I tesori sonori della Antonovka Records

Ci avviciniamo con mente e orecchie aperte alle pubblicazioni multidirezionali di Antonovka Records, un’etichetta discografica che documenta patrimoni sonori poco conosciuti, se non per addirittura ignoti ai più. La label, che oggi ha sede legale a Chisinau in Moldavia, è stata fondata da Anton Apostol, quarantotto anni, nativo di Zizhneevo nell’oblast di Mosca. A causa della condizione belligerante del suo Paese, da qualche tempo Apostol vive e lavora in Serbia, a Belgrado. Il catalogo della Antonovka, i cui lavori sono disponibili soltanto in digitale, si arricchisce sempre più di produzioni che costituiscono una continua scoperta di musiche, strumenti, stili, repertori e storie di popoli. Abbiamo raggiunto Anton Apostol per saperne di più di questa sua impresa avventurosa.

Qual è la sua storia? 
Di professione sono un ingegnere delle telecomunicazioni e non ho una formazione formale in materie come musica, produzione audio, etnografia, ecc. Inoltre, non ho un orecchio musicale. Però, ho una passione per la musica. Essa e so suonare la chitarra e la balalaika a livello amatoriale. Tutto è cominciato con un interesse per l’ascolto della musica folk durante gli anni di studio, collezionando CD in un’epoca in cui non esistevano ancora servizi di streaming/download di musica. In seguito, ho visitato diversi Paesi sia per lavoro che come turista e si è sviluppato questo interesse. In alcune occasioni ho incontrato musicisti folk locali e costruttori di strumenti musicali, ho scattato foto e video che ho inserito spesso nel mio blog, e a volte ho acquistato gli strumenti. Alla fine è nata l’etichetta.

Ci parla un po’ delle motivazioni che l’hanno spinta a fondare l'etichetta?
Innanzitutto, ho scoperto che non tutta la musica che desideravo ascoltare, ad esempio, gruppi etnici particolari - e non sempre si tratta di minoranze! – era facilmente reperibile su CD o in Rete. Quindi, mi sono chiesto: perché non registrarli io stesso, visto che ho già una certa esperienza nel trovarli? In secondo luogo, credo che sia stata un’evoluzione naturale. Ho iniziato comprando musica, poi comprando strumenti e infine producendo io stesso la musica. Per così dire, mi sono trasformato da lettore in scrittore. Quindi, non compro più dischi e strumenti, mi occupo solo di registrazioni… Tecnicamente, l’unica cosa che faccio è premere il grande pulsante rosso “Record”: ma nel posto giusto e al momento giusto. In terzo luogo, ho visto i lavori della pionieristica etichetta etnografica “punk” Ored Recordings in Russia e ho deciso di provare a fare la stessa cosa. Tra l’altro, per l’impatto della guerra anche la Ored Recordings si è ricollocata a Tiblisi in Georgia. La prima registrazione l’ho realizzata nel 2017, il primo lavoro è stato pubblicato due anni dopo, nel 2019.

Quante persone sono coinvolte oggi nell’etichetta?
Al momento il team principale è composto da due persone: io mi occupo della registrazione e della produzione, Marina Lobanova, il mio braccio destro, svolge le mansioni amministrative. Altre due persone ci aiutano: mia figlia svolge alcune attività contabili e un’altra persona (in realtà, uno dei nostri artisti) si occupa dell’editing. Di tanto in tanto, poi, altre persone si uniscono a noi: per esempio, uno dei miei amici ha fatto da fotografo durante il viaggio nella regione di Orenburg. Si può notare che a volte il nostro
copyright appare come “Antonovka Records / 3rd party”, dove per “terzi” si intende un’ltra etichetta o una persona.

