In dialogo con gli antenati: Mbuya Stella Chiweshe

“Sono un ponte con le voci del passato”
. Così raccontava sé stessa Stella Chiweshe, morta il 20 gennaio 2023 a 76 anni nella sua casa a Kuwadzana, quartiere occidentale di Harare (Zimbabwe). Nicholas Moyo, il direttore del National Arts Council dello Zimbabwe (NACZ) ha attribuito le cause della morte ad un tumore al cervello, così come comunicato dalla figlia, Virginia Mukwesha-Hetze, nella cui casa a Goromonzi, a trenta chilometri da Harare è stato preparato il commiato ed il funerale.
In cinquant’anni di carriera musicale, Chiweshe ha ricevuto il Billboard Music Award (1993), il NAMA (2006), il NAMA Lifetime Achievement Award (2020), e il NAMA Legends Awards (2021); eppure, le sue prime registrazioni sono state recuperate solo nel 2018 dalla Glitterbeat che ha prodotto “Kasahwa: Early Singles (1974-1983)”, l’album che prende il titolo dal suo primo successo nell’allora Rhodesia, ben prima dell’indipendenza raggiunta nel 1980 anche grazie alle musiche Chimurenga che attingevano proprio al repertorio mbira.


Era nata l’8 luglio del 1946 a Mujumi, villaggio nel distretto di Mhondoro, a sedici mesi di distanza da Beauler Dyoko, altra straordinaria musicista legata alla mbira dzavadzimu, il lamellofono che sa veicolare la voce degli antenati e che entrambe hanno portato anche in studio di registrazione a partire dalla fine degli anni ’60, anni in cui lo strumento era demonizzato dalle chiese cristiane e dai colonizzatori britannici e non era considerato adatto alle donne. In entrambi i casi l’esperienza della malattia ha “rivelato” la “predestinazione” a dedicarsi a questo strumento che racconta l’acqua che scorre, come se ogni lamella fosse una goccia intonata che attende di intrecciarsi e fondersi con le altre. Quattordicenne, sofferente di dolori al petto, Chiweshe aveva sentito durante una cerimonia che il suo sesto trisnonno le indicava di suonare la mbira, cosa che provò risolutamente a fare all'età di 16 anni, senza trovare alcun insegnante disposto a farla, tutti convinti che nessuno avrebbe voluto una moglie che suonasse la mbira. Fu il nonno a suggerirle di recarsi dal prozio. Aspettò tre giorni a chiederglielo. 
Poi, mentre il prozio suonava, si fece avanti e subito gli occhi del prozio si diressero al petto di Chiweshe, avviando allo stesso tempo un percorso di guarigione e di apprendistato musicale. Ben presto cominciò a suonare nelle cerimonie bira (allora proibite) per poi far parte dal 1981 al 1985 della National Dance Company ed interpretare il ruolo di Ambuya Nehanda, nel film dedicato alle vicende della più nota svikiro (medium spirituale) che sostenne la rivolta Shona e Ndebele contro l’invasione nel 1890 della British South African Company (BSAC), guidata da Cecil Rhodes.
Nel suo percorso musicale ha giocato un ruolo importante il suo rapporto con Berlino e la Germania, diventata una seconda casa sia per lei, sia per la figlia Virginia Mukwesha che l’accompagnò nel tour del 1985 per poi dedicarsi sia alla sociologia, sia alla mbira, incidendo sette album.
Con l’etichetta berlinese Piranha Chiweshe ha inciso otto album (), a cominciare da “Ambuya?” registrato nel 1987, il disco che l’ha fatta conoscere a livello internazionale e che ha aperto la strada a tour e collaborazioni


È di quell’anno il concerto all’Hackney Empire a Londra e sui palchi del Beat Apartheid Road Festival in Germania con due membri dei 3 Mustaphas 3, Hijaz 'Hank' Mustapha (Ben Mandelson) e Sabah Habas (Colin Bass) che produrrà il suo secondo album, “Chisi”, pubblicato nel 1989, con una nuova serie di splendidi brani, a cominciare da “Huya Uzoona”, più volte ripubblicato.


In un parco di Berlino è stata realizzata, forse, l’ultima registrazione che la vede protagonista: l’ha pubblicata il 15 dicembre 2022 Vincent Moon per la serie “sound sequence”, cogliendo la dimensione spirituale e l’ascolto per ogni contesto in cui si trovava a suonare.


In Zimbabwe ha dato vita alla Fondazione Chivanu e al centro omonimo, villaggio tra le montagne a nord di Harare, luogo per imparare e vivere la tradizione, con l’idea che possa ospitare una comunità ed una scuola dove poter apprendere a suonare la mbira e gli hosho (le percussioni), a cantare, a ballare: un luogo aperto a tutti. In lingua shona, Chivanhu significa “umanità”.
Fra i brani raccolti da Glitterbeat nel 2018 ha trovato spazio anche “Nhemamusasa” (letteralmente: alberi che diventano una casa), un brano che sembra parlare proprio del Centro Chivanu: quello che evoca il prepararsi ad accogliere i parenti con una cerimonia di benvenuto che annuncia un nuovo ciclo di vita.


Alessio Surian

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