Ho sognato tante volte di andare a Zanzibar al festival “Sauti Za Busara”. Solo il nome, tondo e denso, è una poesia. E poi Zanzibar è un’isola con una storia singolare e affascinante, occupata per secoli dagli Omaniti, centro nevralgico del commercio nell’Oceano Indiano, isola dove è nato Abdulrazek Gurnah, premio Nobel per la letteratura del 2021. Isola nell’Oceano Indiano attorno alla quale ruotano alcuni romanzi di Amitav Gosh. Isola in cui è nato Freddy Mercury. Ho atteso vari anni prima di fare l’application per parteciparvi con il nostro gruppo italo-etiope “Atse Tewodros Project” e finalmente nel 2022, freschi del nuovo disco “Maqeda” ho deciso di provarci e siamo stati selezionati.
Il festival si è tenuto dal 10 al 12 febbraio. Alla call hanno partecipato 400 gruppi e ne sono stati selezionati trenta, ma i gruppi presenti sono infine stati 24. I gruppi selezionati rappresentavano ogni parte del continente africano, dal nord del Maghreb all'estremo sud del Sud Africa, la maggior parte dei quali si esibiva per la prima volta a Zanzibar.
La line up della manifestazione, per chi volesse andare a sondare
gruppo per gruppo, è stata: Tiken Jah Fakoly (Costa d’Avorio), Bcuc (Sud Africa), Damian Soul (Tanzania), Mzee Wa Bwax (Tanzania, Asia Madani (Sudan / Egitto), Patricia Hillary (Tanzania), Culture Musical Club
(Zanzibar), Naxx Bitota (Repubblica Democartica del Congo/ Canada), Sana Cissokho (Senegal), Nasibo (Zimbabwe), Zan Ubuntu
(Zanzibar), Zawose Reunion (Tanzania), Stone Town Rockerz (Zanzibar),
Zily (Mayotte), Atse Tewodros Project (Etiopia / Italia), Majestad Negra (Porto Rico), Uwaridi Female Band (Zanzibar), Kaloubadya (Reunion), Obert Dube
(Zimbabwe), Zenji Boy Na Wenzake (Zanzibar), Waungwana Band (Zanzibar),
Dcma Young Stars (Zanzibar), Supa Kalulu (Zanzibar), Kikundi Cha Idara Ya Utamaduni (Zanzibar). Ai gruppi presenti si è aggiunto un altro concerto creato per il festival attraverso una breve residenza chiamata “Swahili Encounters” dove per quattro giorni alcuni musicisti di alcuni gruppi selezionati hanno lavorato assieme per creare un ulteriore concerto, unico e irripetibile, solo per il festival.
Di tutto il festival la cosa che mi ha colpito di più è stata la mancanza dell’Occidente. Una sensazione nuova e rassicurante. In tutta la mia vista scolastica ho
studiato sempre e solo la storia dell’Occidente con la sensazione che non vi fosse altro mondo, altra storia, altri centri. È stato solo molti anni dopo la fine dei miei studi che ho avuto occasione di capire che c’era altro oltre ciò che avevo studiato. Che coeve all’Impero Romano c’erano stati altri Imperi, in altre parti del mondo. Ricordo la prima volta che ho avuto questa comprensione, una comprensione innanzitutto fisica, come se all’improvviso ti spalancassero una finestra laddove tu avevi sempre visto un muro. Una finestra su una vallata con fiori e alberi sconosciuti eppure esistenti, sempre stati lì, subito dietro quello che tu credevi fosse il muro oltre il quale c’era il nulla. Era a Chicago e andai a visitare il museo d’Arte Moderna. Il governo messicano aveva prestato alla città una mostra sugli Aztechi. Sono entrata nella sala e sono stata sovrastata dalle sculture Azteche, le figure femminili, le iconografie. Ho sentito la grandiosità attraverso la pelle. Era una mostra temporanea, ma nella sala sottostante c’era invece una esposizione permanente degli antichi imperi cinesi e della cultura indiana. Guardavo le date indicate nelle teche e facevo i conti, molte di quelle grandiosità erano coeve dei romani, molte erano antecedenti. Queste
sensazioni vissute erano però su un mondo antico e mi davano una specie di nostalgia a causa della convinzione che nonostante fossero esistite, ora il sistema economico occidentale copre tutto e non vi sono altri centri, altri mondi. Poi sono andata Zanzibar al Sauti Za Busara e mi sono resa conto che esistono ancora culture ed eventi che ruotano ad baricentro diverso da quello legato all’Occidente, un nutrimento di una diversità che non segue certi schemi incasellanti, certe leggi. Trovi un mondo pulsante e vibrante e ti senti spaesato, come se ti avessero spostato l’ombelico e pensi che forse, forse ancora ce la possiamo fare… .