Nel vostro sito web si legge: “Siamo un’etichetta musicale etnografica agile e a basso costo”. Può spiegarci la mission dell’etichetta?
Beh, questo sito è solo uno stub, non è stato aggiornato dal lancio dell’etichetta, quindi non è troppo serio (ride, ndr). Ma sì, possiamo essere paragonati ai “normali” studi di registrazione come le compagnie aeree low cost sono paragonate alle compagnie aeree full service. Tutta la nostra attrezzatura entra in uno zaino di medie dimensioni. Le foto di copertina dei nostri album sono in bianco e nero. Così come il nostro suono: semplice e reale, con un’elaborazione minima e nessuna decorazione. Eppure è funzionale. Per quanto ne so, porta con sé l'estetica del costruttivismo, ed è per questo che usiamo i caratteri di quello stile sulle copertine delle uscite. La nostra mission è rendere possibile a qualsiasi ensemble di paese di registrare e pubblicare la propria musica sui principali servizi di streaming del mondo, gratuitamente. L’unico requisito è che eseguano musica più o meno autentica del loro popolo e della loro terra. Ci rendiamo perfettamente conto che nella maggior parte dei casi ci saranno solo uno-due ascoltatori mensili. Ma chiunque nel mondo può cercarla e trovarla, se interessato: questo è il punto principale. E queste registrazioni saranno apprezzate dalle famiglie, dagli amici e dalle comunità degli esecutori. Naturalmente, tutta questa musica è già stata registrata prima di noi da stimati ricercatori, ma molto spesso non è disponibile al pubblico, rimanendo nella polvere degli archivi, o risultando non facilmente reperibile. Non siamo studiosi che esplorano le persone, ma persone che esplorano altre
persone.

Come riuscite a far funzionare sotto il profilo finanziario?
Manteniamo l’etichetta principalmente con le nostre risorse, questo è il nostro hobby. C’è chi pratica lo sci di montagna, chi è appassionato di calcio e così via, noi facciamo etnografia punk. C’è un po’ di reddito dalle vendite digitali, ma è molto limitato per mantenere le cose in piedi. Naturalmente sogniamo di diventare un giorno un’etichetta redditizia. Se, però, questo non dovesse accadere, non è un grosso problema. Spesso riceviamo aiuto da altri, per esempio dalle autorità locali, che ci aiutano con i trasporti, le strutture, ecc. A volte questo ci permette di risparmiare denaro.

Qual è stata la sfida più grande che avete affrontato per far decollare l’etichetta? 
Può sembrare strano, ma la sfida più grande è stata convincere me stesso che potevo e dovevo farlo. Perché – come ho detto prima – non avevo né formazione né esperienza in nessuna delle aree correlate, quindi dubitavo che fosse una buona idea.

Si occupa personalmente del lavoro sul campo?
Sì, io-noi stessi, circa l’80% del nostro catalogo. Il restante 20% proviene dalle registrazioni pronte degli artisti stessi o dei nostri partner.

Con che apparecchiature registrate?
Uso un paio di microfoni Lewitt LCT 440 Pure, il registratore Zoom H6 e delle cuffie Sennheiser HD280 
Pro. Quindi non canalizziamo la registrazione, non facciamo nessun mixaggio. Solo a volte possiamo mixare con microfoni integrati

Pagate i musicisti per le session? Mantengono i diritti sulla musica pubblicata?
Per quanto riguarda il pagamento, non c’è una risposta univoca, dipende. Ad esempio, se gli artisti si guadagnano da vivere con la musica e possiamo permetterci di pagare, allora possiamo pagare la sessione di registrazione. Al contrario, alcuni musicisti possono sentirsi offesi se offriamo loro di pagare la musica. Per quanto riguarda le vendite digitali, la regola generale è che paghiamo, se il guadagno è ragionevole. Lo streaming di solito è molto economico. Ma quando, per esempio, abbiamo ottenuto un paio di centinaia di dollari per la licenza di uno dei nostri album per un programma radiofonico, allora abbiamo pagato l’artista. Riguardo i diritti d’autore, completamente sì. Permettiamo ai musicisti di utilizzare le registrazioni in qualsiasi modo vogliano. La musica popolare deve appartenere alla gente.

Cosa fa scattare l’interesse a registrare certe musiche? Come scegliete la musica o i musicisti da registrare?
Dipende dalla situazione. Per esempio, durante il mio lavoro principale ho fatto lunghi viaggi d’affari in Georgia e Kirghizistan (e prima ancora in Ruanda), ed è così che è nata la serie di pubblicazioni di quelle aree. Cerchiamo di registrare il maggior numero possibile di gruppi etnici diversi per ogni regione che 
visitiamo, non solo quelli principali e ovvi. Per esempio, se vai in Kirghizistan, ti aspetti di trovare la musica dei kirghisi, giusto? Esatto, ma non completamente. Ci sono anche uiguri, tartari, ucraini, dungan, curdi, turchi, ecc. E questo è estremamente interessante. Come gli arbëresh, i sud-tirolesi, gli sloveni, ecc. nella vostra Italia.

