Il carnevale di Oruro in Bolivia, danze, musiche e sincretismo sacro-popolare

Cenni storici del carnevale
In Bolivia, a partire dal 1825, il 6 agosto, si commemora l’anniversario dell’indipendenza dalla Corona spagnola. La secolare dominazione ha lasciato segni indelebili in riti, musiche, danze, lingua, religione e, più in generale, nella cultura del popolo boliviano. 
Sono numerosi i carnevali locali che rivestono spiccato interesse antropologico e spettacolare, tra i quali quelli di Santa Cruz, Tarabuco, Tupizza, Tarija, Cotagaita, Sucre, Cochabamba, Potosì e La Paz. Da alcuni decenni, il carnevale di Oruro gode di specifica attenzione mediatica anche per l’elevato livello di aggregazione popolare, che si manifesta numericamente soprattutto nei gruppi folclorici mascherati e di danza nonché in quelli musicali, contraddistinti principalmente da bande strumentali  di vario genere. 
Oruro è stata fondata dagli spagnoli nel 1606. Le tradizioni indigene dei popoli “Uru”, “Aymara” e “Quecha” vennero ad amalgamarsi con quelle dei riti cattolici. Il sincretismo portò alla celebrazione del carnevale orurese, in cui sono fortemente integrati gli aspetti sacro-religiosi e altri più marcatamente ludici. 
Nel carnevale si concretizza la perenne disputa tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. L’arcangelo Michele e i santi cristiani trovano incontro con le figure mitologiche locali, quali “Pacha Mama” (o “Pachamama”, Madre Terra) e “Tío Supay”, “proprietario” delle miniere e dei relativi beni materiali, onorato con forme votive di cibo. La Madre Terra, “Pacha Mama”, in versione cristiana, ha trovato corrispondenza con la generosità e la benevolenza della “Virgine del Socavón” (detta anche della “Candelaria”), protettrice dei minatori e della città, cui è dedicato il Santuario in precedenza citato. In forma coreutica o mascherata, durante il carnevale vengono ricordati gli Incas, i conquistatori spagnoli, i guerrieri “Tobas”, i “Caporales”, i “Morenos” schiavizzati, i guaritori “Kallawayas”, i pastori-commercianti “LLameradas”, utilizzanti i lama come mezzo di trasporto. Nel carnevale odierno convergono antichi rituali in onore della “Pacha Mama” e del “Tío Supay”. Secondo la leggenda, al 1789, risale l’apparizione della “Vergine della Candelaria” in un pozzo minerario abbandonato, dove viveva un ladro gentiluomo.  In questo periodo iniziò la consuetudine di venerare la Vergine per tre giorni durante il periodo di carnevale, la cui ritualità ebbe diverse trasformazioni nei decenni successivi. Negli anni Sessanta del secolo scorso, vi fu un forte impulso alla valorizzazione dei fenomeni folclorici locali, attraverso rappresentazioni di vario tipo e la formazione di corpose bande musicali. Il governo boliviano, nel 1970, dichiarò Oruro capitale del folclore e incentivò notevolmente l’afflusso turistico nella città. Negli anni Ottanta, venne rafforzato tutto l’aspetto scenografico e coreutico-musicale, dando speciale risalto alle danze popolari, ai costumi e alle maschere tipiche del carnevale locale. 