Ecco, l’emozione e la sensazione più forte del festival è proprio questa, ti apre una finestra su un mondo che è subito dietro al muro della nostra cecità occidentale. I gruppi che hanno suonato sono stati tanti e non sono riuscita a vederli tutti, anche perché il festival aveva due palchi, uno in una aerea più vasta, con un palco molto grande e un altro in una zona più raccolta, in un palco in un anfiteatro. Dei gruppi che ho ascoltato, nella maggior parte dei casi, sono stata sorpresa e catturata da gruppi guidati da donne:
Nella prima serata, Asia Madani del Sudan ha entusiasmato la folla con il suo
sound pan-sudanese. Asia è una cantante, compositrice, percussionista e bandleader con sede al Cairo, dove è molto conosciuta sulla scena. Il suo repertorio si basa sul folclore tradizionale sudanese, un paese enorme, dalle tradizioni di tutto il Sudan, ci ha detto con orgoglio. Ritmi e groove si spostavano da una canzone all'altra, incentrati sulla sua voce robusta, a volte cruda. Tra le varie cose, sono rimasta molto impressa dalla sua mitica bassista, di cui non so purtroppo il nome. Naxx Bitota, una cantante congolese residente a Montreal, ha iniziato con furbizia con groove internazionali, ma si è fatta strada fino alla musica dance del Congo che ha davvero fatto impazzire la folla.
Il sabato sera è decollato con gli Swahili Encounters, come già specificato sopra, una tradizione annuale di Sauti za Busara, un'opportunità per artisti di diversi paesi di incontrarsi e collaborare. Questa edizione ha visto la partecipazione di artiste donne provenienti da Zanzibar, Tanzaniza, Zimbabwe, Sudan e RDC. Hanno avuto solo quattro giorni per incontrarsi e comporre insieme un concerto con un risultato inaspettato, entusiasmante. Sempre sabato sera ho potuto ammirare Zily, una cantante dell’isola di Mayotte nell'Oceano Indiano, un'isola di circa 270.000 anime e
un dipartimento francese. Zily canta principalmente in creolo francese accompagnato da fisarmonica e percussioni locali. C'era un forte sapore di salegy malgascio del nord nel set, naturalmente compreso e ben accolto da questa folla. La serata si è conclusa ancora una volta con frenesia, questa volta da parte del giovane gruppo afrofuturista BCUC dal Sudafrica. Poi è arrivata la Zawose Family Reunion, il gruppo di cui molti di noi si sono innamorati. Un gruppo costituito da membri della famiglia (o clan) Zawase. Sul grande palco di Sauti, hanno lanciato uno stato di trance, con una musica permeata da incredibili cori polifonici e gradualmente si sono trasformati in una chiusura guidata dalle percussioni capace di trascinare la folla.
La chiusura del festival la domenica sera, ultimo concerto, è stato di della star del reggae ivoriano Tiken Jah Fakoly. Chiaramente era uno dei preferiti dal pubblico e ha fornito un finale soddisfacente al festival, la sua presenza scenica austera e saggia ha conferito una nota di gravità all'evento, con una serie di riflessioni sull'Africa, sul diritto del continente ad essere libero e a potere utilizzare le proprie risorse. Di questo concerto ho una immagine in mente, mia figlia, di 13 anni, che ho portato con me affinché potesse vivere una esperienza immersa nella musica africana, e che ho visto ballare con le braccia verso il cielo cantando "We love Africa, we love Africa, we love Africa we love...".
Gabriella Ghermandi
Foto di E. Conte
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