Duplex – Maelstrom (ARC, 2023)

I trentanove secondi di “Cast off” sono appena un soffio ma già nel titolo invitano a liberarsi di schemi preconcetti per gustare il viaggio di “Maelstrom”, esordio del duo belga (rinforzato da altri complici): Didier Laloy, organettista di rango della scena folk progressiva locale, coinvolto in diversi progetti che spaziano, dal trad al jazz al rock, e Damien Chierici , violinista eterodosso, compositore e arrangiatore dallo stile molto individuale al quale l’accademia è andata sempre stretta. Dopo l’incontro nel 2018 – in un’intervista, Chierici lo definisce un “coup de coeur” – i due si sono messi in cammino insieme in occasione di un progetto di rivisitazione della musica dei Nirvana. Il catastrofico biennio che è seguito ha stoppato la fase realizzativa del progetto, ma la coppia ha comunicato e lavorato a distanza con workstation ed altri tool e, terminata la fase dell’emergenza confinante, ha ripreso forza approdando in studio di registrazione, dove si è avvalsa del contributo del batterista Olivier Cox, del pianista jazz Nguyen Quentin e della consulenza musicale di Poney Gross, con in più la tromba di Antoine Dawas (nel brano “Bakerloo Circle”). Quelli di Laloy e Chierici sono due strumenti acustici, “aumentati”, però, dall’uso di effetti ed elettronica; i Duplex si imbarcano in un giro del mondo immaginifico e perfino un po’surreale, ispirato a storie popolari e letterarie, evocatori di luoghi e tempi passati. “Maelstrom” si compone di quattordici temi che navigano senza rotta fissa tra scrittura e improvvisazione, tra folklore immaginario, influenze classiche, jazz, electro pop e ambientazioni cinematiche. Il primo singolo e video, “Magic House”, con il fraseggio denso del violino e le fragranze del mantice incarna appieno questo procedere, gettando ponti sonori tra geografie e tempi. Più serrata ritmicamente è “Broken leaf”, sosta londinese in “Bakerloo Circle”, dal profilo levigato, vagamente jazz. Seguono “Vikhren”, che zompa tra i tempi dispari occhieggiando il mondo bulgaro, “Valse de Ouessant”, una delizia danzante che ci porta di nuovo verso l’ovest francese, mentre la barra vira verso Cuba in “Cabestan-go”. Le avvolgenti “Vera” e “Wapta Falls” accentuano la dimensione cinematica di cui si diceva poc’anzi, mentre la splendida “O’Mar” si muove tra echi d’Oriente e Balcani. La fisionomia aggressiva che anima “The cryptogram of La Buse” rimanda alla vicenda del pirata Olivier Levasseur, conosciuto per l’appunto come La Buse, nativo di Calais, che al momento della sua impiccagione (1730, sull'Isola della Réunion) lanciò tra la folla il crittogramma con la mappa del suo tesoro gridando: "Il mio tesoro a chiunque riesca a svelarlo”. Hanno una trama danzante “Pavane” e la title track, che evoca il gorgo in prossimità delle isole norvegesi Lafoten (immortalato in un racconto di Poe). La paciosa “Honey Rider” chiude questo ben congegnato diario di viaggio messo a punto da una dualità dalla perfetta comunicativa. 


Ciro De Rosa

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