Lame da Barba – Qafiz (Radici Music, 2023)

Sono trascorsi ormai dieci anni da quando le Lame da Barba muovevano i primi passi come buskers band per le strade di Bologna. Da allora, Francesco Paolino (mandolino, chitarra e mandola), Stefania Megale (sassofoni, clarinetto), Giuseppe “Pippi” Dimonte (contrabbasso) e Alberto Mammolino (percussioni) di strada ne hanno fatta tanta e, partendo dalla tradizione musicale delle barberie siciliane, hanno dato vita ad un originale percorso di ricerca che li ha condotti ad esplorare le intersezioni tra jazz e i suoni del Mediterraneo. Nel corso degli anni, la loro visione musicale si è ampliata sempre di più aprendosi ad influenze sonore differenti, ma soprattutto affinando la loro cifra stilistica che spiccava tanto nel disco di debutto omonimo, quanto nel successivo “Muta Vita” del 2017. A sei anni di distanza da quest’ultimo li ritroviamo con “Qafiz”, album che li vede dar vita ad un viaggio sonoro spazio-tempo, attraverso le coste del Mare Nostrum dai Balcani alla Grecia, dall’Italia all’Andalusia per toccare il Nord Africa. Con Francesco Paolino abbiamo ripercorso brevemente il percorso del gruppo per soffermarci su questo nuovo lavoro.

Partiamo da lontano come nasce il progetto Lame da Barba?
Possiamo dire ormai nel lontano 2012! Sono già passati ben 11 anni e le esigenze inizialmente erano ben
altre: eravamo in tre, ovvero io, Stefania e Alessandro e facevamo molto busking per le strade di Bologna. Il nostro intento era quello di proporre dei brani che fondessero la magia dei repertori degli antichi saloni da barba siciliani con la bella atmosfera medievale che Bologna sa donare. Andavamo alla ricerca dei vicoli più caratteristici cercando di creare un'atmosfera suggestiva con i nostri strumenti: un mandolino, una chitarra ed un clarinetto.

Quali le coordinate musicali del vostro suono?
Abbiamo ricercato il nostro suono per anni e vorrei definirlo come un'introspezione verso le nostre origini primordiali. Nello specifico mi piace pensare che i luoghi in cui viviamo e quelli da cui proveniamo siano stati felicemente influenzati da tante culture: la voglia è quella far riemergere tutto questo nella nostra musica.

Come si è evoluta la vostra ricerca sonora dalla vostra opera prima?
La nostra ricerca musicale ha cambiato totalmente direzione negli anni. Il nostro primo album è stato il frutto di un'esperienza coltivata in strada ed abbracciava il sentore 'dei saloni da barba' e seguendo questa influenza i brani nascevano con la chitarra e il mandolino, e poi gli altri strumenti si aggiungevano negli 
arrangiamenti. In questa nuova veste, questa nuova fase, ho creato dei brani che fondono in maniera più o meno equilibrata tutti gli strumenti, rendendoli così tutti indispensabili. Un'altra caratteristica importante è quella di aprirci ad una nuova esperienza improvvisativa, un aspetto che mancava nelle vecchie composizioni.

Ci raccontate com’è nato il nuovo album “Qafiz"?
“Qafiz” ha una storia lunga perché avremmo dovuto registrarlo nel 2020: avevamo prenotato lo studio di registrazione ma poi il Covid-19 ha bloccato tutto. Col senno di poi è stato un bene non registrarlo perché l'idea è maturata di più e i brani sono cresciuti molto. Se l'avessimo registrato anni fa il risultato sarebbe stato completamente diverso.

Quali sono le ispirazioni alla base delle vostre nuove composizioni?
Il bello di questa nuova formazione è che ognuno si lascia ispirare dal proprio trascorso musicale, ad esempio in “Zahara” è chiara l'influenza jazzistica del contrabbasso di Giuseppe, mentre in Stefania è chiaro il richiamo afro-beat al sax. Sono brani cuciti sulle personalità musicali di ognuno. In “Saja” viene fuori il grande amore di Alberto per la cultura musicale del sud Italia di cui è grande conoscitore. Le composizioni sono un medium per far uscire ciò che c'è di più bello in noi; quindi, l'ispirazione dei brani sono i musicisti stessi.

Quali sono le identità e le differenze tra questo nuovo lavoro e i precedenti?
Musicalmente questo nuovo lavoro è più modale e circolare rispetto ai lavori precedenti, i quali invece erano pensati per essere un gioco verticale tra melodia e armonia. Inoltre, in “Qafiz”, ho curato tutti gli aspetti oltre alle musiche, e dunque anche il missaggio, la fase di mastering e infine l'artwork della 
copertina. Ho curato da solo tutti questi aspetti in quanto l'idea del suono e della visione di insieme era per me molto chiara.

Come si è indirizzato il vostro lavoro in fase di arrangiamento dei brani?
Ogni brano ha una storia a sé ed un approccio differente, ma in comune hanno il fatto di essere un miscuglio tra musica scritta e musica creata dal vivo durante le prove. Non volevo troppo ingabbiare i musicisti ma allo stesso tempo volevo dare una direzione precisa.

Tra i brani più intensi del disco c’è certamente la solare “Zahara”? Com’è nato questo brano?
“Zahara” è il brano più diretto ed infatti la cellula ritmica di base è molto semplice e viene variata ed intensificata in modo magistrale dalla sezione ritmica. Volevo che il tema del sax desse l'idea di un canto libero che ricordasse l'Africa. Insomma, volevo che Stefania si divertisse ed ho scritto quel tema appositamente con questo obiettivo!