Avete registrato musica poco conosciuta proveniente da zone della Russia. Pensa che ci sia ancora molto da scoprire in Russia?
Naturalmente, come per ogni paese. Anche se la stessa parola Russia è ormai tossica per ovvie ragioni. E le sanzioni funzionano. Questo è un vero dolore. Ora riduciamo intenzionalmente al minimo l’uso delle parole Russia e russo nei nostri titoli. E la sede ufficiale dell'etichetta si è spostata dalla Russia alla Moldavia, dato che ho dei legami con la Moldavia. 

Su quali piattaforme troviamo questi album?
Su tutte le principali piattaforme. 

Avete mai pensato di pubblicare su supporto CD?
Sì, anche se non so quando potrà succedere.

Qual è “the next big thing” che sarà pubblicata?
Abbiamo appena iniziato a pubblicare una serie di album della regione di Irkutsk, in Russia, registrati durante l’estate del 2022, per un totale di 10 album, di 8 gruppi etnici diversi. E due interessanti pubblicazioni sul Kirghizistan dal nostro arretrato in archivio.


Girovagando nella discografia della Antonovka Records
Ensemble Kvitochva – Made in Novyny: Songs of Golendra People from Siberia (Irkutsk Region)/
Black Eyes: Music of Kist Chechens from Pankisi Gorge, Georgia/Made in Zemo Alvani: Batsbi (Tsova Tushetian) Music from Georgia/3 Strings of Alvani: Music of Tusheti, Georgia/Koma Stark – Kelesho Music of Yezidis from Georgia/Damir Guagov/ Asker Sapiev – Adyge Oredyzhkher: Adyg. Circassian Music/I Understand Karelian: Music of Tver Karelians, Russia/Songs of Ingria We Sing: Music of Ingrian Finns, Russia/Parizh/Paris: Nagaybak Songs from Chelyabinsk Region, Russia /Ostrolenka. Ostrołęka: Nagaybak Songs from Chelyabinsk Region, Russia/Kovyzh: Fiddle Music of Mari People/Erzyan Morot: Fiddle Tunes from Erzya Mordva Villages of Samara Province/Sophie Nzayisengais – Queen of Inanga: Music from Rwanda/Amir Khayat – Garden of Flowers: Music of Hunza People, Pakistan
Dalla discussione con Apostol e dall’ascolto dei materiali pubblicati, scaturisce una selezione che raggruppa alcune tra le piste culturali meno battute e le musiche conosciute del notevole catalogo della label. Il primo album si intitola “Made In Novyny: Songs of Golendra People from Siberia (Irkutsk Region)”, offre una panoramica sulla musica dei Golendri della Siberia sono un popolo le cui origini si fanno risalire alla Germania o addirittura all’Olanda, a cui allude il loro nome. In seguito, hanno vissuto in Polonia, finendo infine nella parte occidentale dell’Impero russo – all’incirca dove oggi si incontrano i confini di Polonia, Bielorussia e Ucraina. Durante la riforma agraria di Stolypin, una parte dei Golendri si trasferì nella regione di Irkutsk, in Siberia, dove fondò alcuni insediamenti. I Golendri sono di religione luterana e hanno adottato come lingua un misto di polacco, ucraino e bielorusso. Le loro canzoni sono in questo dialetto. L’ensemble Kvitochka (“Piccolo Fiore”) è apparso nel 2005 presso la Casa della Cultura Srednepikhtinsky. Ha lo status di gruppo familiare, poiché tutti i partecipanti sono in varia misura imparentati. “Black Eyes: Music of Kist Chechens from Pankisi Gorge, Georgia” è dedicato ai kisti, affini ai ceceni che vivono nella gola di Pankisi, ai piedi della catena del Grande Caucaso, nella regione di Kakheti, in Georgia. Questo album presenta la musica popolare locale eseguita dalle giovani generazioni con il sostegno degli anziani. I testi delle canzoni sono sia in ceceno che in georgiano, gli strumenti musicali sono panduri (di origine georgiana) e balalaika (di origine russa). Lana Gunashashvili e Linda Gunashashvili sono due gemelle di una famiglia di sei figli. Di solito cantano insieme, ma durante la sessione di registrazione principale Linda aveva mal di gola, quindi Lana ha suonato e cantato da sola. Mansur Gaurgashvili ha restaurato e studiato da solo la sua vecchia balalaika. Essendo mancino, ha trasformato lo strumento per la mano sinistra, ma non ha riorganizzato le corde. 
