Lillo Quaratino – Se non piove esco (AlfaMusic/EGEA, 2022)

Un album fresco e pieno di dinamicità, “Se non piove esco” riflette voglia di suonare – ovviamente – ma anche di scrivere, di approfondire, perfezionare e cesellare le intuizioni, le idee. Lillo Quaratino – contrabbassista e compositore, giunto al terzo album solista – va dritto su una strada tracciata nel jazz, in cui c’è riflessione, rappresentazione – ambiente sonoro (vedi “Tutto il mondo è paese”) – e c’è la forma diretta del suono suonato lì, subito. Si ha l’impressione che l’elemento più rappresentativo di questo splendido album sia proprio l’equilibrio tra i diversi approcci: tra sentimenti che si compenetrano l’un l’altro, mai di fretta, pur in un quadro di combinazioni sempre nuove e attraenti. Alcuni brani sono talmente delicati da apparire come immagini, come bisbigli, in cui non vi è soltanto l’evocazione, ma la sensazione, la percezione quasi concreta, chiara e limpida, del significato strutturale (“Pigro”). Lo dico nel trasporto pieno dell’ascolto, cioè imbevuto dal suono e aggrappato con tutte le forze a quella dimensione ferma e mobile, astratta e vera, in cui ogni strumento si rivela nella sua piena armonia e pienezza. L’impatto è forte, è trascinante, perché ha la forza di astrarre, per tratteggiare il profilo di una veglia condizionata dal suono: uno spazio non scontato, non particolarmente comune. Che, nel caso in questione (definito da pochi strumenti ma con idee e posizioni molto chiare), non solo avvolge chi ascolta in una sospensione creativa, ma riesce a reiterare gli elementi più significativi, più congeniali a un piacevole trasporto, che si trasformano ciclicamente, senza sosta. “Cat and mouse”, che si pone più o meno a metà della scaletta, rappresenta un esempio perfetto di questa dinamica. La quale, a ben vedere, trae origine, in buona parte, dal timbro di strumenti perfettamente allineati, di pochi ma fondamentali “caratteri”, tutti affusolati dentro una proiezione netta e, allo stesso tempo, porosa – insomma, piena di possibilità. Quali agenti che descrivono lo scenario dell’album, gli strumenti (contrabbasso, chitarra, pianoforte, sax tenore, clarinetto, batteria e percussioni) si muovono con maestria affascinante: rassicurante tanto quanto la loro capacità di “spostarsi”, creare spazio, vuoto, orizzonte (qui il brano “Se non piove esco” lo dimostra, grazie soprattutto al pianoforte di Eduardo Taufic). Anche questa dinamica di coordinamento tra gli elementi partecipa di quel realismo rarefatto di cui è composto l’album: dai suoni emessi dai singoli strumenti si immaginano gli sguardi, i sospiri tra i musicisti (provare per credere le dinamiche tra il sax di Davide Grottelli e la batteria di Roberto “Red” Rossi nella prima parte di “Pianopiano”). Il realismo “compresso” – definito solo vagamente – dell’album interseca ogni singola melodia, fino a rappresentare un discorso musicale in continuo rinnovamento, e a convincere chi ascolta che la musica è suonata adesso, nel luogo in cui la stiamo ascoltando, dentro i passi che stiamo percorrendo. È da queste trame, variamente articolate, che emergere in modo organico la voce del contrabbasso di Quaratino. Come quando, nel brano “Pianto d’attrice”, assorbe sia ritmo che armonia in un tratto quasi silenzioso di note fluide e morbide, che seguono l’emersione (in solo) di una chitarra più decisa (suonata, sempre con candore e attraverso interpretazioni delicate, da Roberto Taufic). Anche quando non fraseggia in superficie, il contrabbasso intreccia trame perfette e reticolate, lungo le quali si assestano tutti gli altri strumenti. “Turno notturno”, che chiude l’album, ci mostra un panorama più impreciso e articolato, dentro il riferimento a ritmi più estemporanei: ogni intervento sembra sincoparsi in un’atmosfera più saporita, popolare, in cui le incursioni del sax soprano di Javier Girotto pompano il ricordo di una cumbia (trascinante, come scrive lo stesso Quaratino nelle note di copertina). Nel ciclo di riflessi che corrisponde a quegli sguardi di cui sopra, il clarinetto (di Gabriele Mirabassi) riunisce, assimila, convoglia la narrativa dei brani in un andamento melodico sempre sinuoso, che riesce a rendere più morbido ogni fraseggio. Anche quando (come nel caso di “Greetings”) lo svolgimento e la trama si infittiscono, soprattutto sul piano del ritmo, inquadrando una dinamica più nervosa e – come ci dice l’autore – luminosa. 


Daniele Cestellini

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