Napoli World, Napoli, 7-10 dicembre 2022

Il mondo a Napoli? Non proprio, però, quasi. Per la prima volta sono arrivati in città per quattro intensi giorni una trentina di delegati internazionali provenienti da Americhe, Africa, Asia ed Europa: direttori artistici di festival di quel non genere che tra tante critiche (plausibili o meno) si definisce world music, operatori di istituzioni governative locali e culturali, label manager, promoter di agenzie e giornalisti. Al centro dell’evento la collaudata formula dello showcase di promozione degli artisti, che si esibiscono al cospetto di professional di primo piano nell’ambito del circuito musicale. Dietro tutto ciò, c’è Musiconnect-Italy/Italian World Beat, sotto con la direzione artistica dei due ideatori, Davide Mastropaolo e Fabio Scopino, manager dalle solide credenziali internazionali, che lo scorso anno avevano lanciato una prima edizione a Pistoia, proprio sotto il titolo di Music Connect Italy. Quest’anno l’iniziativa è approdata all’ombra del Vesuvio, assumendo una fisionomia sonora campana, finanziata e promossa dal Comune di Napoli nell’ambito del progetto “Napoli Città della Musica”, fortemente sostenuto dall’amministrazione locale e dal suo delegato per l’industria musicale e dell’audiovisivo Ferdinando Tozzi. Un’occasione preziosa per sondare il fermento musicale partenopeo, ma soprattutto per valorizzare e internazionalizzare
le professionalità musicali del territorio, che hanno avuto un’opportunità di confrontarsi con eminenti personalità del settore. Sede degli incontri tra delegati e degli showcase diurni è stata la Fondazione FOQUS (Fondazione Quartieri Spagnoli), ospitata nel quartiere Montecalvario nel cuore popolare di Napoli: un complesso che è parte di un più vasto progetto di rigenerazione urbana. Alla sera, tre giorni di concerti al Teatro Nuovo, sempre nei Quartieri Spagnoli, mentre per il gran finale ci si è spostati al Teatro Mediterraneo, nella Mostra d’Oltremare. Nell’arco di quattro giorni sono stati proposti un incontro sulla canzone napoletana, tenuto dal musicologo, compositore e accademico Pasquale Scialò, moderato dal giornalista Federico Vacalebre, un altro sulla storia e la programmazione del Teatro Trianon con la direttrice artistica Marisa Laurito, e un focus sullo storico festival Ethnos, curato dal suo direttore artistico Gigi Di Luca. Oltre, agli speed meeting ufficiali di sabato 10 dicembre e agli incontri informali tra delegati nazionali ed internazionali che hanno animato la kermesse, FOQUS ha ospitato gli showcase di artisti selezionati da una commissione (un musicista, un direttore artistico e un giornalista di settore) tra le oltre duecento risposte alla Call to Action. A fronte delle oltre duecento proposte arrivate, va detto che non tantissime si conformavano ai criteri di ammissione o potevano offrire un progetto live consistente da proporre a un parterre internazionale di primo piano. Ma quelle che sono 
state scelte all’interno di una più ampia rosa di produzioni di area campana non hanno sfigurato. Sul palco di FOQUS si sono avvicendati cinque artisti: dall’estetica folk-prog degli Araputo Zen al folk-pop-autorale di Fede’n’Marlen, dalle combinazioni vocali che incontrano l’elettronica di Ra di Spina alla poetica ispano-napoletana di Alessio Arena, che ha presentato il suo nuovo album “Marco Polo”, fino al profilo folk, balcanico e manouche del trio Taráf de Funiculár. Proposte variegate, molte delle quali hanno fatto breccia tra gli addetti ai lavori. Si è avvertito, talvolta, qualche lieve cedimento nella costruzione dei set, come pure appare necessario che gli artisti si propongano con maggiore comunicatività nella lingua inglese veicolare, tratto venuto meno anche in qualcuno dei concerti serali. Sempre al pomeriggio, hanno destato interesse i Brigan, vincitori