Con “Made in Zemo Alvani: Batsbi (Tsova Tushetian) Music from Georgia” restiamo in Georgia, giungendo tra i tusceti, dislocati in un’area montuosa nord-orientale. Oggi vivono principalmente in due villaggi della valle di Alazani, nel Kakheti: Zemo Alvani e Kvemo Alvani. Gli stessi tusceti sono divisi in tre gruppi: Tsova (noti anche come Batsbi o Bats), Chagma (Chaghma) e Pirikiteli. La cultura di questi tre gruppi è quasi identica con un’importante sfumatura: i Batsbi hanno una propria lingua, che non è imparentata con il georgiano, ma con l’inguscio, e quindi forma insieme a quest'ultimo e al ceceno il gruppo comune delle lingue nakh. Allo stesso tempo, i Batsbi, come il resto dei tusceti, sono cristiani ortodossi. Tutte le canzoni e le parole di questo album, ad eccezione di quelle prese in prestito e di un paio di parole georgiane occasionali, sono in lingua batsbi. Sempre ai tusceti è dedicato “3 Strings of Alvani: Music of Tusheti, Georgia” un lavoro imperniato sugli strumenti che accompagnano i canti: balalaika e chianuri ad arco. La balalaika è arrivata dalla Russia durante l’era sovietica ed è ancora ampiamente utilizzata nella musica locale. “Kelesho: Music of Yezidis from Georgia”  presenta il quartetto Koma Stark (voci, duduk, saz, darbuka), che vive a Tiblisi ma appartiene alla minoranza degli Yazidi, che parla una lingua curda e professa una propria religione, lo yazidismo. La registrazione è stata realizzata in un garage provato nel 2018. "Adyge Oredyzhkher: Adyg / Circassian Music" significa “vecchie canzoni Adighi”. L’album, tuttavia, contiene principalmente melodie strumentali e include anche diverse composizioni relativamente moderne. Gli Adighi o Adighé sono conosciuti con l’eteronimo di Circassi. Damir Guagov e Asker Sapiev sono musicisti di Maykop, la capitale della Repubblica di Adighezia. Damir un suonatore di shichepshina e pshina. La Shichepshina è il tradizionale violino verticale, mentre la pshina è il nome locale della fisarmonica a bottoni. Asker suona una coppia di sonagli tradizionali. 
La registrazione dell’album è stata possibile grazie a Zamudin Guchev, ricercatore e custode delle tradizioni Adighé. Ci spostiamo tra i Careliani di Tver, una cultura che si trova direttamente sulla rotta da Mosca a San Pietroburgo. I careliani sono comparsi nella regione di Tver nel XVII secolo come migranti dall’istmo di Carelia durante le guerre russo-svedesi. Attualmente sono circa 15.000 e vivono soprattutto in quattro distretti della regione di Tver. La musica popolare dei careliani di Tver è stata in gran parte reimportata dalla Carelia centrale in tempi recenti. Questo riguarda anche la cetra kantele. Tuttavia, essi di solito suonano questa musica in arrangiamenti locali e traducono i testi nel loro dialetto careliano. Alcuni canti sono tradotti dal russo. Per avvicinarsi a questa minoranza c’è “I Understand Karelian: Music of Tver Karelians, Russia” Sempre in area finno-ugrica, ecco un album completamente dedicato alla musica dei finlandesi d’Ingria, una minoranza di circa 20.000 individui: “Songs of Ingria We Sing: Music of Ingrian Finns, Russia”. Protagonisti sono i membri del Talomerkit Ensemble, che appartengono a diversi gruppi etnici che tradizionalmente vivono in questa zona: Finlandesi ingriani, Russi, Izoriani ed Estoni. Un focus discografico di Antonovka Records ci porta presso i Nagaybak, popolazione