Taraf Syriana – Taraf Syriana (Autoprodotto, 2022)

L’ensemble canadese Taraf Syriana si affaccia sul mercato discografico con l’omonimo debutto, reinterpretando musiche tradizionali e proponendo composizioni originali ispirate alle musiche delle popolazioni nomadi siriane ed est europee. In Romania e Moldavia, la parola taraf si riferisce a piccoli gruppi specializzati in musica tradizionale, la maggior parte dei quali è costituita da musicisti di etnia romaní. La seconda metà del nome è più facilmente interpretabile, ma la connessione coi popoli romaní è forse meno ovvia. La Siria, così come altri paesi del Medioriente e del Nord Africa, è popolata anche dai Dom, un gruppo romaní la cui popolazione era stimata attorno i 250 mila prima della guerra. Ispirati a questa tradizione, i musicisti spingono i loro strumenti oltre i canoni stilistici appresi in conservatorio mappando nuovi orizzonti musicali. Il nucleo del gruppo è un quartetto costituito dai siriani Omar Abou Afach e Naeem Shanwar rispettivamente al violino e al qanun, il moldavo Sergiu Popa alla fisarmonica e la canadese Noémy Braun al cello e alla sestacorda (uno strumento di sua invenzione simile al cello ma a sei corde). A loro si affiancano quattro ospiti d’eccezione: Dan Armeanca (chitarrista e cantante romaní), Mohamed Raky (percussionista marocchino) alla darbuka, Aykam Abou Ammar (cantante siriano) e Nazik Borish (virtuoso dell’oud siriano).L’identità sonora del gruppo è particolare ma non per la combinazione di strumenti est europei e mediorientali. L’ensemble è ibrido, ma molti degli strumenti hanno corrispettivi nell’altra tradizione musicale (in particolare il qanun sostituisce il cimbalom e la sestacorda il kamancheh) accorciando le distanze sonore tra i due mondi. Inoltre, entrambe le tradizioni musicali fanno abbondante uso di tessiture eteroforiche, ovvero organizzazioni sonore dove i vari strumenti suonano contemporaneamente la stessa melodia ma con leggere variazioni negli ornamenti. Sulla struttura armonica è invece più difficile scendere a compromessi data la natura modale di molte musiche mediorientali. La scelta dell’ensemble è di ricorrere ad armonie semplici e ripetitive a supporto di improvvisazione e tessitura, col vantaggio aggiuntivo di non snaturare eccessivamente l’armonia più statica levantina. In apertura troviamo la canzone d’amore “Me Dukkap Tuke” di Armeanca, brano ballerino grazie al levare marcato da chitarra e fisarmonica, ma anche ricco di momenti solistici e melodici. “Improv Taraf” e “Sare Roma” sono sulla stessa linea stilistica, il primo è una jam che mette sotto i riflettori qanun e fisarmonica, il secondo un altro cantato movimentato scritto di nuovo da Armeanca. Segue “Abdul Karim’s Tango”, un ottimo arrangiamento di un tango di Mohammed Abdul-Karim (1911-1989), compositore Dom conosciuto come il Paganini del buzuki. Il brano è una perfetta sintesi dei due mondi collegati dalla band. “Qudukka al Mayes” è invece più mediorientale, in parte anche grazie alla voce di Aykam Abou Ammar. Una canzone d’amore scritta da Mulla Uthman Al Mawsili (1854-1923), “Qudukka al Mayes” è introdotta da un taksim strumentale e un mawwal vocale, entrambi forme di improvvisazione a metrica libera. Il resto dell’ensemble intona la composizione solo a tre minuti e venti, consentendo all’ascoltatore di immergersi in questo nuovo sound. Nonostante l’origine nella tradizione folk siriana e la presenza dello stesso cantante, “Al Maya” suona molto più distante dal brano appena discusso, forse per la tonalità maggiore in cui è composto. In chiusura troviamo “Dialogue Intimes”, un altro brano disteso e onirico, dove i momenti solistici non sono sfarzosi ma delicati, supportati da lunghi e intensi droni che dipingono un paesaggio nostalgico. Il debutto di “Taraf Syriana” è un sagace connubio di linguaggi musicali che sono al contempo vicini e lontani nel tempo e nello spazio. La musica delle popolazioni nomadi dell’Europa Orientale incontra quella delle culture levantine, ma lo fa lontano dai luoghi di quelle persone nella diaspora canadese. È quindi difficile non imporre una certa nostalgia al risuonare delle note, specialmente in brani come “Dialogue Intimes” dove il titolo stesso gioca con tempo e intimità, mettendo in scena un dialogo che presume mobilità e trasformazione. Il disco è ben eseguito ed arrangiato, interessante e vario, con sonorità che possono attrarre diversi pubblici. Non ci resta che osservare gli sviluppi “Taraf Syriana”, aspettando nuovi dialoghi, mobilità e trasformazioni. 


Edoardo Marcarini

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