Struttura generale della festa
Tale è l’importanza di Oruro che, già nel mese di settembre (2022), a La Paz, si era tenuto il lancio nazionale e internazionale del carnevale, con lo specifico obiettivo di difendere e valorizzare l’intero corpus delle danze del folclore boliviano. Quest’anno, i giorni più intensi del carnevale si sono svolti tra il 18 e il 21 febbraio ma, antecedenti a questi, vi sono stati alcuni eventi preparativi, localmente denominati “convites” (“inviti”), i quali hanno avuto inizio nel mese di novembre, con la partecipazione di decine di Gruppi folclorici locali o provenienti da altre aree della nazione. L’ultimo “convite” è avvenuto il 12 febbraio. Il giorno precedente, si era svolto il “Festival Bandistico Nazionale”, imponente rassegna che meriterebbe specifica trattazione musicale.  Giovedì (grasso), invece, è stato dedicato all’ “Anata”, cerimonia augurale di apertura del carnevale, con numerosi partecipanti (“comparsas” di circa cento Gruppi folclorici) provenienti dalle sedici Province del Dipartimento, durante la quale è stata ringraziata (soprattutto con fiori, cibi e danze) “Pacha Mama”, propiziatrice dei raccolti e dei frutti della terra. Il giorno seguente, venerdì, si è svolta la tradizionale “ch’alla” (o “challa”)”, dedicata al “Tío Convite” e la conseguente visita ai siti minerari di San José. Di sera, vi è stata la partecipazione dei gruppi folclorici lungo tutto il percorso carnevalesco. Sabato, 18 febbraio, sin dalle prime ore del mattino e fino alle prime ore del giorno seguente, vi è stata la giornata centrale del carnevale, con l’imponente e interminabile pellegrinaggio danzante (percorso di circa quattro chilometri) verso il Santuario della “Virgen del Socavón”: un’esplosione di costumi colorati di diversa foggia, maschere, coreografie e suoni di vario genere. È stata stimata la presenza attiva di oltre trentamila partecipanti (la stima non è univoca).  Domenica, all’alba, è proseguita la festa con la cosiddetta “diana”, che prevede l’accoglimento del nuovo giorno con danze e una cerimonia cacofonica, durante la quale i gruppi suonano contemporaneamente. Lunedì, 20 febbraio, si sono tenute le messe devozionali dei diversi gruppi folk presso il Santuario del Socavón o in altre chiese della città; parallelamente, sono proseguiti i festeggiamenti danzanti di addio al carnevale, i ricevimenti sociali nonché alcune rappresentazioni rituali.  Il giorno seguente è stato dato l’addio al carnevale, con l’esecuzione di balli folclorici e con la “ch’alla” che, in lingua “aymara”, significa “spruzzare”. Infatti, secondo tradizione, uno dei gesti rituali consiste nel versare/innaffiare acqua (o vino) sulla terra o sui beni materiali, come gesto di gratitudine nei confronti della “Pacha Mama”.  

Le principali danze del carnevale
Di seguito, daremo un cenno alle principali danze del carnevale di Oruro, sintesi espressiva delle articolate radici storico-culturali che lo caratterizzano.   
La “Diablada” rimanda al periodo pre-coloniale, dominato dagli antichi abitanti del territorio di Oruro, onoranti lo spirito “Wari” il quale, nel corso dei secoli, venne simbolicamente imparentato con il diavolo e anteposto alla Vergine del Socavón. Ad accompagnare la danza ci sono anche le figure dell’arcangelo Michele e del “condor”, animale sacro agli andini. 
La danza sintetizza l’eterna disputa tra gli inferi e la luce, tra il bene e il male, tra la materialità e la spiritualità. Al termine, è usanza dei danzatori prostrarsi devozionalmente in ginocchio davanti alla Vergine del Socavón. 
Morenada” è una danza mascherata che rappresenta gli schiavi africani, deportati con forza in Bolivia per l’estrazione dei beni minerari, secondo ritmi lavorativi inumani.  “Tinku” è derivata da una cerimonia pre-coloniale, nella quale si affrontavano in modo cruento i combattenti di alcuni Dipartimenti della nazione. “Saya afro-boliviana”, invece, è una danza particolarmente ritmica e percussiva, originaria della regione “Yungas”, area tropicale dove trovarono rifugio alcuni discendenti africani fuggiti dalla schiavitù.  “Caporal” è stata inventata alla fine degli anni Sessanta, ispirandosi ai ritmi afro-boliviani e alla vitalità energetica della terra; viene eseguita anche in altri stati, quali Perù, Cile, Argentina, Stati Uniti e Spagna. Altre danze tipiche del carnevale di Oruro sono “Tobas”, alla quale ha dedicato speciale attenzione il ricercatore Juan Manuel Cuellar Carpio; “Cullaguada”, ballata anche in Perù; “Llamerada” evidenzia l’importanza del lama, impiegato come mezzo di trasporto per lo scambio dei prodotti naturali tra le diverse comunità; “Doctorcitos”, danza satirica nei confronti di “leguleyos e huayralevas” (avvocati e segretari) dell’era coloniale, caratterizzata da abiti maschili simili allo smoking; “Potolos”, danza originaria delle popolazioni “Potolo de Chuquisaca” e “Potobamba de Potosí”; “Tarqueada”, danza indigena (ballata anche in Perù, Cile e Argentina), accompagnata strumentalmente dai suonatori di flauto andino denominato “tarqa” o “tarka”; “Waka waka”, danza urbana, tipica delle Province di Aroma e Puno; “Kallawaya”, valorizza la figura dei guaritori (“yatiris”) che portano borse (“capachos”) contenenti medicine, erbe e amuleti. La danza dei “Negritos (Tundiquis) è tipica dello “Yungas”. Rievoca il passaggio degli uomini di colore, portati a lavorare dall’Africa nelle miniere di Potosì durante il periodo coloniale; “Khantu” è una danza “quecha”, in particolare della città di Charazani. Prevede l’accompagnamento dello strumento andino denominato “siku”, versione locale del flauto di pan; “Suri sicuri” è una danza ideata negli anni Settanta, contraddistinta da ballerini che indossano un caratteristico copricapo a forma di cono rovesciato, costituito di canne e abbellito con piume di “suri” (struzzo andino).  

