsy”, la lunga, sognante e bellissima “The Queen and the soldier”. Ed ancora ecco “In Liverpool”, “Rock in the pocket”, la cover di Elvis Costello “Where heroes go down” (questa ultime da “99,9F°”, 1992). Dopo “Solitude standing” è la volta di “Last train from Mariupol” una delle
canzoni che, annuncia Vega, troveremo nel suo prossimo album. Alcuni degli oltre quindici brani in scaletta sono eseguiti in acustico, altri sono cantati sulla sola trama della chitarra di Leonard, altri infine si presentano in una versione più elettrica, come “Left of center”. Una “Luka” a cui Suzanne Vega restituisce una forma più intima ed in linea con la storia che racconta, e la altrettanto nota “Tom’s diner” eseguita in uno stile a metà tra rap e canto chiudono la parte ufficiale del concerto. I due bis sono una strepitosa versione di “Walk on the wild side” di Lou Reed, che Suzanne Vega definisce “a very NY song”, e “Rosemary”, una canzone uscita come singolo nel 1999, che ha come tema il ricordo. Una giusta conclusione per un concerto che resterà nella memoria di tutti i presenti, che fino all’ultimo, nonostante la minaccia di un nuovo temporale, sono rimasti ad applaudire questa grande Signora del songwriting newyorchese.
Marco G. La Viola
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