che discende dai Tatari cristiani e con i quali condivide lo stesso nome: “Kreshenner”, che significa battezzati. I Nagaybak sono circa 10 mila in totale e vivono principalmente nel distretto di Nagaybaksky della regione di Chelyabinsk, nell'area degli Urali meridionali. L’ensemble Chishmelek” (“Primavera”) comprendente voci e fisarmoniche, è stato registrato nel museo del villaggio di Parizh. I loro repertori si ascoltano in “Parizh / Paris: Nagaybak Songs from Chelyabinsk Region, Russia”. Il quartetto vocale femminile Sak-Sok è residente nella capitale Fershampenuaz, che prende il nome una località francese: lo ascoltiamo in “Fershampenuaz/ Fère-Champenoise: Nagaybak Songs From Chelyabinsk Region, Russia”. 
Invece, i Kunel Zhyrlyi (L’anima canta), le cui voci sono accompagnate da fisarmonica a bottoni, balalaika e percussioni, e il Sarashly ensemble, provengono dal villaggio di Ostrolenskiy, che prende il nome dalla città di Ostrołęka in Polonia. Li ascoltiamo nell’album “Ostrolenka / Ostrołęka: Nagaybak Songs From Chelyabinsk Region, Russia”. Un altro ensemble di voci femminili, Gumyr (Vita), è protagonista di “Kassel: Nagaybak Songs from Chelyabinsk Region, Russia”. Quanto a “Kovyzh: Fiddle Music of Mari People”, ci fa conoscere la tradizione violinistica restaurata dei popoli Mari della regione del Volga. Tatyana Yamberdova è una musicista professionista e suona e insegna violino classico. Kovyzh è il nome mari del violino. Tatyana è impegnata nella ricerca e nel ripristino della tradizione del violino popolare mari, che purtroppo è stata interrotta nella seconda metà del XX secolo. Le melodie di questo album sono state riprese da lei stessa da registrazioni d’archivio di vecchi violinisti o adattate da melodie entrate nel repertorio per fisarmonica. Ancora dagli archivi, provengono le registrazioni di Armas Otto Väisänen (1890-1969), famoso etnomusicologo ed etnografo finlandese. Nel 1914, quando la Finlandia faceva ancora parte dell’Impero russo, viaggiò per la provincia di Samara e registrò su cilindri di cera la musica dei violinisti tradizionali dei villaggi locali di Erzya Mordva. Conservate negli archivi finlandesi, questi documenti sonori sono di nuovo in circolo grazie a “Erzyan Morot: Tunes from Erzya Mordva Villages of Samara Province”, in cui alcune violiniste russe interpretano i repertori riproducendoli il più vicino possibile all'originale. Le artiste sono Sofia Balueva, Sofia Fayzrakhmanova e Tatyana Yamberdova. 
Sembra opportuno non tralasciare due album provenienti da Africa e Asia: in “Queen of Inanga: Music from Rwanda” dà lustro alla ruandese Sophie Nzayisengais, una delle più famose suonatrici di inanga, una cetra dalla tavola armonica piatta con lati leggermente concavi che ricorda per forma un trogolo o una
zattera. Dall’Africa all’Asia: gli Hunza (che si autodefiniscono Burusho) sono popolazioni montane del Pakistan settentrionale. La loro lingua, il Burushaski, non è imparentata con nessun’altra lingua al mondo. Tuttavia, è stata in costante contatto con le lingue vicine e ha preso in prestito soprattutto dal persiano e dall’inglese. L’influenza del persiano è particolarmente forte nella poesia locale. Amir Khayat è insegnante in una scuola ismailita di Karimabad, storicamente conosciuta come Baltit, la capitale della regione di Hunza. L'ismailismo è un ramo dell'Islam sciita, al quale appartiene la maggioranza degli Hunza. Amir scrive poesie e canzoni in burushaski nello stile tradizionale e le esegue con l'accompagnamento del rubab pakistano. Alla sua arte è dedicato “Garden of Flowers: Music of Hunza People, Pakistan”.

Ciro De Rosa

Posta un commento

Nuova Vecchia