del contest Ethnos Generazioni 2022, associato all’omonimo Festival, i quali hanno dato un assaggio del loro album in uscita “Liburia”. Il trio di fiati (flauti, fisarmonica e gaita galiziana), voci, percussioni e drum set ed elettronica si fa portatore di un sound che esplora la memoria della tradizione del basso casertano con innesti di provenienza iberica, elettronica, field recording e sequenze improvvisative. Sempre al pomeriggio, abbiamo avuto occasione di ascoltare due formazioni presentate da festival partner di Music Connect Italy: il folk-rock dell’Estremadura di El Pelujàncanu e l’arab pop della marocchina Sonia Noor, voce solida su un contorno funky-pop non del tutto convincente. I concerti ufficiali al Teatro Nuovo, selezionati dalla direzione artistica di Napoli World, hanno visto succedersi il trio Vesevo (Antonio Fraioli al violino, Antonio Di Ponte, voce e chitarra e Franceso Paolo Manna alle percussioni), che dopo qualche anno “dormiente” sono riesplosi con la loro fertile rivisitazione della tradizione popolare campana, con puntate verso la Puglia, in
cui abbiamo apprezzato una sfavillante tammurriata giuglianese. La proposta dei Tammurrianti World Project ha il suo fascino, si muove tra lo spessore percussivo portato da due maestri (Michele Maione e Emiddio Ausiello) ed estetica teatrale, ma finisce per mettere troppa carne al fuoco e necessita di qualche smussatura. Invece, merito agli Ars Nova Napoli, che hanno proposto il proprio canzoniere meridionale, ma dai quali si attende il nuovo album che dovrebbe condurre loro ricerca su lidi più originali ed autonomi. Ad ogni modo, si tratta di una band affiatata di performer, che per verve scenica e le combinazioni timbriche ha colpito tutti. La seconda serata (giovedì 8) ha avuto protagonisti Raiz e Radicanto, freschi del loro live “Astrigneme” e in procinto di pubblicare un lavoro monografico su Sergio Bruni. La band barese e il crooner partenopeo dal cuore antico sanno emozionare facendo incontrare le sfumature fadiste e mediterranee e la vocalità carnale di Raiz. La stessa serata ha offerto il classicismo raffinato dei Suonno d’Ajere, ormai una certezza nella riproposta di un repertorio classico ma che non manca di sorprendere nello scavo nelle pagine della canzone napoletana. Venerdì 9 dicembre ci ha portato una radiosa Flo, fresca di maternità, protagonista sul
palco per la sua gran capacità di dialogare con il pubblico e proporre il suo repertorio plurilingue, a metà tra Napoli, chanson e virate latinoamericane in una veste insolita creata dalla chitarra di Ernesto Nobili e i fiati e la fisarmonica di Francesco Di Cristofaro. E che dire di Enzo Gragnaniello, figlio del quartiere in cui è il Teatro Nuovo? Emozione pura, con la sua voce scura e blues in compagnia del mandolino di Piero Gallo e del violoncello di Erasmo Petringa. Il canto amabile di Lucibela, chanteuse di Capo Verde, un’altra delle artiste in corsa per il titolo di regina della malinconica morna, ha riempito i cuori della platea del Teatro Mediterraneo, incorporando nel suo viaggio anche l’anima più gioiosa e danzante capoverdiana con la sua voce fresca e piena di grazia, sorretta da un efficace quartetto di corde e percussioni, che di tanto in tanto infonde la musiche di profumi jazzati. La cantante di residenza lisboeta ha aperto la serata finale di sabato 10, conclusasi con il recital della Nuova Compagnia di Canto Popolare, autentici mattatori, che hanno attraversato la loro storia gloriosa lunga oltre mezzo secolo tra riproposta e rilettura creativa, tra pietre miliari del folk e più recente repertorio, eseguiti con il loro stile unico e inconfondibile non privo di teatralità. Per Davide Mastropaolo la prima edizione di Napoli World “è stata un grande successo sia per le
