Dunjaluk – Dunjaluk (Cantus, 2022)

La cantante Dunja Bahtijarević e il chitarrista Luka Čapeta firmano come Dunjaluk l’omonimo album. La prima, cantante di origine bosniaca che vive in Croazia, attiva sulla scena musicale di Zagabria (è voce nella Mimika Orchestra, band world-progressive-avantgarde e nella formazione Kazan, ispirata alla musica dei Balcani occidentali), è interessata alle musiche della tradizione e all’esplorazione musicale. Luka arriva da Zagabria, produce e compone musica per la danza, il teatro ed il cinema e cerca di evolvere il proprio vocabolario musicale cimentandosi con la musica tradizionale, world e d’avanguardia. Il sottotitolo di questo album d’esordio – ‘Sevdah per tempi moderni’ – esplicita il genere musicale a cui “Dunjaluk” si ispira, quello della tradizione Sevdalinka della Bosnia, e sperimenta una trasposizione in espressioni musicali contemporanee ricercando, al tempo stesso, nelle tradizioni un senso di universalità. Il genere Sevdah riunisce brani originari della Bosnia, ricchi di pathos e malinconia, cantati con passione e ispirazione; in essi si combinano elementi europei, orientali e sefarditi ma si differenziano dagli inflazionati ritmi balcanici per il tempo moderato e l’utilizzo di scale musicali diverse. L’origine della Sevdalinka nasce dall’incontro di due sensibilità: quella ottomana e quella slava del sud. Il nome può significare, da un lato, amore, desiderio, estasi oppure può indicare un fluido bilioso che governa sentimenti ed emozioni. I brani raccontano storie brucianti d’amore e desiderio, di ritorno a casa e di partenza. Affascinato dai versi e dalle melodie, il duo ha cercato di ampliarne gli orizzonti sfruttandone la potenzialità di trasformazione attraverso i secoli. Tutti i brani appartengono alla tradizione tranne la prima traccia, “Bogata sam” di cui è autore Marko Nesich, compositore e musicista serbo (1873-1938) che mette al centro il desiderio bruciante di una donna e il testo aggiuntivo di “Vrbas” composto da Dunja; gli arrangiamenti sono di Dunjaluk. Le dissonanze che si apprezzano in tutte le tracce permeano in modo particolare “Dzidza”, in cui la chitarra ricama trame raffinate, e “Kamen gori”, dove insieme al canto crea sonorità solenni. “Mujo”, invece, è un brano armonico e struggente, della durata di oltre 11 minuti, l’unico in cui accanto alla voce usata come uno strumento, e alla chitarra, si affaccia il flauto traverso della musicista croata Nika Bauman. Il testo del cantilenante “Srdo moja” racconta una contraddizione tra amicizia e amore e in “Put putuje” l’andamento inizia piano e incalza nel finale. L’album, registrato dal vivo, si alimenta del desiderio di sperimentare la densità emozionale di questi brani, cercando di connettere l’ascoltatore al momento ed allo spazio in cui vengono interpretati. La voce e la chitarra elettrica si espongono nella loro autenticità ed espressività senza rincorrere la perfezione e senza sottoporre i suoni ad un’eccessiva fase di post-produzione e così spogliano la musica sevdah per proporla in un’altra veste, creando atmosfere sofferte ma anche stranianti che virano a volte verso il jazz. Sette tracce sempre in bilico tra dissonanze, malinconia e passione, in cui la voce femminile restituisce dignità alla dilagante tristezza, mentre la chitarra agisce da motore ed esplora sonorità in accordi “aperti” che lasciano nell’ascoltatore un costante senso di mancata conclusione. 


Carla Visca

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