Alberto Cantone – L’invettiva dalle città perdute (Lizard Records/La Luna e i Falò Records/Il Cantautore Necessario, 2023)

A cinque anni da “Breve danzò il Novecento” torna il cantautore trevigiano Alberto Cantone con nuovo lavoro intitolato “L'invettiva dalle città perdute”. Il disco è prodotto da Loris Furlan, Edoardo De Angelis e Francesco Giunta, con il progetto grafico a cura di Enzo De Giorgi, che già aveva illustrato “Il grande freddo” dell’indimenticabile Claudio Lolli. In quindici tracce, Cantone ci racconta le memorie di un passato, che ci parlano e riflettono sul futuro. Ci sono le città antiche come “Tebe” (“E poi ho visto sempre senza mai vedere, la legge che giudicava per bocca unanime di Tebe, che la prima a morire, prima ancora della verità, la prima vittima di ogni guerra è lei, la Solitaria, la Pietà”), “Troia”, “Il ballerino di Leptis Magna” (“Eccolo, lo so che sta per arrivare come poi arriva l’acrobazia finale, come arriva ‘'applauso della gente, come arriva il dionisiaco istante che brucia nel presente”) che si muovono tra parti recitate e cantate, intermezzi corali, arrangiamenti scarni che le rendono ancora più teatrali, le sonorità swing-blues di “Pompei” (“Facciamo che eravamo antiquari e vetrai, eravamo gabellieri per non pagare mai, esperti nel diritto di scappare alla vita, eravamo orologiai, si , dell’ora sfuggita”) quelle folk di “(Non c’è più) Babilonia” e il mandolino incisivo che sostiene “La biblioteca di Alessandria” (“Han bruciato Aristotele per gettarlo nell’oblio e daccapo l’han riscritto perché trovasse il loro Dio, han bruciato i poeti, rima per rima, perché niente restasse del mondo di prima”). Ci sono le storie più quotidiane intrise di dialetto come “Solo sal”, l’atmosfera medioevale della bellissima “Le mura veneziane” (“Per cinquant’anni ho cantato la tua gente, le tue strade, la tua Piazza dei Signori, spesso mi chiedo se non ho capito niente, delle tue gioie, dei tuoi amori e dei tuoi dolori”) con il testo di Pierluigi Tamborini, che racconta di Giovanni Mestriner, il barbiere di Treviso, primo cronista della città, e i tratteggi di chitarra classica e fisarmonica nell’intensa “Amerigo” (“Sulla foresta vola maestosa la pojana, lo trovano appeso Amerigo, che dondola, lo sguardo giù verso la piana, non ha ferite e sul volto un sorriso più stupito, sicuramente assorto in un sogno fuggito”) con il testo dello scrittore Gian Domenico Mazzocato. Sguardi al passato dolci e malinconici con “Alle canzoni dei vent’anni” sostenuta dal banjo, “Coventrizzazione” (“Non mi avevano spiegato che non c'era il tempo di poterli accompagnare, ora è solo una voragine di assenza e di scoppi questo mare, come questo cielo che non so più guardare”) con la chitarra classica e il violino, “Le mie canzoni dove sono nate?” pitturata dalla fisarmonica. Si parla della pandemia con “Pietà”, c’è l’invettiva incalzante di “Erto” (“E benvenuta alla memoria, benvenuto allo straniero, benvenuto al cercatore che cerca la vita come un fiore... anche in un cimitero”) e, ancora, la delicata “Una città.. ma non ricordo bene dove” (“Ero un animale giovane al tempo, libero viaggiatore, poi sono stato un maschio adulto, robusto predatore, ora come un ulivo, anche davanti al mare, non penso più a partire, mi basta solo vegetare”) che chiude il disco cullata dal pianoforte e dalla chitarra. Un lavoro corposo, a tratti ambizioso e controcorrente. Da ascoltare con la giusta attenzione per cogliere bene tutti i vari riferimenti culturali e letterari. Una vera canzone d’autore, lontana dalle mode e dai facili ritornelli, che trova in Alberto Cantone un perfetto traghettatore dalla voce avvolgente e dalla penna affilata. 


Marco Sonaglia

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