Il canto solitario di Radie Peat pervade il minuto “Go Dig My Grave”, su un ritmo marziale, a poco a poco entrano gli strumenti con procedure cumulative e poi droni, effetti sonori stranianti, stridii, rintocchi percussivi che prendono il sopravvento sulla melodia, l’ambientazione diviene ossessiva, disturbante e lugubre: si canta della tragedia di un atto estremo di una ragazza. La seconda parte della composizione si ispira al keening (dall’irlandese caoineadh), una forma tradizionale di lamento per i defunti. La ballata è la rivisitazione di un brano tradizionale, inciso dalla grande cantante appalachiana Jean Ritchie con Doc Watson nel 1963, e narra la vicenda del suicidio di una ragazza straziata da una passione tormentata e non corrisposta. Fa parte di una famiglia di canzoni che sembrano essere in gran parte composte dai cosiddetti “versi fluttuanti”, in origine appartenenti a diverse ballate, alcune delle quali risalgono addirittura al XVII secolo. Musicalmente siamo dalle parti dei Velvet Underground più che dei canoni dell’Irish folk urbano. Spiegano i Lankum: “La nostra interpretazione della canzone tradizionale Go Dig My Grave è incentrata sull'emozione del lutto, che è totalizzante, insopportabile e assoluta […] una reazione fisica viscerale a qualcosa che il corpo e la mente sono quasi incapaci di elaborare”. Così parte “False Lankum”, un gioco di parole sul titolo della ballata “False Lamkin”, quarto album del quartetto dublinese – il terzo per la Rough Trade – formato da fratelli Daragh (chitarra, hammer dulcimer, organo, piano e voce) e Ian Lynch (concertina, elettronica, hammer dulcimer, ghironda, loop, piano e uilleann pipes), Radie Peat (voce, concertina, Hammond, harmonium, arpa, mellotron, piano e bayan) e Cormac MacDiarmada (banjo, banjo con archetto, piano
con archetto, violino, chitarra, hammer dulcimer, percussioni, piano, organo, viola e voce), che giunge a quattro anni di distanza da “The Livelong Day”, che ha aperto la strada al successo critico e commerciale, facendo guadagnare loro il RTE Choice Music Prize (equivalente irlandese del Grammy). Un lavoro co-prodotto da John ‘Spud’ Murphy e a cui collaborano Sadhbh Peat (concertina), Cormac Begley (concertina basso), John Dermody (percussioni), Rith Clinton (theremin), in cui la band ha inteso “creare un maggiore contrasto, in modo che le parti chiare fossero quasi spirituali e le parti scure fossero incredibilmente cupe, persino inducenti all’orrore”.
Si apprende da un’intervista a thequietus.com che la consapevolezza che il mare potesse rappresentare una sorta di elemento connettivo dei brani è emersa solo alla fine della registrazione del disco, realizzata durante le restrizioni dell’isolamento pandemico per la maggior parte in una Martello Tower su un’isola al largo della costa orientale (a pochi chilometri dalla torre dell’Ulisse joyciano): “Ogni giorno attraversavano un ponte dal presente al passato”, dice Peat.
Riprendendo la scaletta di “False Lankum”, “Clear Away in The Morning” si introduce con la sua fisionomia atonale prima che un arpeggio di chitarra e le armonie vocali ci trasportino in atmosfere psichedeliche. Segue il primo dei tre brevi interludi denominati “Fague” che intervallano i brani, registrati insieme come una lunga improvvisazione, che contengono suoni, per così dire, naturali: scricchiolii, sferragliamento e tintinnio del metallo e del legno, un lieve rullo della batteria. Liberi da ogni forma di struttura e di melodia, sono suoni smembrati che fluttuano nel vuoto. “Il doppio significato della parola ‘fuga’, che è una composizione musicale ma anche uno “stato psicologico in cui una persona perde ogni senso di identità, è intenzionale”, aggiungono i musicisti. Ecco le concertine guidare il reel “Master Crowley”, in cui non mancano deviazioni dalla consuetudine melodica portate da clangori metallici.
In “Newcastle” ritorna la voce di Peat, circondata dai cordofoni. La melodia è stata pubblicata per la prima volta nel seicentesco “The English Dancing Master”, dove è intitolata semplicemente “Newcastle”, mentre le parole possono essere collegate a una ballata coeva, intitolata “The contented Couckould”, la storia di un uomo di NewCastle, la cui moglie gli è stata portata via, che racconta come egli si sia recato a Londra per trovarla, e trovatala l’abbia riportata di nuovo a New-Castle Towne”. “Netta Perseus” è il primo dei due brani composti da Daragh Lynch: parte come motivo delicato e acustico, tutto giocato su voci e corde, prima che si imponga un beat ossessivo. Si dispiega potente e compatta “The New York Trader”, ballata tradizionale che rappresenta un altro dei punti di massima dell’album. Anche qui sono al lavoro forze oscure nella figura del crudele capitano massacratore reo confesso, che finisce gettato in mare dall’equipaggio, mentre la tempesta si calma magicamente. Le voci di Radie Peat e di Cormac McDarmada si incrociano nella meraviglia acustica che è “Lord Abore and Mary Flynn”, altra murder ballad dove la gelosia della madre nei confronti del figlio la porta ad avvelenarlo, in modo da compiere il suo sogno d’amore. Si affacciano venature dark in “On A Monday Morning” di Cyril Tawney, riflessione sulla difficoltà del lunedì mattina a lasciare il letto della
persona amata per ritornare alla vita ordinaria che incombe. Invece, proviene dalla penna di Daragh Lynch la conclusiva “The Turn”, della durata di ben tredici minuti: inizio pinkfloydiano, poi la melodia finisce per essere assorbita in un wall of sound rumorista.
La parola a Ian Lynch ancora dall’intervista succitata: “La tradizione e la storia sono importanti, ma è anche importante ricordare che la musica folk ha sempre permesso, per sua stessa natura, il progresso, la sperimentazione e l’impollinazione interculturale: Non credo che esista una cosa come la purezza quando si tratta di canti tradizionali, o di qualsiasi altra musica. Anche gli strumenti che si vedono ora nella tradizione irlandese non ci sono sempre stati. Tornando indietro di 50 anni, alcuni pensavano che il mandolino e il bouzouki fossero un anatema per la tradizione irlandese. Se torniamo indietro di 150 anni, la Gaelic League si scagliava contro le concertine, dicendo che la musica irlandese era solo pipes e violino. Tornando indietro di 200 anni, non c'è più il violino. È una storia di continui spostamenti e di influenze provenienti da altri Paesi".
“False Lankum”: dodici tracce, settanta minuti avventurosi, oltre le convenzioni narrative della tradizione folk, per tracciare nuove rotte.
Ciro De Rosa
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