Dimitris Mystakidis – Mόρσο/Morso (Fishbowl Music Tank, 2022)

I fan più affezionati del nostro Vinicio Capossela ricorderanno certamente quel “Rebetiko Gymnastas” con cui il cantautore di Calitri, rivisitando alcuni brani del suo repertorio, aveva omaggiato il mondo greco. Fra le collaborazioni che arricchirono quel disco, una in particolare è quantomeno fondamentale, soprattutto se davvero ci si vuole addentrare fra rebetes e calici di ouzo: il tessalonicese Dimitris Mystakidis è una figura seminale per lo studio della musica greca. Attraverso una ricerca che, fra le altre cose, lo ha portato a scrivere dei veri e propri metodi per liuto e chitarra greca, Mystakidis, da più di vent’anni, esplora le radici della canzone greca. Il suo ritorno discografico, “Mόρσο/Morso”, arrivato a distanza di sei anni dal precedente (ed altrettanto culturalmente importante) “Amerika”, si muove proprio in questa direzione. Gli strumenti popolari come bouzouki, laikí kithara (chitarra rebetiko), zampogna, clarinetto, ney e cura baglama, interagiscono naturalmente (da qui il riferimento del titolo) con chitarre elettriche, basso e batteria e campionamenti. I testi di Dimitris raccontano storie di irriducibilità sociale, di ingiustizia, di violenza di genere, di xenofobia e di esclusione. L’album è aperto dalle trame pietrose di “Geraki”, in cui i fraseggi della chitarra si infrangono su interessanti tensioni elettroniche e su un pattern ritmico avvolgente, splendidamente sottolineato dalla linea vocale. “Skytali” è un carnale omaggio alla musica tradizionale, sul suo potere di fare danzare, piangere, riportare alla memoria le persone amate. Il tutto è stato suscitato dalle suggestioni procurate dalla lettura della prefazione di “Il sangue dell’amore” (“To aima the agape”) di Boukalas Pantelis. Dimitrios arrivan a un intenso brano, in cui una sezione ritmica quasi marziale si intreccia con il suono della zampogna. “Ahortago skyli” poggia sui ricami ferrosi del liuto che incrocia le chitarre ed è pure alimentato dal calore di un ney. “Aima kai krasi” torna a tingersi di stranianti colori elettronici, che si intrecciano splendidamente con i timbri ossuti della baglama. A seguire, troviamo “Apo mikri”, impreziosita dall’intensa voce di Martha Frintzilla e scandita da un incedere ritmico sabbioso, in cui l’incastro fra nubi elettroniche e sapori mediterranei risulta, ancora una volta, perfettamente centrato. Anche i due episodi successivi, “Adiko kormi” e “Oneira dolaria”, seguono alla perfezione questa scia, accogliendo su un tappeto elettronico i volteggi desertici della baglama e, nel caso della prima, anche del liuto. “Moirasma”, cantata da Eleni Vitali, riabbraccia stilemi più etnici, srotolandosi su un tessuto ritmico nodoso, che fa da perfetto sfondo per l’intrecciarsi di clarinetto e tzouras. “Othan tha feygo” è giocata su un interessante incastro fra bouzouki e laiki khitara, sorretti dagli ostinati ritmici della baglama. Penultimo momento del disco è “Monologos theou”, in cui i volteggi del bouzouki abbracciano splendidamente le incursioni piratesche della fisarmonica. A chiudere l’album ci pensa “Ti trehei sto Pagkrati”, vero e proprio squarcio swingante del lavoro con una chitarra manouche fa da perfetta scenografia per i fraseggi camosciati del clarinetto: qui, abbandonando rabbia e dolore, Dimitris deride l’apatia del sistema in questi tempi difficili. In conclusione, un lavoro in cui una ricerca attenta e meticolosa incontra un indiscutibile gusto compositivo: praticamente, come re-immaginare la tradizione musicale urbana, rendendola interessante e, soprattutto, accessibile anche a orecchie meno avvezze a certi suoni, un intero mondo, culturale prima ancora che musicale. 


Giuseppe Provenzano

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