Spunti (sparsi) di riflessione. 
La partecipazione al carnevale di Oruro è totalizzante e sentita a livello popolare, ed è al popolo boliviano unito (dalla musica e dalle danze) che dedichiamo con simpatia la “Vision” n. 44. Il simbolismo e il sincretismo caratterizzano un po’ tutto tale carnevale. Intenso è il ricordo di antiche tradizioni indigene e della deportazione a opera delle potenze coloniali europee dall’Africa centrale e occidentale verso il continente americano, per sfruttare appieno l’immenso potenziale delle risorse naturali. Tale deportazione fu anche una colonizzazione dei corpi e delle identità. Musiche, danze, balli e riti possono aiutare a ricordare la storia di un popolo. In generale, il carnevale ci invita a riflettere sulle capacità organizzative, ludiche e spirituali degli appartenenti alle differenti comunità le quali, nel corso dei secoli, hanno maturato specifica identità, che riteniamo sia bene continuare a valorizzare (con spirito critico) internazionalmente.  Per alcuni osservatori e ricercatori, essendo mutate le condizioni sociali nel corso degli ultimi decenni, il carnevale avrebbe progressivamente perso la forza associativa e simbolica che lo contraddistingueva in passato. Pur tenendo conto della complessità analitica degli eventi festivi, tale visione della realtà riteniamo sia veritiera solo in parte poiché, in quasi ogni angolo della terra, il carnevale continua a essere vitale, in svariate forme e modalità, risultando annualmente uno straordinario momento aggregativo e di riflessione collettiva a livello comunitario. Inoltre, il carnevale interessa anche aspetti individuali, meno manifesti esteriormente. Il continuo “agire” del corpo e della mente aiuta gli esseri umani a ritrovare se stessi, la propria intimità e “oscurità”, liberandosi, per qualche giorno, da paure e angosce indotte, le quali possono essere positivamente allontanate in modo collettivo e associativo, ripetendo modelli rituali (non assiomatici) appresi dai predecessori. Nel carnevale, viene superata la rigidità delle regole e degli ordini imposti. Vivere intensamente il carnevale, seppur in una temporalità limitata, diviene uno dei modi della contemporaneità per non adeguarsi passivamente all’asfissiante globalizzazione e alla visione materialistica, che porta (sempre più) gli esseri umani a uniformarsi in un mondo socialmente atomizzato e a isolarsi dentro casa, per lavorare, divertirsi e trastullarsi con tecnologie digitali e multimediali di vario tipo o con “macchine” algoritmiche, utili per numerose funzioni operative e, al contempo, strumenti di orientamento e controllo psico-sociale. L’analisi antropologica del carnevale è assai articolata e non può certo essere riassunta in poche righe o in isolati spunti di riflessione. Tuttavia, in generale, troviamo accordo con quanti considerano limitante incasellarlo formalmente nella sola parentesi ludico-festiva pre-quaresimale. Nella pratica e nell’esperienza viva, nel rispetto dell’identità dei Popoli, senza distinguo di classi sociali e di colori politici, osserviamo che tale festa, con i suoi “universalia”, secondo differenti livelli di comportamento, continua a essere un evento che ha molto da insegnare ai singoli individui rispetto alla propria interiorità fisico-spirituale nonché alla consapevolezza del libero arbitrio in seno alla comunità di appartenenza e all’agire collettivo. Cogliere il senso profondo del Carnevale, che è anche “Πόλεμος” (scontro, contrasto), porta a immaginare società idealmente accumunate da un pensiero di libertà. Una libertà che andrebbe costantemente armonizzata, in sintonia con i ritmi della natura. Per alcuni potrà essere considerato un pensiero utopico, ma è un’immaginazione auspicabile nell’attuale momento storico (questo sì, decisamente folle!), nel quale i Popoli della terra vivono mediaticamente in continua apprensione e nell’incertezza, cercando di capire quali saranno gli esiti della guerra tra super forze egemoniche militarmente, in grado di mettere potenzialmente a repentaglio la sopravvivenza dell’intera umanità. Rimandando le specifiche tematiche festive e carnevalesche ad analisi più approfondite e interdisciplinari, nel nostro percorso di ricerca rimane fondamentale puntare l’attenzione sulle funzioni della danza e della musica nelle azioni rituali comunitarie, essendo vitali modalità di comunicazione e di espressione umana, capaci di contribuire alla riflessione critica della contemporaneità e a una più approfondita conoscenza delle società nelle quali viviamo, troppo spesso disconnesse con il loro passato.

Paolo Mercurio

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