Biagio Guerrera – A prossima vita (Associazione Musicale Etnea, 2022)

Esordio discografico per Biagio Guerrera, che, dopo anni di intensa attività poetica, ha deciso di dare una nuova veste alle sue parole, bordandole di una musica meticcia, migrante, splendidamente in bilico fra la tradizione ed il suo tradimento. Per farlo, si è avvalso della collaborazione di nomi di spicco del sempre florido circuito etneo, da Puccio Castrogiovanni (Lautari) ad Eleonora Bordonaro, passando per Cesare Basile, la Piccola Orchestra Jacarànda e Simona Di Gregorio. Anche grazie a loro, i testi di Guerrera (tratti dalle ultime tre raccolte del poeta, “Cori nìuru spacca celu”, “Amari” e “Casa Munnu”) si trasformano in vere e proprie canzoni, che confluiscono in “A prossima vita”. Disco aperto da “Presaggiu” e dalla sua elettronica tribale, squarciata dagli ostinati ferrosi del marranzano e dai toni pietrosi di un intenso spoken word. Su “Aveva assai ca nunni sinteumo” – primo momento nato dalla penna di Simona Di Gregorio – ci accolgono colori più mediterranei, sottolineati dalle movenze sabbiose della chitarra-kora e dai tappeti della fisarmonica, su cui si adagia splendidamente l’intreccio vocale fra il cantato potente di Faisal Taher ed il recitato di Guerrera. Anche “Cinquantacincu” segue stilemi più classici, snodandosi su un delicato arpeggio di chitarra classica, magnificamente scortato da una sinuosa linea di contrabbasso. “A città jè china ri luci” torna ad assestarsi su atmosfere decisamente più ossee, con una laguna di elettronica ad ospitare la ritmica nevrotica di un morchang e delle percussioni, ed i fraseggi psichedelici di un violoncello. “Sciauru” è scandita da caldi colori mediterranei, con una chitarra classica a segnare la ritmica, un mandolino a disegnare fraseggi e svisature e un contrabbasso languido a tenere insieme i vari elementi. “Allupacchiatu” è, nel suo essere a tratti straniante, uno dei momenti più interessanti dell’album: a sostenere il recitato algido di Guerrera, c’è, infatti, solo la ritmica asfissiante ed ossessiva di un marranzano. Penultimo brano è “Nuautri semu antichi”, nuovamente segnato dalla voce di Simona Di Gregorio, che si inerpica lungo i sentieri tracciati da una fisarmonica nebbiosa e dal contrabbasso. A chiudere il lavoro, ci pensa la title track, unico testo inedito dell’album, colorata da un delicato ed elegante rincorrersi di contrabbasso e violoncello. In conclusione, ci troviamo all’ascolto di un disco decisamente ben riuscito, tanto musicalmente quanto concettualmente, un vero e proprio anello di congiunzione fra letteratura e forma-canzone. Come se non bastasse, l’idea di uno spoken word in dialetto- territorio, fra le altre cose, esplorato ancora troppo poco- si sposa perfettamente con i paesaggi sonori – soprattutto quelli venati d’elettronica – dei vari pezzi, e, oltretutto, la voce, a tratti antica, di Guerrera è un ottimo vettore di emozioni. 


Giuseppe Provenzano

Posta un commento

Nuova Vecchia