Alice – Eri con me. Sedici canzoni di Franco Battiato (Arcibo Edizioni Musicali/BMG, 2022)

È una rilettura in punta di piedi, quella che Alice tratteggia in “Eri con me”, lavoro che, fra le altre cose, segna il suo ritorno discografico, otto anni dopo “Weekend”. Rivisitazione, ovviamente, di frammenti del canzoniere di Franco Battiato. Lo aveva già fatto un paio di volte con “Gioielli rubati” e “Alice canta Battiato”, ma qui è diverso: viene esaltata l’arte del re- incontrarsi. Fra le architetture tenui costruite dal fidato Carlo Guaitoli e dai Solisti Filarmonici Italiani, si nasconde un affetto vero, figlio non solo di un sodalizio artistico fra i più longevi (e riusciti) della storia della musica italiana, ma proprio di una riconoscenza di fondo ancora viva e pulsante. Ad aprire il disco ci pensa una meravigliosa e minimale versione di “Da Oriente a Occidente” (da “Sulle corde di Aries”, 1973), in cui gli arpeggi eterei del pianoforte sono accarezzati da archi di velluto. A seguire, la title track, brano a firma Battiato-Sgalambro, che la stessa cantautrice aveva inciso in “Samsara”, aperta, nel ritornello, dagli interventi di archi e fiati. Con la splendida “Lode all’inviolato” incontriamo il Battiato spirituale di “Caffè de la Paix” (1993), raccontato dagli acquosi arpeggi del pianoforte, dinamizzati dai contrappunti degli archi. Dallo stesso album è tratta “Sui giardini della preesistenza”, adagiata su morbidi tocchi di piano e dinamizzata da archi ostinati e da fiati a tinte arabeggianti. Altro passaggio magnifico è “Io chi sono?” (da “Il vuoto”, 2007), che si snoda lungo i fraseggi intensi del pianoforte, a dipingere umbratili atmosfere. Non poteva mancare “E ti vengo a cercare”, direttamente da “Fisiognomica” dell’88, con le incursioni possenti degli archi che le fanno raggiungere vette celestiali. Altro caposaldo della produzione battiatiana, “La Cura” è – quantomeno per successiva “accoglienza”, se vogliamo – una delle vette di quel capolavoro che è “L’Imboscata”, album del ’96: qui, le note distillate del pianoforte si intrecciano meravigliosamente col moto ondoso degli archi. Si arriva al Battiato tristemente profetico di “Povera patria” (inciso nel ’91- era in “Come un cammello in una grondaia”- e non nel ’92, come si crede spesso erroneamente), animata da un denso arpeggio nelle strofe, che, nei ritornelli, lascia il posto ad un tappeto d’archi sospeso e visionario. Col rifacimento de “L’Addio” (che lo stesso Battiato incise nel secondo volume di “Fleurs”) si concretizza anche un magnifico omaggio “trasversale” a Giuni Russo, voce per cui il brano fu scritto. L’atmosfera è quella di un pezzo d’altri tempi, con un pianoforte dal gusto classico, scortato da magniloquenti aperture orchestrali. Per introdurre l’omaggio al Battiato seminale per eccellenza – quello degli anni ’80 – partiamo con una “imprecisione a metà”, dato che “Il Re del Mondo”, incisa per la prima volta in “L’era del cinghiale bianco”, anno domini 1978, è, in realtà, contenuta anche in “Mondi lontanissimi” dell’85. Proprio da quel disco, possiamo trarre un ideale “quartetto” di brani che Alice ha scelto di omaggiare: dalla già citata “Il Re del mondo”, animata dai cupi pizzicati dei violoncelli che poggiano su un volteggiare di pianoforte, si passa ad una “L’Animale” molto fedele nel suo rifacimento, con la sezione fiati a regalare varietà timbrica agli intermezzi orchestrali. Immancabile, poi, quella “Chanson egocentrique” che la nostra aveva già inciso in “Azimut”, in cui i timbri classici stravolgono completamente l’atmosfera della canzone, regalandole una linfa tutta nuova, elettrizzata dagli ostinati della sezione archi. Altro momento cruciale della carriera di entrambi, anche “I treni di Tozeur” non si discosta troppo dalla versione originale, accompagnata da un pianoforte immaginifico. “Prospettiva Nevskij” – gioiello assoluto di quel capolavoro che è “Patriots” – è costruita attorno all’incedere glaciale del pianoforte, riscaldato dalle trame tessute dagli archi. Una delicatissima versione di “La stagione dell'amore” (da "Orizzonti perduti", 1983), segnata da un pianoforte vellutato, ulteriormente allargato da archi eterei, ci accompagna verso la fine del disco. Fine che, c’è da dirlo, è un vero e proprio “soffio al cuore”: “Torneremo ancora” è l'ultimo inedito inciso dal Maestro di Ionia, abbracciato, in questo caso, da un malinconico (ma pacificante) tappeto d’archi, a tratteggiare un commosso “arrivederci”. In conclusione, al di là del manierismo proprio di dischi del genere, l’operazione imbastita da Alice e Guaitoli ha un enorme pregio, che la discosta totalmente da altri lavori del genere. Perché la rilettura scarnificata dei vari brani – complice la naturale sostituzione dei timbri – non fa altro che mettere alla luce un aspetto spesso dimenticato dell’arte di Battiato: la sua grande abilità da compositore, quel saper intessere, attorno a progressioni armoniche anche semplici (un esempio su tutti, “Prospettiva Nevskij”) delle trame melodiche cangianti e ricercate. Senza contare che ogni manifestazione canora di Alice è, per intensità, pathos e capacità chirurgica di ingresso nelle dinamiche, una assoluta lezione di interpretazione. Chi, se non lei, per doverosi omaggi del genere? 


Giuseppe Provenzano

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