Dal punto di vista competitivo, mi ha colpito molto la costruzione di “Fadha’’...
Questo brano suonava tutto in un altro modo. Un giorno Giuseppe ha proposto un'idea ritmica differente e 
a quel punto il brano ha completamente cambiato direzione. La sua idea calzava meglio, è stata una vera rivelazione. La costruzione è interessante perché il tema del sax viene ricamato da alcuni controcanti della mandola. In altri momenti invece i due strumenti suonano all'unisono. Nella parte centrale ci siamo molto divertiti a fare tante sovraincisioni con le percussioni, e penso proprio che il risultato sia molto soddisfacente.

C’è un brano di “Qafiz” a cui siete maggiormente legati?
Tutti i brani sono in stretta connessione tra loro, e dunque in realtà hanno tutti pari importanza. Fanno vibrare corde differenti, sono portatori di significati differenti, ai quali siamo legati in egual misura.

Come si evolve il disco dal vivo? C’è spazio all’improvvisazione nei vostri concerti?
Questo disco suonato dal vivo secondo me è molto più interessante dei nostri lavori precedenti, perché si evince la vera natura del progetto. Quando si fa un disco ci si sente molto ingabbiati nelle strutture ma in questo nuovo lavoro abbiamo pensato proprio a questo: dal vivo tutto si allarga e il discorso musicale prende vita lentamente e diversamente in base al luogo in cui ci si trova e lo spazio improvvisativo prende la metà del concerto, ci si diverte molto!

Concludendo. Quali sono le prossime traiettorie delle Lame da Barba?
Questa estate saremo concentrati su alcuni concerti per noi importanti: ci esibiremo al Verrucchio Film Festival il 30 Luglio organizzato da Ponderosa Music & Art e al Bagnacavallo Festival il 31 Agosto. In questa nuova fase di cambiamento per me è importante far conoscere il progetto e dunque nel prossimo futuro ho un progetto di girare anche le fiere internazionali e suonare in luoghi in cui questo concetto musicale possa aprirsi ancora di più e regalare inaspettate direzioni.


Lame da Barba – Qafiz (Radici Music, 2023)
A sei anni dal precedente “Muta Vita”, le Lame da Barba tornano con “Qafiz” il loro terzo album nel quale hanno raccolto otto brani strumentali che, nel loro insieme, compongono le tappe di un ideale diario di viaggio attraverso le rotte del Mediterraneo. Rispetto al passato, il gruppo si stacca dalla tradizione musicale delle barberie per immergersi in un itinerario sonoro che attraversa il Mare Nostrum dall’Italia ai Balcani, dalla Grecia all’Andalusia per approdare nel Sahara. Durante l’ascolto a colpire sono tanto gli arrangiamenti che intrecciano echi della tradizione musicale del Sud Italia con sonorità e ritmi di matrice arabo-andalusa, quanto la brillante vena compositiva di Paolino, ispirata dalla costante tensione verso l’improvvisazione e la ricerca di un etimologia del suono. In questo senso, i brani hanno preso vita da una riflessione sulla continua evoluzione e trasformazione dei linguaggi attraverso la loro fusione con culture differenti: uno sviluppo che non conosce divisioni o confini, ma si nutre di dialogo e interscambio. Un esempio ne è la Sicilia, regione di origine di Paolino, che, nel corso dei secoli, ha visto la sua cultura e la sua lingua arricchirsi di influenze provenienti dalle diverse dominazioni che ne hanno segnato la storia, ma anche costruito il suo inestimabile patrimonio culturale. Non è un caso, infatti, che sia il titolo del disco, sia quello dei vari brani, siano parole di origine araba o greca ancora in uso nell’isola. Ad aprire il disco è “Saja” che rimanda ai canali d’acqua scavati dagli arabi in Sicilia nel IX secolo e la cui melodia si dipana in crescendo da un sinuoso dialogo tra il mandolino di Paolino e i fiati della Megale a cui si aggiunge pian piano il ritmo incalzante del contrabbasso di Dimonte e della batteria di Mammolino. Si prosegue con “Famera” con mandola, contrabbasso e darbuka a sostenere il sax tenore che espone la linea melodica in un climax di crescente intensità. Uno dei vertici del disco arriva con “Fadha” il cui titolo evoca il termine siciliano “fara” ovvero il caldo infuocato della pietra e ci svela una raffinata architettura musicale in cui il mandolino e la sezione ritmica incorniciano magistralmente il caldo eloquio del sax della Megale. Il caldo e il sole estivo pervadono “Acubar” (da cui deriva il termine siciliano “accupari” utilizzato per indicare una sensazione di forte calura) che si snoda attraverso una tessitura sonora dinamica in cui corde e percussioni ci riportano alla tradizione arabo-andalusa. Si approda, poi, in Nord Africa con l’evocativa “Qafiz” (antica unità di misura araba per l’olio d’oliva ancora in uso in alcune zone della Sicilia) per far rotta verso la Grecia con l’elegante “Kerasos” (da cui ha avuto origine la parola “cirasi” ovvero le ciliegie). Verso il finale si giunge in Sicilia con  “Zahara” che descrive i suoi paesaggi inconfondibili e le sue zagare e la conclusiva “Marsa”, un approdo denso di nostalgia nella quale il ritmo ipnotico delle percussioni sostiene la magniloquente narrazione del sax della Megale. “Qafiz” è, dunque, un disco affascinante e ricco di suggestioni sonore nelle quali perdersi, ma soprattutto è un lavoro maturo di un gruppo dal futuro sicuramente pieno di belle sorprese. 
Il disco è stato pubblicato anche in un edizione numerata di 100 copie realizzate su carta Tintoretto ed è disponibile su https://www.lamedabarbamusic.com/


Salvatore Esposito

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