Il dimenticato quartetto etno-jazz di Keith Jarrett

D’altronde Ornette sarà, nel tempo, ricordato da svariati innovativi compositori quali, solo per restare nel campo del jazz etnico, Dollar Brand che nel 1974 gli dedicherà “Ornette’s Cornet” (nel suo disco sudafricano “Underground in Africa”) o Rabih Abou-Khalil che inciderà per ben due volte il suo personale tributo “Ornette Never Sleeps” (in “Al-Jadida” nel 1991 e in “Arabian Waltz” nel 1996). Nel giugno dell’anno seguente, il trio fu invitato al seminario NDR Jazz Workshop di Amburgo che solitamente trasmetteva via radio i concerti effettuati e tante di quelle perle musicali, verranno recuperate in seguito su cd (Soft Machine, Henry Cow, John Surman). L’integrale di quella spettacolare esibizione è oggi visibile in un doppio DVD bootleg composto dai dodici brani, mentre l'album ufficiale “Hamburg ‘72” (ECM, 2014), seppur corredato di splendide fotografie in bianco e nero, ne contiene colpevolmente solamente sei: la seconda parte. Il periodo storico-artistico giustificava Jarrett nei tentativi occasionali di cimentarsi in improvvisazioni anche con altri strumenti quali sassofono soprano, flauto dolce, celeste, voce, tamburo metallico, banjo, tenor recorder, congas. Lo stimolava inoltre a lasciare che lo spirito interpretativo fosse libero a piacere di muoversi dal folk al jazz, sfiorando talvolta perfino il rock o a comporre brani di brevissima durata in forma bozzetto. Nel 1990 dichiarò: “Jimi Hendrix venne a sentirmi a New York quando suonavo in trio con Charlie Haden e Paul Motian... a lui non piaceva poi molto la musica rock e desiderava cambiare direzione...parlammo di una nostra possibile collaborazione...avevo anche in progetto di scrivere un album di melodie ragtime nuove per Janis Joplin...non fu possibile perché entrambi morirono”. In un non meglio precisato mese del 1972 il gruppo diventato oramai un quartetto stabile si ritrova per nuove incisioni negli studi di registrazione della Columbia, Jarrett nel frattempo ha avviato quella che sarà una duratura e prolifica collaborazione con
l’etichetta tedesca ECM, che tanta fortuna porterà ad entrambi. Ha registrato durante il novembre precedente “Facing You”, il primo di quelli che diverranno i suoi celebrati dischi di “piano solo” intrisi di virtuosismi e di senso del gusto e della misura. Ma sembra un musicista differente quando suona con gli improvvisatori free i brani che andranno a comporre il doppio "Expectations": tutte le possibilità sono sperimentate, dal piano solo al sestetto (con l’apporto anche di membri esterni) fino a contemplare archi e ottoni, da lui stesso composti e arrangiati come si trattasse della sua mano sinistra. Anche se va detto che da questo disco in avanti i successivi verranno attribuiti al solo pianista: i nomi degli altri componenti passeranno dall’essere scritti a caratteri inferiori al suo allo sparire del tutto dal fronte delle copertine. Il seguente “Fort Yawuh” sarà la loro prima testimonianza concertistica (con l’aggiunta delle percussioni latino-americane di Danny Johnson) al Village Vanguard il 24 febbraio del 1973. L’iperattività di Keith Jarrett lo condurrà a suonare ovunque ma il 21 ottobre il gruppo si ritrova alla Carnagie Hall di New York prima, per esibirsi poi anche in un paio di concerti europei (tra cui Berlino) a inizio novembre e tornare infine in diverse città della costa atlantica americana. A fine febbraio dell’anno seguente esce “Treasure Island” che a dispetto dell’aggiunta dell’ulteriore percussionista Guilherme Franco e del dedicarsi alle percussioni da parte del gruppo al completo, non appare affatto più denso ritmicamente. Dopo due mesi, parallelamente a questo quartetto, la febbrile creatività porterà Jarrett a costituirne un altro più algido e tardo-romantico unitamente ad alcuni dei nomi di punta della scuderia ECM (Jan Garbarek, Palle Danielsson e Jon Christensen). L’esordio discografico, registrato ad Oslo, avrà come titolo “Belonging” e la copertina reca i quattro nomi a uguali
