Checco Pallone – Fiore selvatico (ItalySona, 2022)

La pratica delle serenate, composizioni vocali con accompagnamento di uno o pochi strumenti, destinate all’esecuzione serale o notturna sotto la finestra della donna amata era l’espressione formalizzata del sentimento amoroso largamente diffusa nella cultura popolare e nella vita delle comunità. “La scelta di scrivere oggi serenate e farne un disco nasce dall’esigenza di fermarsi, dalla necessità di riappropriarsi di un linguaggio e di una pratica che crea bellezza, che implica ascolto, in una società oggi troppo spesso rumorosa. La ricerca di intimità, anche nella scelta degli strumenti protagonisti assieme alla voce ed ai testi, esprime il desiderio di semplicità, di una espressione musicale scarna, che mette al centro la parola e le vibrazioni delle corde”. Così racconta il calabrese Checco Pallone: inizio da percussionista (tamburi a cornice) con la Compagnia Calabrese di canto Popolare che cammina di pari passo con lo studio della chitarra classica e dello stile manouche, collaborazioni versatili, dal jazz al rock fino alla musica neo-tradizionale calabrese, attività di docenza in Conservatorio e concertistica in solo e come orchestratore della Calabria Orchestra, ma anche conduttore di un programma TV sulla Calabria musicale: questa è in sintesi la sua vivace e articolata vita professionale. “Fiore selvatico”, registrazione casalinga realizzata con i musicisti a distanza nell’inverno sociale del 2020, vede protagonisti Pallone (chitarra classica ed acustica, voce e arrangiamenti), Tiziana Grezzi (voce), che è anche la sua compagna di vita, Lutte Berg (chitarra classica, acustica ed elettrica) e Carlo Cimino (basso elettrico e tastierine), entrambi compagni d’avventura di lungo corso del musicista cosentino. Nelle note di accompagnamento il compositore spiega il titolo dell’album: “È quel fiore che spunta incurante delle circostanze, delle situazioni. È quel luogo che accoglie un sentimento offerto in gratuità, senza pretendere, ma solo con il desiderio di farsi ascoltare. È ciò che ami senza un motivo chiaro, che decidi di accudire perché lo senti e lo fai. Quello che ritrovi vicino a te senza accorgerti che prima c’era, ma sai che in realtà c’è sempre stato”. Sono undici le tracce allestite, musicate dallo stesso Pallone, che ha scelto testi tradizionali di serenate dell’area reggina davvero vivide sul piano poetico, raccolte da nel volume miscellaneo pubblicato nel secondo Ottocento, intitolato “Fiori selvatici. Poesie popolari calabresi”. Accanto alle liriche popolari il musicista calabrese propone anche composizioni proprie in dialetto cosentino o composte in coppia con la vocalist. Un’ottima maniera di far acquistare nuova luce a questo repertorio, musicato con cimento sicuramente impegnativo, rinunciando a qualsiasi pretesa filologica o a riletture di estetica folk revivalista. Con disposizione creativa che non snaturi la sua cifra artistica, Pallone veste le “voci degli amanti” con differenti profili melodici e armonici della canzone che incrociano chitarre urticanti e umori jazz o latin. Apertura con un tema originario di Cittanova, che fa da intro alla scoperta del sentimento: “Credo che sia amore”; si prosegue con le atmosfere più intime di “Finestre”, un brano ispirato all’isolamento pandemico, con testo di Pallone e Grezzi cantato in italiano così come “Tace la notte”, dalla vocazione ritmica più calda e serrata. Spiccano “T’amau”, innervato dalle increspature della chitarra elettrica distorta di Berg, e la calda raffinatezza “Cu voli”, il cui testo proviene da Rizziconi. Bel duetto di voci in “O tu chi dormi”, che si impone per l’eccellente disegno strumentale. Si ammanta di swing la successiva, gustosa “Na ferita”, mentre “V’amu e non mi pentu”, altro episodio di punta dell’album, ha una fisionomia di matrice napoletana. Vira, invece, verso il Brasile “Di cori t’amu”, il cui testo è stato raccolto a Roccella Ionica. Solco 10 e 11 (così sono definiti i brani nel CD), “Vulissa” e “Viani mo”, sono motivi che si integrano con i temi popolari e che escono dalla penna di Pallone, che ha usato il dialetto cosentino: “più duro”, dice, “rispetto al reggino più rotondo, quasi vicino al brasiliano”. Lavoro sincero, pensato e ben suonato. 


Ciro De Rosa

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