lezioni ricevute dai professionisti invitati che sono rimasti entusiasti sia nella città – come c’era da attendersi, ndr – che di tutta la proposta artistica musicale. Anche localmente, credo che si sia creato una piccola comunità di operatori che in quest'ambito musicale si conoscono di più”. È un punto di vista che non si può non condividere, seppure va osservato che gli showcase del pomeriggio hanno visto la presenza dei soli addetti ai lavori, laddove si sarebbe auspicata una partecipazione più ampia ed anche alla sera non c’è stato un vero e proprio sold out nei teatri. Da parte sua, l’altra mente ideativa, Fabio Scopino, rimarca il fatto che gli ingredienti indispensabili per sviluppare questo tipo di manifestazione sono il tempo e la certezza, per ottenere un risultato garantito. “Occorre guardare ad eventi simili consolidati come Visa for Music, Seul Music Week o Atlantic Music Expo, che avendo la certezza di lavorare su edizioni che hanno un futuro garantito, sono riusciti a strutturarsi in modo tale da poter investire un intero anno sulla rassegna, pensando alle tante sfumature necessarie per migliorare una rassegna e renderla sempre più efficace. Ciò si può fare incontrando e stringendo partenariati con altre realtà che in città esistono e che sviluppano attività culturali
o con istituzioni culturali dei Paesi rappresentati. C'è bisogno di una solidità in termini di certezza dell'evento, per fare in modo che si risparmi sui costi di viaggi e di accoglienza degli ospiti anche per poter aumentare le presenze, per accentuare la ricaduta economica e il valore costruttivo che l'evento stesso porta alla città”. Ritornando all’aspetto di professionalizzazione, in merito alla Call degli artisti, va detto che i non selezionati (non è mancato chi in preda al solito vittimismo italiano si è lamentato di non essere stato scelto per logiche clientelari) avrebbero dovuto fare la fila per gli speed meeting o, almeno, essere presenti ai concerti per proporre, anche in maniera informale, il proprio progetto a importanti operatori di settore così come avviene nel corso di eventi analoghi in giro per il mondo. D’altra parte, va pure osservato che qualche difetto di comunicazione in fase organizzativa c’è stato, perché non ha tutti è stato chiaro da subito che a Napoli stava accadendo qualcosa di unico e che l’occasione era assolutamente da cogliere. Cosa riserverà il futuro di Napoli World? Per Mastropaolo “la prospettiva del 2023 può essere sicuramente quella di aprire all’Italia intera, di avere una fiera mercato, un festival che si tiene a Napoli, ma che abbia come riferimento la possibilità anche per artisti napoletani di fare la propria parte, come succede a Marsiglia (Babel Med, ndr) che è un po' il nostro modello. Ovviamente è tutto è una dimensione più piccola ma è una dimensione che piace, più informale. Da qui all’anno prossimo, abbiamo
la possibilità di costruire una scena, professionalizzare le proposte artistiche, creare un laboratorio permanente. Questa può essere una prospettiva e rispetto al fatto di rimanere a Napoli o meno. E ciò dipende un po' anche dalle capacità di finanziamento. Penso che il senso di Music Connect sia quello di costruire una rassegna itinerante, che qui a Napoli prende la forma di Napoli World, ma niente ci impedisce di pensare che anche altre città o altre regioni possono essere interessate a un format come questo: su questo rimaniamo assolutamente aperti”. La sensazione è che possa trattarsi dell’inizio di qualcosa di rilevante, di cui si ha davvero bisogno e che non va dissipato. 


Ciro De Rosa

1 Commenti

  1. La musica c'è! Anche gli artisti, gli operatori, e il pubblico. Manca ancora una politica culturale che investe a lungo termine su queste forme di turismo culturale che sono anche un volante per l'export e l'immagine dei territori. .

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