Kimi Djabaté – Dindin (Cumbancha, 2023)

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Nelle canzoni di Kimi Diabaté le musiche Mande dell’Africa Occidentale incontrano felicemente i ritmi gumbé della Guinea-Bissau intersecati e incalzati da trame di chitarra che attingono a tutto l’ampio vocabolario della musica di matrice africana, le basi su cui Djabaté ci offre la sua bella voce di baritono che esercita fin da quando aveva otto anni e già cantava e suonava il balafón ai matrimoni e ai battesimi dalle parti di Tabatò, il suo villaggio natale in Guinea-Bissau. La famiglia Djabaté viene dal Mali: gli antenati di Kimi furono invitati a suonare per il re di Guinè che chiese loro di fermarsi in quella che diventerà la Guinea-Bissau ed offrì loro la terra di Tabatò che divenne un villaggio di griot. Badjali Djabaté, il nonno di Kimi era il fratello di Sidike Djabatè, il padre di Tumani Diabatè. Badjali significa “Padre dei Griot”. Kimi descrive il nonno come una persona generosa e vivace che si prendeva cura della comunità, di ogni bambino come se fosse suo, con la stessa attenzione: quando poteva comprare del cibo o un regalo era inteso per tutti... o per nessuno; a casa sua c’erano tre grandi pentole attorno a cui si riunivano all’ora dei pasti fino a trenta persone. Sapeva suonare toncoron (o ngoni), dun-dun, tamà, balafón. Quest’ultimo strumento, a Tabatò, è a disposizione di tutti ed è usato anche per far divertire i bambini ed è lo strumento verso cui Kimi si sentiva attratto. Nonostante lo avessero mandato a vivere in un villaggio vicino per imparare la kora, dopo sei mesi scappò
per tornare a casa e: voleva imparare a suonare il balafón, uno strumento che facesse ballare le persone. A metà degli anni Novanta ha suonato in Europa insieme alla compagnia nazionale di musiche e danze della Guinea-Bissau e, a diciannove anni, si è trasferito a Lisbona. Nel nuovo album, i poliritmi e gli arrangiamenti elettrici di “Alidonke” celebrano con energia l’amore e l’amicizia fra gli esseri umani e, al contempo, nei confronti della sua casa lusitana. Nel 2005 si è autoprodotto il primo album, “Teriké”; poi ha incontrato le etichette Cumbancha e Red Orange con cui ha pubblicato, rispettivamente, “Karam” (2009) e “Kanamalu” (2016). Per il nuovo album è tornato a lavorare con Cumbancha, prestando particolare attenzione alla condizione dei bambini, traduzione di "Dindin", brano che dà il titolo all’album e che l’ha annunciato con qualche mese di anticipo. Nella canzone, che lo vede alla chitarra, il suo messaggio è esplicito (rafforzato nel video da bambini che mostrano un cartello con scritto "voglio giocare"), memore della sua esperienza personale di bambino che non ha solo “giocato” con la musica, ma è stato anche costretto a suonare e cantare per ragioni economiche: "Non sfruttate i bambini/Aiutate i
bambini a diventare esseri umani migliori/Non sfruttate i bambini/ Educateli". I temi dell’onestà e della giustizia percorrono l’album. In apertura, "Afonhe", con la lievità di ritmi a cavallo fra reggae e funky, invita a comunicare cercando di stabilire relazioni di fiducia. Spiega Djabaté: “Amore significa anche fidarsi dell’altro. Se non c’è verità, le cose si complicano in seguito”. Questa attenzione per la comunicazione nella sua dimensione intima caratterizza buona parte dei brani ed è al centro del video che accompagna “Yensoro” che intreccia voce solista e cori mentre gli arrangiamenti strumentali intrecciano melodie di di balafón alla chitarra acustica e ai riff di tastiere reminiscenti del respiro del soul, con i versi della canzone che invitano a dare a una relazione la possibilità di crescere prima di interromperla: “Avevamo la possibilità di essere felici/ma tu non hai aspettato/mi avevi tra le mani/ti avevo tra le mie/ma non hai aspettato”


Alessio Surian

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