Van Morrison – Moving on Skiffle (Exile Production, 2023)

Van Morrison è un artista prolifico, che si è concesso ben poche pause. Lo è stato grossomodo in tutte le fasi della sua carriera, producendo instancabilmente album con un ritmo quasi innaturale: la sua discografia ha raggiunto numeri straordinari, ha toccato vette conquistate da pochissimi, ha esplorato un mondo intero di suoni – pur ancorato in una dimensione molto concreta, definita in prima battuta dalla sua voce potente e ferma – e ha elaborato una pratica del lavoro musicale che non si allontana molto da quella di Dylan: costante, persistente, perpetua, inclusiva seppur personale. Questo “Moving on Skiffle” non poteva non entrare nelle pagine di Blogfoolk, perché ci riporta al nervo più saldo del blues, del folk, del rock e, in egual misura (anche se per strade differenti), del pop. La parola “skiffle” – che rappresenta inevitabilmente e altrettanto palesemente un Van Morrison che si guarda parecchio indietro (ha dichiarato alla stampa che fin dall’età dei sei anni ascoltava i gruppi skiffle) – è passata sulla bocca di molti dei più grandi artisti del Novecento. E ci riporta, almeno a noi beatlesiani, all’orchestrina sbilenca del giovane Lennon (lo ricordiamo in quella foto opaca sul rimorchio di un carro con in braccio una chitarra che, sembra, suonasse con la diteggiatura del banjo?), che si riconobbe immediatamente nell’empirismo di una struttura musicale basilare, nella quale intravvide il riflesso della propensione rivoluzionaria del primo rock’n’roll. Quello skiffle a cui ritorna Van – a quasi ottant’anni e una cinquantina di album alle spalle – dagli Stati Uniti arriva proprio a Liverpool (città di mare come Belfast, sua città natale), per poi riverberarsi lungo il Mersey e in tutta l’isola (Lonnie Donegan, il “re dello skiffle”, era scozzese di Glasgow), nel quadro di una tradizione orale suonata per lo più da non-musicisti e con non-strumenti. Insomma, il quadro è sufficientemente organico in quanto a incastri e corrispondenze. E lo è ancora di più se pensiamo che la versione anglosassone dello skiffle – in ragione della connessione con la versione più rudimentale del blues rurale statunitense e per tramite degli scaricatori di porto – ingenera una breve ma intensa tradizione, entro la quale prendono ovviamente forma varianti regionali e, soprattutto, le forme germinali del rock inglese. Van Morrison, che in verità percorre una strada inversa, in quanto i suoi due album più importanti (“Astral Weeks” e “Moondance”) nascono proprio negli Stati Uniti, raccoglie la tradizione a suo modo. E rende giustizia alla naturalità con cui lo stesso Lonnie Donovan aveva dialogato con il canzoniere americano dei primi decenni del Novecento, interpretando brani straordinari e altamente simbolici, come “In the evening when the sun goes down” di Big Bill Broonzy, qui riproposto in una versione molto più raffinata e, allo stesso tempo, strutturata. Van non è minimamente interessato a fare storia della musica, né a enfatizzare la versione europea nella sua interpretazione dello skiffle: preferisce percorrere e amplificare le direttrici già esistenti, riconducendole alla sua visione e interpretandone i possibili sviluppi. Non percepisce, semplicemente, nessun ostacolo di natura geografica o culturale. Canta, come ha sempre fatto e fa ancora stupendamente, il suo folk, la profondità di quella vecchia matrice. Nella quale, uno come lui, riconosce, senza stupirsi troppo, la forza propulsiva di un racconto corale, che può essere ricompreso oggi in una scaletta colossale, un sommario contemporaneo della canzone skiffle. La spola tra i due mondi Morrison la rappresenta fin da subito. Pubblica infatti qualche mese fa, contestualmente all’annuncio dell’uscita dell’album, il singolo “Streamline Train”, brano di Nelson Wilborn, aka Red Nelson, bluesman originario del Mississippi. Il brano entra nella classifica inglese nel 1957 grazie alla versione di The Vipers Skiffle Group, un vero e proprio monumento del genere (in aperta competizione con Donegan), che nel 1956 si aggiudica addirittura un contratto di produzione con George Martin. 


Daniele Cestellini

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