caratteri e con quello del sassofonista come primo. A inizio ottobre 1974 è la volta delle incisioni di “Death And The Flower” e di “Backhand” che usciranno separatamente sul mercato l’anno seguente assieme al già citato “El Juicio”. Da notare come all’interno del secondo Jarrett re-inciderà per quintetto il brano “Vapallia” che era già presente nel solo “Facing You” di tre anni prima e questa rappresenta per lui una sua prima volta assoluta. Sempre al 1975 (a gennaio) arrivano il celebratissimo e sopravvalutato concerto a Colonia che registrato dalla ECM rappresenta il disco di piano solo improvvisato più venduto di tutti i tempi e campione di incassi che donerà smisurata fama mondiale al pianista statunitense e “Mysteries” (a dicembre) dove con Haden e Motian, come nella prima versione del 1971 ma con l’aggiunta di Redman, re-incide anche “Everything That Lives Lament” (da “The Mourning Of A Star”). Talvolta in “Mysteries” par di intravedere gli echi lontani della medesima ricerca etnico-mistica sviluppata nell’ultimo periodo di vita da John Coltrane. Nel 1976 esce “Shades” le cui registrazioni risalgono però agli stessi giorni del precedente e il quartetto per la prima volta si reca in aprile nel Tonstudio Bauer ECM di Ludwigsburg per l’incisione della malinconica e solenne “The Survivor’s Suite”. Il disco che uscirà sul mercato l’anno dopo è composto da una lunga suite dedicata alle vittime dell’Olocausto. I pochi e defilati concerti che seguiranno rappresenteranno per il gruppo (dopo i due del 1973) le seconde ed ultime apparizioni live europee. Unica testimonianza ufficiale di quelle esibizioni sarà il doppio LP “Eyes Of The Heart” (ECM, 1977) (inciso solo su tre lati), registrato in occasione dell’evento al Theater am Kornmarkt di Bregenz (Austria) nel maggio 1976 che anche in questo caso verrà accreditato sul fronte-copertina al solo Keith Jarrett. Nella stampa in cd del 1979, egli dedicherà la registrazione ai tre solisti che lo accompagnarono quella sera, 
lodando la “condivisione con loro di una preziosa intimità in questa musica che li ha costretti a vivere nei suoi spazi e nelle sue note”. Gli interessi musicali del sempre più divo Jarrett iniziavano ad allontanarsi progressivamente sempre più dall’aspetto collettivo, stava per intraprendere un vasto giro di concerti in Giappone e ad ottobre verranno infine incisi “Bya-blue” e “Bop-Be”. Per la prima volta l’apporto compositivo non risulta più sulle spalle del solo pianista, anzi il suo ruolo è decisamente e clamorosamente defilato, il primo disco risulta anche l’unico nella storia a recare un titolo differente da una composizione dello stesso Jarrett. Forse anche la Impulse aveva definitivamente perso interesse per questo gruppo come dimostrerebbe la scarsa attenzione grafica e, nel secondo disco, la ripetuta e gravissima storpiatura del nome di Haden in Hayden. L’architettura sublime delle cui corde era sempre capace di impreziosire ognuna delle sue numerosissime collaborazioni ma questo evidentemente era tenuto in ben scarsa considerazione. Così come il fatto che all’interno di quel disco si trovasse uno dei suoi maggiori capolavori compositivi, quel “Silence” che tornerà ripetutamente in varie incisioni e in innumerevoli concerti del formidabile contrabbassista. L’ultima produzione del gruppo si chiude su un’altra sua composizione vibrante e colemaniana fino al midollo dal titolo significativo “Pocket Full Of Cherry” dove Jarrett imbocca il sax soprano sulle orme del visionario trombettista dell’Oklahoma. E così con una dozzina di dischi alle spalle, la nota finale calerà su questo affascinante e sottovalutato quartetto
degli anni Settanta dalla forte carica evocativa. Un gruppo anarcoide ed informale, composto tutto da personalità spiccate e dai difficili compromessi, in cui dovevano convivere tradizione melodica e dissacrante free ma d’altronde non è forse il pianoforte, uno strumento dionisiaco per definizione, contenendo già nel proprio nome due opposti assoluti?! Da allora la popolarità solista e l’egocentrismo di Keith Jarrett cresceranno a dismisura, le case discografiche e le sale da concerto se lo contenderanno a suon di milioni e lui inciderà in un decennio più di una cinquantina di dischi ufficiali. Già prima della fine degli anni Settanta chiuderà i battenti anche il convenzionale quartetto europeo targato ECM, lo farà con un live registrato al Village Vanguard di New York dove quello “dimenticato” aveva in precedenza registrato “Fort Yawuh”. Jarrett troverà in seguito nuovi stimoli in un trio sempre più stellare a fianco di Gary Peacock e Jack DeJohnette. Quanto agli altri solisti del “quartetto americano” si cacceranno in tasca tutti gli spunti germinati in quegli anni fecondi e più sommessamente continueranno a comporre musiche straordinarie e progetti spettacolari come il nuovo “Ornette senza Ornette” denominato “Old And New Dreams” che nascerà proprio in quei giorni e con il quale daranno nuova linfa al seme della musica del loro sommo mentore e, nell’assoluto rispetto dell’Original Quartet, rigorosamente senza...pianoforte! 

Flavio Poltronieri

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